Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/06/2010, a pag. 1-26, l'articolo di Sandro Viola dal titolo " La solitudine di Israele ", a pag. 27, l'articolo di Tahar Ben Jelloun dal titolo " Non capisco il voto dell'Italia ", preceduti dai nostri commenti.
Sandro Viola : " La solitudine di Israele "
Sandro Viola scrive : " Negli anni di Bush jr. non avevano collaborato Sharon (il ritiro da Gaza richiese un discorso a parte) e Olmert. Né lo stava facendo Netanyahu con Obama, nonostante l´indurimento dei toni e le richieste sempre più drastiche della nuova amministrazione di Washington. ". Non è ben chiaro per quale motivo Sharon e Olmert non avrebbero collaborato con gli Usa per i negoziati con i palestinesi. Come scrive lo stesso Viola, Sharon è andato contro il proprio partito e ha ceduto la Striscia di Gaza ai palestinesi, con risultati disastrosi per la sicurezza di Israele. Non è abbastanza? Che cosa dovrebbero fare i governi israeliani? Aprire le frontiere ai terroristi islamici, eliminare i check point, sciogliere l'esercito e permettere all'Iran di bombardare senza opporre resistenza?
Israele, secondo Viola, è "Un paese che ha perso la capacità di percepire (e misurarli) i lutti e le sofferenze inflitti agli altri.". Le guerre non piacciono a nessuno, specialmente perchè comportano morti, anche fra la popolazione civile. Ma quelle intraprese da Israele sono guerre di difesa. Per fare un esempio, Piombo Fuso. E' vero, sono morti anche civili palestinesi, ma perchè Hamas li ha usati come scudi umani. E, in ogni caso, non è ben chiaro per quale motivo i lutti israeliani dovrebbero essere meno gravi di quelli degli altri. Gli israeliani assassinati nel corso di attentati suicidi e coi razzi dalla Striscia non hanno importanza?
Viola scrive che Israele sta diventando sempre più impopolare fra i Paesi occidentali e commenta : "Un´altra società che non fosse quella israeliana, vivrebbe con angoscia l´inarrestabile degrado dell´immagine del proprio paese. Ma per ora solo una parte marginale d´Israele sembra rendersi conto dei rischi dell´isolamento: i grandi scrittori, gli accademici famosi, il giornalismo d´élite. Per ogni altro israeliano, c´è sì un´apprensione di fronte agli insuccessi d´un esercito che sembrava non poter fare errori. Ma quanto all´insofferenza che sta crescendo in mezzo mondo per lo Stato degli ebrei, essa è vista come nient´altro che l´ennesima forma d´antisemitismo.". Insomma, Israele dovrebbe farsi un esame di autocoscienza e smetterla di bollare come antisemiti i suoi odiatori?
Israele è minacciato dall'alleanza Iran-Hezbollah-Hamas-Siria-Turchia. Non dovrebbe prendere provvedimenti al riguardo? Agli odiatori in stile Sandro Viola piacerebbe che Israele rimaesse immobile bersaglio dei suoi aggressori senza difendersi, per riacquistare un'immagine 'positiva' agli occhi della comunità internazionale? E' evidente che gli unici ebrei positivi, per Sandro Viola e gli odiatori come lui, sono quelli morti. Quelli vivi che si difendono non gli vanno proprio a genio.
Viola continua : " il quadro che risulta oggi dopo i 43 anni d´occupazione delle terre palestinesi. Un quadro di sopraffazioni, di scappatoie e inganni diplomatici, di continui – e in troppe occasioni eccessivi, devastanti – ricorsi alla forza militare. ". Ecco il solito clichè della risposta sproporzionata. Che cosa saranno mai due razzetti e qualche minaccia rispetto all'esercito? Una teoria senza nè capo nè coda. Il fatto che gli aggressori dello Stato ebraico si siano dimostrati più deboli militarmente non implica che Israele dovesse rimanere fermo senza difendersi.
Ecco l'articolo:
Sandro Viola
In un discorso pronunciato poco dopo l´11 settembre 2001, Sharon disse che l´offensiva dell´Occidente contro il terrorismo islamico, accompagnata com´era da troppe e calorose promesse di risolvere "rapidamente" il conflitto israelo-palestinese, stava spingendo Israele nella posizione della Cecoslovacchia alla vigilia della Conferenza di Monaco del 1938. E questo nel senso che se si fosse cominciato a considerare la contesa sulla Palestina il maggiore ostacolo nei rapporti tra Occidente e mondo islamico, ne sarebbe scaturito lo stesso "appeasement" verso gli arabi e gli islamici, la stessa remissività con cui le democrazie europee sacrificarono la democrazia cecoslovacca ai voleri di Hitler e Mussolini. Israele rischiava insomma, dal momento che s´era messo in moto il tentativo euro-americano di placare la "rabbia araba", d´essere abbandonato al suo destino.
Per oltre vent´anni, non m´era mai capitato di dare ragione ad Ariel Sharon. Ma quel suo discorso mi trovò quasi completamente d´accordo. Avvertii, e lo scrissi ampiamente su questo giornale, che se si fosse diffusa la percezione dello Stato degli ebrei come d´una presenza geo-politica sempre più ingombrante, il principale ostacolo alla stabilità d´una regione d´importanza economica e strategica cruciale, questo avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche prima sulla sicurezza, e poi sull´esistenza stessa d´Israele.
La profezia di Sharon s´è ormai, almeno in parte, avverata. Un´antipatia per Israele s´era andata addensando negli ultimi anni soprattutto nelle società europee, e cominciava ad affiorare in una parte di quella americana, a causa delle continue e sempre più cruente azioni militari del suo esercito. Poco sembrava importare che la guerra del Libano nel 2006 e l´operazione Piombo fuso su Gaza fossero iniziate su pesanti provocazioni degli Hezbollah e di Hamas. Contava il bilancio finale: migliaia di morti, famiglie in fuga, distruzioni enormi, il tutto provocato dalle forze armate israeliane e trasmesso ogni sera dalle televisioni.
C´era poi la riluttanza con cui i governi di Gerusalemme rispondevano alle sollecitazioni dell´alleato americano e dei paesi europei tradizionalmente più filo-israeliani, perché riprendessero il negoziato con i palestinesi. Negli anni di Bush jr. non avevano collaborato Sharon (il ritiro da Gaza richiese un discorso a parte) e Olmert. Né lo stava facendo Netanyahu con Obama, nonostante l´indurimento dei toni e le richieste sempre più drastiche della nuova amministrazione di Washington.
Le colonie continuavano infatti ad espandersi, nessuno degli insediamenti illegali stabiliti in Giudea dagli estremisti religiosi veniva smantellato dall´esercito, in Cisgiordania i soldati di guardia ai posti di blocco non avevano smesso di prendere a calci i palestinesi. A stabilire la linea del governo Netanyahu era ormai lo "stato della Giudea", come la sinistra israeliana chiama lo schieramento di coloni e gruppi oltranzisti. Intanto gli inviati di Obama atterravano ogni settimana a Gerusalemme per spingere il governo Netanyahu a riannodare le fila della trattativa con l´Autorità palestinese, ma senza alcun costrutto. Ogni volta si trovavano infatti di fronte un nuovo diniego, un altro "escamotage", un ennesimo rinvio.
S´era così man mano allargato, precisato, un isolamento d´Israele tra i governi e le opinioni pubbliche occidentali. Lo sfilacciarsi delle vecchie solidarietà, un´impazienza crescente verso la politica dello Stato ebraico. Qualcosa di molto simile, insomma, ad un lento ma progressivo ripudio. Impressionante era soprattutto la presa di distanza in America.
Erano mesi che il Pentagono parlava infatti di interessi strategici ormai divergenti tra quelli degli Stati Uniti e quelli dei partiti di destra ed estrema destra al governo di Gerusalemme. Il generale Petraeus era giunto a parlare di rischi crescenti, a causa della politica d´Israele, per i 200.000 soldati americani in Medio Oriente. La furia di Barack Obama s´era manifestata varie volte in forme clamorose. E a questo punto è arrivato, il primo giugno, l´abbordaggio alla Mari Marmara che voleva forzare il blocco navale davanti a Gaza. Nove morti crivellati di colpi, la fragorosa protesta internazionale, e un´altra prova inquietante di come sia andata scadendo negli ultimi anni l´efficienza militare israeliana.
All´indomani della strage, un elemento comune risaltava dai commenti politici. L´Israele del governo Netanyahu è ormai visto come gli squilibrati che la vecchia psichiatria definiva, così da poterli internare nei manicomi, "pericolosi per sé e per gli altri". Una macchina politico-militare incapace di tenere la strada, dunque sempre prossima a sbandare lasciando sul terreno molte, troppe vittime. Un paese che ha perso la capacità di percepire (e misurarli) i lutti e le sofferenze inflitti agli altri. E a questo s´è aggiunto domenica scorsa il giudizio del Papa sulle conseguenze catastrofiche che sono uscite dai 43 anni dell´occupazione israeliana in Palestina. Parole pesanti, visto che vengono da una Chiesa abituata a pesare le parole.
Un´altra società che non fosse quella israeliana, vivrebbe con angoscia l´inarrestabile degrado dell´immagine del proprio paese. Ma per ora solo una parte marginale d´Israele sembra rendersi conto dei rischi dell´isolamento: i grandi scrittori, gli accademici famosi, il giornalismo d´élite. Per ogni altro israeliano, c´è sì un´apprensione di fronte agli insuccessi d´un esercito che sembrava non poter fare errori. Ma quanto all´insofferenza che sta crescendo in mezzo mondo per lo Stato degli ebrei, essa è vista come nient´altro che l´ennesima forma d´antisemitismo. L´ipocrisia di chi s´accorge soltanto delle violenze d´Israele, ma non di quelle dei suoi avversari. Dunque lo stringersi d´un assedio.
E si potrebbe anche essere a fianco d´Israele in un momento tanto difficile, minacciato com´è da nord, da sud e dai programmi nucleari iraniani. Mentre Hamas, gli Hezbollah e il fanatico di Teheran si godono la vittoria propagandistica dell´abbordaggio alla Mari Marmara, e progettano nuove provocazioni. Ma dimenticare quattro decenni di storia è molto difficile. Una storia disseminata da caterve di cadaveri, in parte vittime del terrorismo palestinese ma in stragrande maggioranza caduti sotto i colpi dell´aviazione, dei carri armati e dei mitragliatori d´Israele nel corso di operazioni tante volte ingiustificate.
Ed è questo che in Occidente appare ormai inaccettabile: il quadro che risulta oggi dopo i 43 anni d´occupazione delle terre palestinesi. Un quadro di sopraffazioni, di scappatoie e inganni diplomatici, di continui – e in troppe occasioni eccessivi, devastanti – ricorsi alla forza militare. Una situazione che né i governi né il complesso della società d´Israele, hanno mai inteso veramente, coraggiosamente cambiare. E che non muterà certo, salvo un miracolo, ad opera del governo Netanyahu, tenuto in piedi com´è da una banda di coloni razzisti e di fondamentalisti religiosi.
Tahar Ben Jelloun : " Non capisco il voto dell'Italia "
Tahar Ben Jelloun è deluso dall'Italia perchè ha votato contro la risoluzione Onu contro Israele : " Perché il Governo italiano ha assunto una posizione del genere rispetto a una risoluzione ragionevole, moderata e coerente con gli obbiettivi delle Nazioni Unite di rispetto dei diritti umani?". Tutto ciò che proviene dall'Onu nei confronti di Israele non è mai ragionevole, nè moderato. Basta guardare il rapporto Goldstone, un cumulo di menzogne sbilanciato a favore di Hamas. Sempre riguardo l'Onu, ricordiamo che ha messo a capo del consiglio per i diritti delle donne l'Iran e che uno dei suoi organismi, l'UNRWA si occupa di fare propaganda anti israeliana con la scusa di curare i diritti dei profughi. Anzi, lo scopo principale dell'UNRWA è proprio quello di far rimanere tali i profughi, in modo da strumentalizzarli e usarli contro Israele.
Tahar Ben Jelloun scrive : "Che messaggio vuole mandare l´Italia berlusconiana? Che si schiera dalla parte del più forte? Che si preoccupa del diritto dello Stato di Israele di esistere anche se questo Stato commette dei crimini?". Con queste parole mette in dubbio la legittimità dell'esistenza di Israele. Se Israele si difende commette un crimine. Uno Stato che commette crimini può esistere? Questo il ragionamento folle di Tahar Ben Jelloun che continua: "Perfino il presidente iraniano, tanto vociferante nei consessi internazionali, sa bene che Israele non scomparirà.". Minimizzare la minaccia iraniana, un'altra tattica tipica degli odiatori di Israele.
"Ma quello che la maggioranza degli Stati mondiali pretende da Israele è che accetti la creazione di uno Stato palestinese e il ritorno alle frontiere del 1967, con Gerusalemme Est come capitale". Quello che pretende gran parte degli Stati mondiali (soprattutto quelli musulmani) è che Israele permetta ai terroristi palestinesi di cancellarlo, magari con l'aiuto del nucleare 'pacifico' iraniano. Per quanto riguarda il ritorno ai confini del'67 e Gerusalemme Est, ricordiamo che Israele ha vinto delle guerre. Gli arabi non sono nella posizione di avanzare richieste. Non senza offrire qualcosa in cambio. Per ora non si è visto niente, solo rifiuti e critiche. Per quanto riguarda la fine del terrorismo nemmeno l'Anp ha fornito garanzie. Per quale motivo Israele dovrebbe cedere territori senza avere nulla in cambio?
"Israele non può continuare a comportarsi come uno Stato a sé stante sullo scacchiere internazionale, arrogandosi diritti che non possiede, soffocando la popolazione di Gaza con un embargo disumano e trattando ogni palestinese come un terrorista; non è scegliendo una politica autistica ispirata all´apartheid sudafricano che Israele potrà godere di pace e di sicurezza.". Non esiste nessuna apartheid in Israele, nonostante i suoi odiatori amino sostenere il contrario. In ogni caso lo Stato ebraico ha tutto il diritto di difendersi dagli attacchi. Scrivere che Israele tratta tutti i palestinesi come terroristi è falso.
Tahar Ben Jelloun conclude così il suo articolo:"Torno a chiedere: perché l´Italia si schiera dalla parte della violazione dei diritti, di chi uccide di fronte a tutti e ignora il dolore delle famiglie che hanno perduto un loro caro in questo attacco? Che cosa vuole dimostrare Berlusconi? Che non ama gli arabi in generale e i palestinesi in particolare? Che gli immigrati in Italia lo innervosiscono e lo fanno arrabbiare? Siamo alla confusione.". L'unica cosa confusa è il nesso logico che collega Berlusconi e la sua presunta islamofobia alla decisione dell'Italia di non votare per la risoluzione Onu.
Ecco l'articolo:
Tahar Ben Jelloun
Vorrei capire perché l´Italia ha votato contro la risoluzione del Consiglio dei diritti umani dell´Onu, che il 2 giugno ha adottato un testo incentrato sui «gravi attacchi delle forze israeliane contro il convoglio navale di aiuti umanitari» e ha deciso l´invio di una missione internazionale indipendente con l´obbiettivo di indagare su quanto avvenuto e sulle violazioni del diritto internazionale causate dall´attacco israeliano alla flottiglia di imbarcazioni trasportanti aiuti umanitari.
Questa risoluzione è stata adottata con 32 voti a favore, 3 contrari (gli Stati Uniti, l´Olanda e l´Italia) e 9 astensioni, tra cui quella della Francia. Perché il Governo italiano ha assunto una posizione del genere rispetto a una risoluzione ragionevole, moderata e coerente con gli obbiettivi delle Nazioni Unite di rispetto dei diritti umani? Che messaggio vuole mandare l´Italia berlusconiana? Che si schiera dalla parte del più forte? Che si preoccupa del diritto dello Stato di Israele di esistere anche se questo Stato commette dei crimini? Nessuna persona seria contesta il diritto di Israele di esistere e vivere in pace. Perfino il presidente iraniano, tanto vociferante nei consessi internazionali, sa bene che Israele non scomparirà. Ma quello che la maggioranza degli Stati mondiali pretende da Israele è che accetti la creazione di uno Stato palestinese e il ritorno alle frontiere del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. È quanto hanno ribadito con forza due dei migliori scrittori israeliani, Amos Oz su Le Monde e David Grossman, che ha perduto un figlio nella stupida guerra contro Hezbollah in Libano nel 2006.
Che beneficio può apportare la posizione israeliana alla pace? Non è certamente consentendo a Israele di fare qualunque cosa, di uccidere civili nelle acque internazionali e invocare successivamente la legittima difesa, che questo Stato conquisterà la sua legittimità. Israele non può continuare a comportarsi come uno Stato a sé stante sullo scacchiere internazionale, arrogandosi diritti che non possiede, soffocando la popolazione di Gaza con un embargo disumano e trattando ogni palestinese come un terrorista; non è scegliendo una politica autistica ispirata all´apartheid sudafricano che Israele potrà godere di pace e di sicurezza.
L´Italia non rende un buon servizio trattando Israele con troppo riguardo, votando contro una risoluzione ispirata da esigenze di diritto e di giustizia.
La Francia si è astenuta. È una piccola vigliaccheria, perché la Francia sa che Israele ha commesso un crimine e che dev´essere resa giustizia alle famiglie delle persone uccise dai soldati israeliani, in certi casi a bruciapelo come dicono le testimonianze dei sopravvissuti. La Francia tratta Israele con riguardo perché ha la comunità ebraica più grande d´Europa. Anche se questa comunità è divisa, Parigi vuole evitare di indispettire Israele perché teme reazioni violente sul proprio territorio.
Torno a chiedere: perché l´Italia si schiera dalla parte della violazione dei diritti, di chi uccide di fronte a tutti e ignora il dolore delle famiglie che hanno perduto un loro caro in questo attacco? Che cosa vuole dimostrare Berlusconi? Che non ama gli arabi in generale e i palestinesi in particolare? Che gli immigrati in Italia lo innervosiscono e lo fanno arrabbiare? Siamo alla confusione.
La posizione italiana è indegna di uno Stato di diritto e non corrisponde certamente all´opinione della maggioranza degli italiani, che considera una necessità urgente la pace in quell´area, una pace che sia basata su due Stati e sulle tante risoluzioni delle Nazioni Unite rimaste lettera morta.
Israele, con un Governo dove l´estrema destra gioca un ruolo importante, ha optato per la forza e la brutalità. Molti amici di Israele dicono che lo Stato ebraico ha scelto un «destino suicida». Perché l´Italia lo incoraggia a cacciarsi in questo vicolo cieco?
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante