Riportiamo da LIBERO di oggi, 08/06/2010, a pag. 23, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " L’Iran arruola i pacifisti per fare la guerra ", a pag. 22, l'articolo di Mirko Molteni dal titolo " Una pacifista di Gaza firma su Repubblica e su siti antisemiti ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Il piano turco iraniano per prendere Gaza ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " La sfida dell’Iran: navi di aiuti per la Striscia ", preceduto dal nostro commento. Dal SOLE 24 ORE, a pag. 10, l'articolo di Alberto Negri dal titolo "Gli aiuti umanitari, campo di battaglia delle nuove guerre ", preceduto dal nostro commento. Dall'UNITA', a pag. 22, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Danny Rubinstein dal titolo " Hamas rafforzato dal blitz in mare. Moderati in difficoltà ", preceduta dal nostro commento. Ecco gli articoli:
LIBERO - Carlo Panella : " L’Iran arruola i pacifisti per fare la guerra "
Carlo Panella
Le “anime belle”che pensavano che dietro la Freedom Fleet vi fosse solo la volontà pacifista di aiutare i civili di Gaza, sono servite. Due notizie confermano quanto era già evidente: l’operazione “Mavi Marmara”, si inserisce in una escalation arabo- turco-islamica che vuole - ripeto: vuole - sfociare in una nuova guerra. La prima notizia riguarda il conflitto a fuoco lungo le coste di Gaza dopo che lamarina israeliana ha intercettato un battello al largo del campo profughi di Nuseirat: i quattro palestinesi che la conducevanosono morti. Tragicomica la versione palestinese: «I miliziani facevano parte delle Brigate dei martiri di Al Aqsa e a bordo non c’erano armi, ma gli uomini si stavano addestrando per un tentativo di sbarco in Israele». Conferma piena quindi, anche se involontaria nella goffaggine, della versione israeliana: «I quattro erano armati e si preparavano ad una azione di sabotaggio in Israele». Si noti bene, questi miliziani, non erano di Hamas, ma delle “Brigate dei martiri di al Aqsa”, braccio armato di al Fatah, il movimento di Abu Mazen, il che la dice lunga sull’attendibilità nei colloqui di pace da parte dei palestinesi “moderati”. Più grave la seconda notizia che viene da Teheran: Abdolrauf Adibzadem, direttore della Mezzaluna Rossa iraniana ha infatti annunciato di avere deciso di inviare a breve tre navi con aiuti umanitari a Gaza e un aereo con 30 tonnellate di materiale sanitario. Si badi bene: solo la prima nave conterrà “aiuti umanitari”, la seconda invece trasporterà “volontari” e si è compreso subito di che tipo di ceffi si tratti, quando le stesse autorità iraniane hanno annunciato che nel giro di poche ore «ottomila iraniani, tra i quali molte le donne, hanno già firmato per unirsi alla missione». Già due anni fa la marina israeliana aveva respinto due navi iraniane, ma questa nuova iniziativa, con il fiancheggiamento di “volontri" che sicuramente saranno del tipo degli “aspiranti martiri”che viaggiavano sulla Mavi Marmara, fa assomigliare questa provocazione ad un atto di guerra. Tanto è vero che l’iniziativa è stata seccamente bocciataaddirittura da Jamal al Khudri, parlamentare di Hamas: «Non vogliamo che ci sia alcuna interferenza militare iraniana per rompere l’embargo su Gaza». La certezza comune, infatti, è che questi “volontari” iraniani altro non siano che Pasdaran sotto spoglie di “pacifisti”, alla ricerca di uno scontro armato che potrebbe avere conseguenze incalcolabili. Chi conosce il Medio Oriente, e ha presente che queste notizie vengono dopo quella dell’arrivo ad Hezbollah in Libano di centinaia di missili Scud, dopo che il dittatore siriano Beshar al Assad ha irriso pubblicamente quel Barack Obama che per 18 mesi gli ha letteralmente fatto la corte, dopo che l’Iran ha deciso di continuare il suo cammino verso l’atomi - ca, non può non comprendere infatti che siamo di fronte a sviluppi già scritti. Il regime di Teheran - con la sconsiderata e cinica complicità del turco Erdogan - sta facendo di tutto per fare deflagrare una nuova guerra israelo-araba in risposta all’ac - cerchiamento - blando e puramente diplomatico - che gli Usa stanno tentando di imporgli all’Onu. È questa la conseguenza della totale incapacità di Obama di governare le crisi. Lasciate a sé stesse queste incancreniscono (vedi Corea del Nord) e ora è troppo tardi per disinnescarle, facendo pressioni sull’Egitto, come stanno facendo gli Usa, perché apra il suo Muro verso Gaza (vero baluardo arabo che impedisce gli aiuti umanitari ai palestinesi) e tolga ragione alle crescenti provocazioni via mare.
LIBERO - Mirko Molteni : " Una pacifista di Gaza firma su Repubblica e su siti antisemiti "
Angela Lano
Anche se già lo si poteva intuire, si sono rinnovate ieri le conferme al fatto che un certo tipo di appoggio “senza se e senza ma” alla Gaza sotto egemonia di Hamas deve molto a un esteso retroterra antisemita. Almeno stando a quanto rilevato da “Il Foglio” che sottolinea come la “pasionaria” Angela Lano, la giornalista torinese catturata dai militari israeliani la scorsa settimana sulla nave turca “Mavi Marmara” graviti ben addentro alla galassia che fa capo al portale internet “Terra Santa Libera”. Un sito che certo non esistedaieri, ma su cui solo in questi giorni sono stati puntati i riflettori dei media, sulla scia dei recenti fatti navali al largo del litorale palestinese. Sarà perché anche la testata di Giuliano Ferrara si è sentita tirata in causa, venendo attaccataduramente,insieme a Fiamma Nirenstein e Rai News 24, dal portale a cui collabora la Lano, fatto sta che la domanda che poneva ieri “Il Foglio”, rilanciata dal sito “Dagospia” («Chissà se l’Ingegnere sapeva...») appare in effetti legittima. “Repubblica” ospita articoli della giornalista reduce dalle galere di Tsahal, le forze armate israeliane, ma poi pare che proprio uno dei maggiori patron del centrosinistra italiano, nonchè del Gruppo Editoriale L’Espresso, cioè Carlo De Benedetti venga attaccato come «ebreo sionista» proprio su “Terra Santa Libera”. Il che, unito al fatto che in vari interventi ospitati dal sito lo stesso sterminio degli ebrei sarebbe stato messo in dubbio e definito «cosiddetto Olocausto», la dice lunga sul potenzialmente suicida corto circuito che si annida inungran parte della sinistra. Dai vecchi Protocolli dei Savi di Sion allo statuto di Hamas, passando per il discorso integrale con cui il premier turco RecepTayyp Erdogan ha nei giorni scorsi condannato irrimediabilmente l’ormai trapassata amicizia Gerusalemme-Ankara. Di tutto e di più si trova su un portale web che se fosse stato gestito da “camerati” sarebbe stato oscurato da tempo. Due pesi e due misure? Probabile, evidentemente ci sono antisemiti “terribili” e antisemiti che invece vengono considerati solo “monelli”, “compa - gni che sbagliano”. Il fatto che siano stati pubblicati scritti dei negazionisti francesi Roger Garaudy e Robert Faurisson ha convinto perfino un padre storico del volontariato filo-palestinese italiano, cioè Mariano Mingarelli, a rompere i rapporti con l’agenzia di stampa Infopal della Lano. Come da lui dichiarato al “Cor - riere Fiorentino”: «Sono antisemiti, non voglio certi nomi accanto al mio». Segno che, comunque, c'è modo e modo di affrontare l’intricata questione mediorientale e, come Mingarelli, si può benissimo essere solidali con le sofferenze umane del popolo palestinese, senza per questo farsi trascinare in partigianerie esasperate che abbraccino il punto di vista di Hamas e la distruzione di Israele, nazione peraltro armata di ordigni nucleari e pertanto da non mettere in un vicolo cieco. Hamas, dal canto suo, ben sa che può sempre appoggiarsi a simili sponde. Proprio ieri uno dei maggiori esponenti di Gaza, Salah Bardawil, ha plaudito alle dichiarazioni con cui il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner rilanciava l’idea di far tornare ispettori Ue a controllare il valico confinario di Rafah, dove erano presenti fino al 2007. Un nuovo ponte lanciato verso Bruxelles nell’opportuno momento in cui l’arrembaggio a una nave fa dimenticare i kamikaze sugli autobus.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Il piano turco iraniano per prendere Gaza "
La tragedia diventa farsa: adesso anche gli iraniani minacciano di mandare due navi “pacifiste” a Gaza, mentre i Fratelli Mussulmani, l’interfaccia egiziano di Hamas, annunciano una carovana, sempre umanitaria, dal deserto egiziano verso la Striscia. E’ chiaro che ci si trova di fronte a una nuova sfida bellica per Israele, altro che pacifismo, e secondo la ong Secondo Protocollo, si tratterebbe di un piano turco-iraniano per annettersi di fatto al Striscia di Gaza in attesa di portare l’attaco al cuore di Israele.
E ieri d’altronde è stato proprio il leader turco Recyyp Erdogan a insistere sulla baggianata che a Gaza Israele violerebbe i diritti dell’uomo tenendo la gente in una sorta di prigione a cielo aperto.
Sempre ieri la marina dello stato ebraico è stata costretta a uccidere quattro uomini rana, palestinesi, che cercavano di infiltarsi a Gaza via mare. Presumibilmente per compiere un attentato. Lo ha affermato il portavoce militare israeliano. I membri del commando palestinese indossavano tute da sub ed erano armati con fucili da combattimento. L'incidente sarebbe avvenuto alle prime ore dell'alba di fronte alla costa di Gaza, all'altezza del campo profughi Nusseirat.
Per quel che riguarda il complotto turco iraniano, fonti di intelligence israeliana riferiscono di un piano molto complesso ideato da Erdogan e Ahmadinejad che avrebbe preso il via nei giorni scorsi e che vedrà gli sviluppi nelle prossime settimane. Un piano, come riferisce la ong Secondo Protocollo, “studiato a Teheran”, e che, nelle intenzioni degli Ayatollah, “dovrà spostare l’attenzione su Israele quando, a partire dal 13 giugno, sono previste in Iran imponenti manifestazioni di protesta in occasione dell’anniversario del colpo di stato che lo scorso anno portò al potere il boia di Teheran e che, nelle successive manifestazioni, costò la vita o il carcere duro a tanti giovani iraniani.”
Inoltre nei giorni scorsi la Turchia avrebbe spostato un certo numero di soldati nell’isola di Cipro con lo scopo di formare un primo contingente di pronto intervento nel caso la situazione con Israele dovesse precipitare.
Inoltre il governo islamico turco avrebbe stanziato centinaia di milioni di dollari a favore della famigerata ong IHH per l’acquisto di diverse navi da adibire ad una nuova “flotilla” per forzare il blocco israeliano su Gaza. Si parla di oltre 10 navi che dovranno essere scortate dalla flotta militare turca e non si esclude che lo stesso Erdogan voglia salire a bordo di una di esse.
Il piano è stato ideato ed esposto nei minimi dettagli a Teheran da Hakan Fidan, nuovo capo del MIT ( Milli İstihbarat Teşkilatı – National Intelligence Organization) il servizio segreto turco, in collaborazione con il governatore di Istanbul, Muammer Guler, nominato in questi giorni da Erdogan a capo del Dipartimento per l’ordine pubblico e la sicurezza. E ieri da Teheran, la cosa apre la prima pagina di “Al sharq al awsat”, è arrivata anche la notizia secondo cui il leader supremo iraniano, l’ayatollah Khamenei, avrebbe offerto un scorta armata formata da battelli e mezzi da guerra delle Guardie della Rivoluzione agli attivisti filo-Hamas della IHH e a tutti coloro che vogliono rompere il blocco israeliano su Gaza. Una vera e propria dichiarazione di guerra a Israele.
Secondo il quotidiano saudita stampato a Londra su carta verde Islam, però, Hamas per ora avrebbe rifiutato. Insomma c’è una strategia di accerchiamento che assomiglia tanto a quella che precedette la guerra dei sei giorni. Di ieri anche la notizia che la Organizzazione della conferenza islamica (Oci) avrebbe chiesto a tutti i propri aderenti di rivedere al ribasso le relazioni diplomatiche, di quei pochi stati arabi che ce le hanno, con Israele. E’ anche in questo caso l’iniziativa è turca, cioè di Ekmeleddin Ihsanoglu, segretario pro tempore dell’organizzazione, citato dalla stampa saudita, dopo che l’altro ieri si era svolta a Gedda una riunione speciale del comitato esecutivo. Insomma mentre l’Onu e il mondo intero chiedono una commissione indipendente che indaghi su quanto successo a bordo della Mavi Marmara, i venti di guerra anti israeliana, tutti turchi e iraniani, stanno agitando l’intero Medio Oriente. Speriamo che qualcuno inizi a capirlo prima che sia troppo tardi.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " La sfida dell’Iran: navi di aiuti per la Striscia "
Notiamo il tono ostile di Battistini, che si guarda bene dal raccontare che gli aiuti della nave Marmara sono fermi per ordine di Gaza.
Ecco il pezzo:
GERUSALEMME — I bidoni sono lì. Sequestrati nel porto di Ashkelon. Ce li avevano messi mesi fa, quando i servizi dello Shin Bet li ripescarono davanti alle spiagge israeliane. Ce li avevano lasciati. Nessuno aveva mai capito chi li avesse buttati in mare, e come mai, e quando. Ieri, quei dieci bidoni d’esplosivo sono tornati in mente. E qualcuno è andato a riprenderli. Perché in mare, rivelano i servizi di Gerusalemme, è da un po’ che dura una «guerra segreta» fra Turchia, Israele e Hamas.
E ora il sospetto è che i fusti c’entrino qualcosa col commando di sette sub, palestinesi delle Brigate Al Aqsa di Gaza, che all’alba d’un altro sanguinoso lunedì è stato sorpreso e messo al centro del mirino da motovedette ed elicotteri della Marina, al largo del campo profughi di Nuseiret. Non c’è stata battaglia: 4 morti, un disperso e due scampati, fra questi un capo militare del Fatah di Abu Mazen. Per ammissione dei palestinesi, il gruppetto «non aveva armi». Ma con mute e bombole, si stava addestrando per un attacco via mare. A inaugurare un’intifada delle navi, come da tempo s’invoca nella Striscia.
Gaza, ancora Gaza. La strage sulla nave turca riagita le acque. Costringendo Israele a fare i conti con un blocco che era quasi riuscito a far dimenticare. «L’Iran vuole prendere il controllo della Striscia», denuncia Franco Frattini, ministro degli Esteri, e la prova viene dalla guida suprema di Teheran, Khamenei, che offre scorta armata ai pacifisti che ritenteranno di rompere il blocco.
Anche la Mezzaluna rossa iraniana annuncia una nave d’aiuti, o due, destinazione Striscia. Forse con una scorta di pasdaran. Tanto interesse non emoziona Hamas, «non vogliamo Paesi stranieri qui», ma preoccupa il premier Netanyahu: «Altre flottiglie sono in arrivo, la sfida non è finita». Urge contromossa, mentre l’Ue propone (per bocca del francese Kouchner) una forza internazionale che controlli le navi umanitarie: questione di ore, Netanyahu dovrebbe dire sì alla commissione d’inchiesta sulla strage di pacifisti. Una commissione nazionale, anche se Usa, Onu, Ue e Quartetto ne chiedono una mista. Ma pur sempre una commissione, nonostante l’ondeggiare di Ehud Barak: «Esamineremo la legalità del blocco — diceva ancora ieri il ministro della Difesa —. Ma non consentirò mai che i nostri soldati siano indagati. Né in ebraico, né in inglese».
Il mondo parla un’altra lingua. E perfino un amico d’Israele come Joe Biden, il vicepresidente Usa, dice che «si stanno cercando nuovi mezzi» per alleggerire la situazione di Gaza. Una serratura dovrà aprirsi in Egitto. Mubarak promette che il valico di Rafah resta aperto «senza termine». Ma il termine c’è, eccome se c'è: entro fine estate, gli egiziani avranno costruito tutta la loro barriera antitunnel, 13 km d’acciaio ficcati nelle sabbie profonde del deserto, e «tutti i beni in entrata e in uscita — spiega un diplomatico del Cairo— dovranno viaggiare in superficie: noi dovremo vederli. Gaza dovrà tornare sotto gli occhi del mondo».
C’è già, per la verità. E se ne accorge il premier turco Recep Erdogan, così popolare in patria da pensare perfino d’andare al voto anticipato. «La Striscia è una causa storica per la Turchia», ripete, ma lo è soprattutto per lui: a Gaza, un neonato è stato battezzato col suo nome; il presidente siriano, Assad, gli riconosce d'avere «impedito a Israele d'ostacolare la pace»; il presidente palestinese, Abu Mazen, gli chiede di mediare nella lotta con Hamas; il Pakistan, l'Afghanistan, la Lega araba lo indicano come l'homo novus della politica mediorientale... Più che lui, «l 'Ahmadinejad 2», come lo chiamano i giornali israeliani, a Gerusalemme temono il suo uomo ombra: Hakan Fidan, 42 anni, nuovo capo del Mit, il servizio segreto turco. Che tutti indicano come vero motore delle ultime mosse: dalla flotta pacifista, all’asse privilegiato con Teheran. «Erdogan lo ascolta anche nelle virgole». Fino a sei mesi fa, per spiare l'Iran, Israele poteva contare su basi segrete in Turchia. E Ankara prestava occhi e orecchie, per il nucleare degli ayatollah. Poi è arrivato Fidan. E il Mossad è rimasto cieco e sordo.
Il SOLE 24 ORE - Alberto Negri : "Gli aiuti umanitari, campo di battaglia delle nuove guerre "
Un articolo interessante, peccato per lo scivolone finale: " Ankara e Tel Aviv avevano bisogno di un incidente grave per chiarire le loro posizioni e mettere con le spalle al muro gli americani e la Nato ". La capitale di Israele è Gerusalemme, non Tel Aviv. E definire la Flotilla 'incidente diplomatico' è impossibile. Nessun incidente, ma una provocazione con uno scopo preciso: attaccare Israele e aiutare l'Iran a raggiungere Gaza.
Ecco l'articolo:
I convogli per Gaza, dopo il ponte insanguinato della turca Mavi Marmara e la più pacifica Rachel Corrie irlandese, stanno trasformandosi in una flotta provocatoria e forse anche bellicosa con l'annnuncio che la Mezzaluna rossa mande-rà tre navi dall'Iran, non si capisce ancora se con la scorta o meno dei pasdaran. Questa Grande Armada mediorientale dei soccorsi contro l'embargo israeliano è il simbolo di una realtà contemporanea: lo spazio umanitario è diventato uno dei campi di battaglia delle nuove guerre. Le stesse organizzazioni non governative (Ong) oltre ai soccorsi trasportano politiche e ideologie che sono il segno dei tempi: nessun aiuto, anche il più soft, è uno strumento neutrale ma provoca in ogni caso mutamenti o reazioni, situazioni di confronto e di scontro con istituzioni, governi, gruppi armati. L'attore umanitario può diventare un nemico potenziale, una moneta di scambio, un bersaglio da colpire in operazioni di guerra, repressione o terrorismo.
Il passaggio storico avvenne nel 1967 con la guerra del Biafra quando un gruppo di giovani medici francesi fondò Medici Senza frontiere (Msf), che si proponeva di soccorrere le vittime del conflitto e della carestia non raggiunte dalla Croce rossa e dall'Onu. Dall'azione umanitaria "silenziosa", nello stile della Croce rossa, si passò al metodo della testimonianza, un cavallo di battaglia che con Msf si diffuse a quasi tutte le Ong del mondo. La denuncia è diventata così un dovere, al pari dei soccorsi alle popolazioni. E con una consapevolezza maggiore della "politica degli aiuti" sono arrivati anche i rischi: lo sfruttamento mediatico delle crisi umanitarie, le ingerenze indebite e persino le derive illegali.
L'aiuto umanitario può nutrire l'economia di guerra, mettere in gioco risorse e tempo per i gruppi armati, la stessa assistenza diventa l'obiettivo di raid, atti predatori e traffici illeciti. Le associazioni civili, per proteggere gli interventi e il personale, devono a volte fare affidamento sugli armati coinvolti perdendo la propria autonomia e accettando agende politiche definite da altri. Anche questo è uno dei rischi del mestiere, sia per le organizzazioni occidentali, laiche o religiose, che per quelle islamiche, sospettate, non sempre a torto, di simpatizzare con gli integralisti, una storia che cominciò con l'Afghanistan negli anni 80 per continuare un decennio dopo in Bosnia, Cecenia e Medio Oriente.
Su un altro fronte, dopo l'intervento militare nell'emergenza, come fu quello in Soma-lia, è venuto "l'umanitarismo bellico" dell'Afghanistan e dell'Iraq, dove sono gli eserciti i principali attori non soltanto del conflitto ma anche della ricostruzione. L'intervento armato accompagnato dall'aggettivo umanitario attribuisce un alone di forte ambiguità alle missioni militari che di volta in volta, assecondando le necessità politiche, vengono presentate come operazioni di pace, di stabilizzazione, oppure di peace enforcing . L'importante è che da qualche parte compaiano le parole «pace e aiuti» per tranquillizzare un'opinione pubblica che non vuole sentirsi in guerra con nessuno. Gli stessi civili, che appartengano ai ministeri dei vari paesi coinvolti o alle Ong, lavorando sotto la protezione dei soldati e di body guards, diventano parte del conflitto, percepiti dalle popolazioni locali più come membri dell'apparato bellico che non di quello umanitario.
Intorno agli aiuti internazionalisi combattono ormai guerre feroci, come quella che fu ingaggiata nel Darfur dal presidente Omar el-Bashir, rieletto recentemente e di cui tutti si sono ormai dimenticati la condanna per crimini di guerra del tribunale penale internazionale. Nonostante le denunce, siamo di memoria corta. Ma non proprio cortissima.
Uno degli aspetti di questa tragica vicenda di Gaza è che Israele e la Turchia sapevano a cosa andavano incontro. In rotta di collisione sulla politica estera dopo decenni di alleanza, Ankara e Tel Aviv avevano bisogno di un incidente grave per chiarire le loro posizioni e mettere con le spalle al muro gli americani e la Nato. Una situazione destinata a peggiorare con il convoglio iraniano: è interessante notare che Bernard Kouchner, uno dei fondatori di Medici senza frontiere, ora ministro degli Esteri francese, abbia proposto ieri che siano gli europei a monitorare gli aiuti diretti a Gaza, assai consapevole che al largo di Gaza lo spazio umanitario sta andando pericolosamente alla deriva.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Hamas rafforzato dal blitz in mare. Moderati in difficoltà "
Uno sprazzo di luce arriva persino a Umberto De Giovannangeli nell'intervista a Danny Rubinstein
Se c'è un uomo in Israele che conosce ogni sfumatura nel campo palestinese, quest'uomo è Danny Rubinstein, tra le firme più prestigiose del giornalismo e della saggistica israeliane. Tra i suoi libri tradotto in oltre quaranta Paesi, ricordiamo «Il mistero Arafat» (Utet). Dopo gli attacchi da parte della Marina israeliana alle navi della Freedom Flotilla, «Hamas – rileva Rubinstein – ha rafforzato il proprio prestigiomentre l'Anp diAbu Mazene di Fayyad ha veramente le mani legate. E come loro le hanno tutti i Paesi arabi moderati ». Vorremmo concentrare l'attenzione sugli effetticheavràl'operazioneisraeliana sulla flottiglia pacifista sul futuro dei colloqui fra Israele e l'Autorità nazionale palestinese (Anp). che erano appena ripresi. In questo clima di crisi ci si può aspettare un qualche risultato positivo? «Comesempre, per cogliere l'insieme bisogna allontanarsi un poco dall'immagine. Passati alcuni giorni da quanto avvenuto e ragionando a freddo, l'impressione è che nonostante la vittoria mediatica di Hamas, almeno nell'immediato, il blocco su Gazacontinuerà. Forse in una forma attenuatamacontinuerà, perché non è un interesse solo strategico e politico israeliano, ma anche egiziano, saudita, di vari altri Paesi arabi moderati, degli Usae dell'Europa stessa. In altre parole dei governi di mezzo mondo. Nessuno di questi è interessato a concedere all'Iran un punto di appoggio nell'area.Matutto ciò non aiuta nemmeno il processo di pace. Hamas ha rafforzato il proprio prestigio e nel mondo arabo questo genere di cose funziona come nel gioco in cui quando uno perde una somma quella va tutta al suo avversario. La Turchia, che sta compiendo grandi sforzi per inserirsi come potenza mediorientale, sostieneHamas e non l'Anp di Abu Mazen. Un'Autorità palestinese in cui Abu Mazen e Fayad – e con loro tutti i Paesi arabi moderati - hanno veramente le mani legate. La necessità di accontentare, almeno sul piano dialettico e propagandistico, le masse anti-israeliane nel mondo arabo, infligge un altro serio colpo al processo di pace, che già prima era in condizioni critiche. Le sue probabilità di successo nell'immediato, sono a mio avviso pari a zero. Fra l'altro, l'allontanamento della Turchia da Israele dà il colpo di grazia anche alla possibilità di un avvio di colloqui di pace con la Siria». Nella lotta politica interna palestinese, ladinamicachesièvenutaacreare aiuta l'avvicinamento di Hamas e al-Fatah? «È chiaro che Abu Mazen è oggi in una posizione più scomoda che mai. Deve in qualche modo cercare di riguadagnare qualcosa del prestigio e del consenso perso e questo passa necessariamente per un avvicinamento a Hamas parallelamente alla durezza – almeno verbale - da dimostrare contro Israele. Dopo anni di assenza, Abu Mazen ha espresso il desiderio di visitare Gaza. Aspetta l'invito diHamasche però tarda ad arrivare. Tuttavia, si deve capire che l'eventuale riavvicinamento a Hamas non ha come obiettivo di dirimere veramente le controversie, bensì solo di riguadagnare qualche punto nell'opinione pubblica palestinese; il divario fra le due organizzazioni è ancora incolmabile, anche perché gli attori in scena non sono solo questi due». Quali sono gli altri attori? «Ci sono anche i Paesi arabi moderati con a capo l'Egitto che spalleggiano al-Fatah e la cui proposta di accordo giace ancora a Ramallah e a Gaza. È un accordo basato su tappe e che non sarà mai accettato da Hamas perché prevede come primo punto il disarmo delle unità armate e il rientro dell'organizzazione nelle file dell'Anp. Sututto il resto – elezioni comprese – potranno trovare unaccordo,maHamasnonrinuncerà mai alla sua forza militare, indispensabile per mantenere aperta l'opzione della opposizione armata contro Israele, che è poi la fonte del sostegno di cui gode nella strada palestinese ».
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