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Che ci sia interesse verso gli ebrei che vivono fuori da Israele è comprensibile. In un mondo in cui l'antisemitismo è in crescita, è meglio sapere che cosa succede e dove. L'attacco nei confronti della azione difensiva di Israele non poteva non produrre episodi odiosi di stilità nei confronti degli ebrei e contro qualunque cosa vi fosse collegata. Riprendiamo quattro articoli, il promo dalla STAMPA, rassicurante, come se a Istanbul non fossero state attaccate solo pochi anni fa le sinagoghe, fatto che non è entrato nell'articolo, che doveva essere, appunto, tranquillizzante. La Stampa-Marta Ottaviani: " Tra gli ebri di Istanbul, al sicuro ma inquieti "
Istanbul, interno di una sinagoga Corriere della Sera-Rinaldo Frignani: " Slogan contro israele e scritte in arabo davanti all'ambasciata " ROMA— I tamburi del gruppo musicale Malamurga rompono la quiete pomeridiana dei Parioli. Scandiscono i passi del corteo che, percorrendo via Ulisse Aldrovandi, raggiunge l’ambasciata israeliana. Fumogeni e slogan, striscioni e canti per la «Freedom Flottilla» e per chiedere il rilascio degli attivisti fermati da Israele. Ci sono i ragazzi della «Rete romana per la Palestina», quella delle «Donne in nero». I giovani dei centri sociali con la kefiah al collo, i palestinesi residenti a Roma, i Cobas e i rappresentanti della Sinistra critica. Compare anche il simbolo degli «U.S. Citizens for peace and justice». In 300 gridano «Intifada vincerà!», «Free Palestine! ed espongono striscioni che accusano Israele di essere «uno stato criminale e terrorista». Ma ci sono anche alcuni cartelli con la fotografia di Yasser Arafat e altri sui quali la Stella di David viene paragonata alla svastica nazista. (Graffiti Press) Protesta Una manifestante ieri al sit-in a sostegno degli attivisti della flottiglia davanti all’ambasciata israeliana a Roma Dopo il corteo di lunedì pomeriggio passato anche davanti al Ghetto e le tensioni con gli ebrei, ieri l’obiettivo dei manifestanti pro Palestina è stata la sede diplomatica di Israele, blindata dalla polizia. Quartiere in tilt, ammesso solo il passaggio di tram e autobus. Fino alle 8 di sera i cori «Assassini, assassini!» si sono alternati con le dichiarazioni lanciate dall’altoparlante. Nessun incidente, ancora slogan e la scritta «Boicotta Israele» tracciata sui muri, anche in arabo. «Le nostre proteste non si fermeranno», avvertono i manifestanti, che si sono dati appuntamento per oggi a Ponte Sant’Angelo per la «controparata» del 2 giugno, venerdì saranno in piazza della Repubblica «per la mobilitazione nazionale contro Israele» e sabato in piazza del Popolo. «Ma il blitz dell’esercito israeliano è un incidente in parte annunciato», spiega Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane. «Era noto — aggiunge — che Israele avrebbe permesso l’arrivo a Gaza degli aiuti umanitari solo dopo aver verificato il carico delle navi, come era noto che la flottiglia avrebbe portato fino in fondo la propria sfida tentando di forzare il blocco». Oltre «allo sgomento e al dolore per le vittime— dice ancora Gattegna — sarebbe utile un’inchiesta imparziale che faccia piena luce sull’accaduto e chiarisca le responsabilità sull’uso delle armi. Considerata la presenza, fra i pacifisti, di alcuni ben noti attivisti che avrebbero congegnato un’aggressione contro i militari israeliani. Ora — conclude il presidente dell’Ucei— ci auguriamo che si verifichino quanto prima nuovi fatti positivi che permettano l’inversione di questa spirale di violenza». Sulla questione interviene anche Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, per il quale «l’azione di Israele nasce dalla paura di essere cancellato dalla faccia della terra. Ora l’opinione pubblica trovi il coraggio di dimostrare agli israeliani e ai loro governanti di non essere soli, che non devono avere paura. Cancellare Israele significherebbe cancellare un paese democratico». Corriere della Sera- Paolo Conti: " Gli ebrei romani : abbiamo di nuovo paura " ROMA— La scritta è in spray nero: «Boicotta Israele/ Boicotta l’apartheid». Campeggia sul legno che protegge il restauro del cinquecentesco Palazzo Caetani alle Botteghe Oscure. Dietro quell’immensa mole c’è l’antico Ghetto. La città ebraica nel cuore della città di Roma. Lì, almeno dal XII secolo, vive la comunità degli ebrei romani, la più antica della Diaspora nel Mediterraneo, duemila anni di radicamento tra Cesari e Papi. Il Ghetto fu abolito solo nel 1870, ultimo in Europa Occidentale, dopo l’Unità. Tensione Agenti di polizia schierati nel ghetto ebraico di Roma (Ansa/Guido Montani) Lo spray, invece, ha poche ore. Risale a lunedì pomeriggio, al corteo pro Palestina. Da lì hanno gridato «assassini, fascisti» al centinaio di ebrei romani corsi con la bandiera israeliana in piazza dell’Enciclopedia Italiana, il varco accanto a Palazzo Caetani, per evitare pericolose «invasioni» del Ghetto. Alberto Mayer, 41 anni, è un commerciante ma è anche uno studioso di ebraismo: «Cantavano "Bella ciao" verso di noi. Io ho dei partigiani, tra i miei familiari. E proprio non vedo similitudine tra la Resistenza e ciò che è avvenuto in queste ore...». I manifestanti non sono entrati ma hanno lasciato una scritta. Che amolti ebrei pare un segnale. L’antico Ghetto vive ore dure. Polizia e carabinieri hanno triplicato controlli e presenza. L’angoscia stona coi cartelli che invitano all’allegro pranzo di Shabbat «T’empio lo stomaco», organizzato per sabato 5 al prezzo di 15 euro per i giovani romani dai 18 ai 35 anni, cibo kosher assicurato. Più in là, convocazione per il 4 giugno alle 9 al Tempio, 66° anniversario della sua riapertura dopo il fascismo. Prove concrete di dialogo, di confronto, di apertura. Adesso, c’è la paura che le ultime vicende riportino indietro molti, troppi orologi. Perché tutto è cambiato in tre giorni. Per esempio l’uscita dei bambini della scuola primaria «Vittorio Polacco» in via del Tempio, angolo piazza Giudìa, come qualsiasi ebreo da secoli chiama lo slargone pedonalizzato tra l’attuale via del Portico d’Ottavia e le Cinque Scole. Fino a tre giorni fa i bambini, a scuola finita, giocavano in piazza, si rincorrevano, si perdevano d’occhio, ma non c’era paura. Adesso arrivano genitori, nonni, spalancano le macchine ( « ahò, salite qui, sbrigàteve!»). O si va via subito a piedi. Lo stesso succede ai ragazzi della secondaria «Angelo Sacerdoti». Più fluida l’uscita del liceo «Renzo Levi». L’incubo degli ebrei romani ha una data: 9 ottobre 1982, attacco al Tempio, un attentato di estremisti palestinesi uccide Stefano Gaj Taché, di due anni appena, e ferisce 24 persone. Andrea Limentani, 35 anni, avvocato, ricorda bene quelle ore: «Lunedì hanno gridato "assassini" a noi ebrei romani. Poco prima dell’attentato del 1982, durante un corteo dei sindacati unitari qualcuno depositò una bara davanti al Tempio, sotto la lapide che commemora la deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943. Oggi, stesso clima. Un’atmosfera ostile trasversale, da destra come da sinistra, che spesso diventa antisemitismo. Sull’eccidio non può che esserci rammarico e dispiacere per il dramma dei morti civili. Ma prima di giudicare sarebbe bene capire. Perché tutto è successo su quella sola nave tra le tante altre?». Ancora Alberto Mayer: «Tuttora non c’è una percezione esatta di cosa significhi essere ebrei italiani, romani ed essere israeliani. Noi siamo cittadini romani ebrei. Amiamo Israele. Ma possiamo nutrire un senso critico verso le sue scelte come qualsiasi altro cittadino europeo. Viviamo a Roma e, di fronte a certe manifestazioni, ci sentiamo impotenti» Il 1982? «Lo ricordo come fosse adesso, avevo 15 anni. Purtroppo le analogie sono tante. Sicuramente è diverso il clima politico». La vita del Ghetto non si ferma. I turisti affollano i ristoranti kosher («Giggetto al Portico d’Ottavia», «Ba’Ghetto», «Kosher Bistrot Caffè»). Trionfi di carciofi alla giudìa, odore di fritti e di spezie, di dolci caramellati del mitico forno di piazza, tutto si mischia e si lega alla cucina romanesca e del Medio Oriente. Avverte Leo Terracina, 47 anni, commerciante: «Se lunedì pomeriggio non fossimo stati pronti a difendere il nostro territorio, il casino sarebbe stato inevitabile. La paura è che la prossima volta non vengano a manifestare spinti dall’antisionismo ma direttamente dall’antisemitismo. I morti? Arabi o israeliani che siano, quando ci sono, significa che tutti hanno perso». Angelo Sermoneta, detto «Baffone», motore dell’associazione «I ragazzi del ’48» in via della Reginella: «Ma cosa c’entriamo noi ebrei romani con gli israeliani? Perché devo andare a pregare al Tempio tra camionette di polizia e carabinieri? Forse abbiamo rubato? E poi, per giudicare gli avvenimenti, aspettiamo l’inchiesta, no?». C’è la fila al forno dei dolci. Risate: «C’è la crostata?» Sembra un giorno qualsiasi. Ma no, non lo è. La Repubblica-Marco Ansaldo: " Noi ebrei di Istanbul solidali con la gente di Gaza" Mario Levi, scrittore turco lettere@lastampa.it lettere@corriere.it rubrica.lettere@repubblica.it |
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