Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/06/2010, a pag. 9, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " La rabbia dei turchi contro Israele. Erdogan: È terrorismo di Stato ", l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Dietro la svolta ottomana, gli errori europei ", preceduto dal nostro commento. Ecco i due articoli:
Davide Frattini : " La rabbia dei turchi contro Israele. Erdogan: È terrorismo di Stato "
Erdogan
ISTANBUL — Il convoglio blindato ha scortato l’ambasciatore al palazzo del ministero. Quindici minuti di colloquio, questi senza protezione. Dalle accuse e dalle richieste dei turchi. Che esigono il rilascio dei feriti (da curare in patria), minacciano «conseguenze irreparabili nelle relazioni», sbianchettano dal calendario qualunque evento li associ a Israele: niente partita tra le due nazionali di calcio Under 18, cancellate tre esercitazioni militari congiunte, richiamato il rappresentante diplomatico da Tel Aviv.
Almeno non muovono la flotta nel Mediterraneo, come invocano le grida delle migliaia di persone sbarcate in strada per protestare contro il massacro in mare. «La guerra deve essere la nostra risposta — proclama Hamza, studente di 19 anni, all’agenzia Reuters —. Inviamo le truppe a Gaza». Ad Ankara, la polizia ha respinto con gli idranti i dimostranti che provavano ad assaltare la residenza di Gaby Levy, l’ambasciatore dello Stato ebraico. A Istanbul, in quasi diecimila hanno marciato verso piazza Taksim, sventolando le bandiere palestinesi e bruciando quelle israeliane.
Tre navi nella Flotta della libertà battevano bandiera turca, turchi sono 400 dei 581 passeggeri sulla Mavi Marmara, l’ammiraglia della spedizione. «Israele, ancora una volta, ha dimostrato di disprezzare la vita umana e le iniziative pacifiche. Hanno colpito civili innocenti», scrivono in un comunicato dal ministero degli Esteri. Ankara vuole sfruttare la posizione nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (vi siede come membro a rotazione) e il ministro Ahmet Davutoglu è volato a New York dopo aver interrotto il viaggio in Sudamerica. Da dove rientra di corsa anche il premier Recep Tayyip Erdogan. «È terrorismo di Stato. Inumano», dice dal Cile.
Nella capitale, parla il suo vice, Bulent Arinc: «Un atto di pirateria in acque internazionali». «Questo attacco non resterà senza risposta». «Il governo non era coinvolto nell’organizzazione della missione». «Israele deve provare a difendersi, a dare delle spiegazioni, anche se non è possibile giustificare in alcun modo quest’azione». «Noi sappiano che le navi erano disarmate e che avevano solo obiettivi umanitari». «Il raid resterà come una macchia nera nella storia dell’umanità».
Da Gerusalemme, l’intelligence invita gli israeliani a non andare in Turchia (una delle mete preferite per le vacanze, l’unica abbastanza sicura in un Paese islamico) e chi è già qua a non uscire di casa o dall’albergo. Le relazioni diplomatiche (e con loro i 3miliardi di dollari in scambi commerciali e militari) stanno marcendo dal gennaio 2009 e dai 22 giorni di offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza. Per ora, la Turchia non ha espulso l’ambasciatore Levy e resiste qualche forma di contatto: ci sono state telefonate tra Davutoglu ed Ehud Barak, ministro della Difesa. Anche i due capi di Stato maggiore si sarebbero parlati. Ma l’intesa (interessata) tra lo Stato ebraico e Ankara affonda con l’arrembaggio degli uomini rana della Shayetet 13.
Sergio Romano : " Dietro la svolta ottomana, gli errori europei "
Nel suo pezzo Romano sostiene (come fa sempre quando scrive articoli sulla Turchia) che è l'Europa l'unica responsabile della deriva islamica della Turchia. In particolare Francia e Germania sarebbero colpevoli di aver posto troppi ostacoli dall'inizio all'ingresso della Turchia in Europa.
Semmai è l'esatto opposto. E' la politica filo iraniana di Erdogan ad aver definitivamente allontanato la Turchia dall'Europa.
La Turchia non è un Paese democratico, per questo le trattative per il suo ingresso in UE sono bloccate.
Ecco l'articolo:
Sergio Romano
Per molti anni la Turchia ha avuto nella politica israeliana un ruolo comparabile a quello degli Stati Uniti. Non poteva garantire la sicurezza dello Stato ebraico e non sarebbe mai intervenuta al suo fianco nelle guerre contro i Paesi arabi da cui è circondato. Ma il fatto che il maggiore Stato musulmano della regione gli fosse amico dimostrava che Israele non era isolato. Le forze armate dei due Paesi, i loro servizi di Intelligence e le loro economie hanno collaborato con vantaggi reciproci che a Gerusalemme erano particolarmente apprezzati.
Sapevamo da tempo che quella fase doveva considerarsi conclusa e che la Turchia, soprattutto dopo avere migliorato i propri rapporti con Damasco, sarebbe stata tutt’al più un utile intermediario per un accordo sulle alture del Golan, occupate da Israele nel 1967. Ma la guerra libanese del 2006 e soprattutto l’operazione militare contro Gaza, alla fine del 2008, hanno cambiato la scena politica medio-orientale. Il segnale più evidente fu il clamoroso bisticcio fra il premier turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente israeliano Shimon Peres al World Economic Forum di Davos nel gennaio del 2009. Il secondo segnale, non meno clamoroso, è la partecipazione di Erdogan all’incontro tripartito di Teheran, tre settimane fa, quando Turchia e Brasile hanno offerto all’Iran un accordo sull’arricchimento dell’uranio che ha permesso al regime degli ayatollah di sottrarsi alle pressioni degli Stati Uniti e di altri Paesi occidentali.
È probabile che la costituzione ad Ankara di un governo musulmano, dopo la vittoria elettorale del partito Ak, abbia favorito la svolta della politica estera turca. Ma esistono altre ragioni, più importanti. Vent’anni fa la Turchia era un Paese atlantico, fedele amico degli Stati Uniti, candidato all’Unione europea: un pezzo di Occidente fermamente incastonato in un’area politicamente e culturalmente diversa. La fine della guerra fredda e della minaccia sovietica non ha modificato le grandi linee della sua politica. Ma la disintegrazione dell’Urss ha aperto alla sua influenza una grande regione, dal Mar Nero all’Asia Centrale, che era stata sino ad allora ostile. Il Paese restava euro-atlantico, ma non era più la frontiera sud-orientale dell’Alleanza. Era altresì, ancora una volta, potenzialmente «ottomano» e disponeva di buone carte (la dimensione territoriale, la tradizione statale, le forze armate, l’economia) che avrebbe potuto, all’occorrenza, giocare con profitto. Gli Stati Uniti lo hanno capito e hanno fatto del loro meglio perché i legami della Turchia con l’Occidente venissero rafforzati dal suo ingresso nell’Unione europea. Ma alcuni Paesi — in particolare Francia e Germania — hanno lasciato chiaramente intendere che una tale prospettiva non era gradita. La Repubblica greca di Cipro ha rifiutato l’unificazione dell’isola, ma questo non le ha impedito di essere accolta da Bruxelles a braccia aperte. I negoziati fra la Turchia e la Commissione europea sono cominciati, ma con riserve, limitazioni e rinvii che hanno reso l’adesione incerta, se non addirittura improbabile.
È davvero sorprendente che la Turchia, in queste circostanze, abbia cominciato a giocare le sue carte mediorientali? Il Paese euro-atlantico di una volta non poteva permettersi di avere una politica israeliana completamente diversa da quella dei suoi alleati occidentali. Ma il Paese «ottomano» non godrebbe di alcuna credibilità nella regione se non tenesse conto dei sentimenti che la politica israeliana suscita nelle società arabo-musulmane. Peccato che i complicati intrecci della politica interna israeliana impediscano al governo di Gerusalemme di anticipare le conseguenze dei suoi atti.
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