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La Repubblica - La Stampa - Il Sole 24 Ore -Il Manifesto - L'Unità Rassegna Stampa
01.06.2010 Flotilla bloccata: il coro degli odiatori di Israele protesta
Bernardo Valli, Gad Lerner, Paola Caridi, Zvi Schuldiner, Moni Ovadia scatenati

Testata:La Repubblica - La Stampa - Il Sole 24 Ore -Il Manifesto - L'Unità
Autore: Bernardo Valli, Gad Lerner - Ugo Tramballi - Paola Caridi - Emanuele Novazio - Zvi Schuldiner - Moni Ovadia
Titolo: «L'ossessione di un Paese - Ora Netanyahu è sempre più isolato - Il primo vero fallimento delle Seals ebraiche - Le ragioni di un’azione senza ragioni - Verso la catastrofe»

Riportiamo da REPUBBLICA, a pag. 31, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " L'ossessione di un Paese  ", l'articolo di Gad Lerner dal titolo " L'Exodus rovesciato ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 17, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Ora Netanyahu è sempre più isolato ". Dalla STAMPA, a pag. 2, l'articolo di Paola Caridi dal titolo "  Il primo vero fallimento delle Seals ebraiche  ", a pag. 80, l'articolo di Emanuele Novazio dal titolo " Da dove nasce la crisi con Gaza? ". Dal MANIFESTO, a pag. 1-10, l'articolo di Zvi Schuldiner dal titolo "  Le ragioni di un’azione senza ragioni". Dall'UNITA', a pag. 2, l'articolo di Moni Ovadia dal titolo " Verso la catastrofe ". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:

La REPUBBLICA - Bernardo Valli : " L'ossessione di un Paese "

Sia Bernardo Valli che Gad Lerner sostengono nei loro articoli che Israele ha fatto male a intervenire con l'esercito sulla flotilla e che questo avrà ripercussioni terribili per tutto il Medio Oriente. Non entriamo nel merito delle loro 'analisi', solo chiediamo quale sarebbe stata, a loro avviso, la soluzione. Permettere agli pseudo pacifisti di entrare a Gaza e festeggiare con Hamas, l'inaugurazione di una nuova stagione di crociere per riarmare i terroristi della Striscia? Oppure rimuovere il blocco e farli passare da terra? Oppure aiutarli a distribuire armi ad Hamas? Non è dato saperlo.
Ecco il pezzo di Bernardo Valli, seguito da quello di Gad Lerner:


Hamas

Il sanguinoso arrembaggio alle navi dei pacifisti dirette a Gaza non può che avere conseguenze politiche devastanti per chi l´ha promosso, quindi per Israele. Commentatori israeliani avveduti avevano già definito «stupido», alla vigilia del dramma, l´atteggiamento intransigente, minaccioso, insomma eccessivo, delle autorità politiche e militari di Gerusalemme nei confronti della «Flotta della pace». Quasi fosse un´armada nelle acque del Mediterraneo pronta a sfidare lo Stato ebraico.
E quasi fosse capace di comprometterne sia la sicurezza sia l´onore. Insomma come se fosse un convoglio di terroristi. Certo, la spedizione pacifista sfidava l´embargo imposto a Gaza e quindi si proponeva di infrangere i divieti israeliani. Ma non si affronta una manifestazione pacifista con un arrembaggio, armi alla mano, come se si trattasse appunto di sventare, prevenire un attacco di terroristi corsari. Terroristi corsari che, stando alle denunce di Gerusalemme, possedevano in tutto due rivoltelle (non mostrate), coltelli e sbarre di ferro, usate dai passeggeri quando sono stati sorpresi dal commando israeliano. Il convoglio della «Flotta della Pace» poteva essere bloccato in modo meno rischioso. Meno sanguinoso.
La società israeliana rispetta al suo interno le regole democratiche, applica di solito, sempre entro i suoi confini, metodi civili per affrontare le proteste disarmate, ma quando agisce fuori dalle sue legittime frontiere il governo israeliano e le sue forze armate non ne tengono sempre conto. L´ossessione della sicurezza, in parte giustificata dalla storia dello Stato ebraico e dalla situazione in cui si trova, conduce a eccessi e abusi che l´opinione internazionale, compresa quella favorevole, rifiuta o stenta ad accettare. L´arrembaggio a navi disarmate nelle acque internazionali, che si è concluso con morti e feriti, è uno di questi eccessi. Lo è al di là dei dettagli che le invocate e più o meno attendibili inchieste accerteranno.
Il dramma al largo di Gaza è devastante per Israele e favorisce i suoi avversari. Né il ministro della difesa Ehud Barak, un laburista, che ha certamente studiato e approvato l´operazione, né il primo ministro Benjamin Netanyahu, un falco che quando vuole sa essere pragmatico, avevano previsto le conseguenze di un´azione tanto carica di rischi. Entrambi hanno offerto un´occasione insperata al principale nemico di Israele, in campo palestinese. Hamas in queste ore trionfa. Le piazze arabe si riempiono per manifestare in suo favore e contro Israele. Non solo. Nella Cisgiordania occupata, dove da tempo l´Olp collabora con gli israeliani nel dare la caccia alla gente di Hamas, sono stati decretati tre giorni di lutto e si manifesta in favore di Gaza. Gli integralisti esultano. In quanto ai negoziati indiretti tra l´Olp e Israele ci vorrà del tempo prima di riparlarne. Dopo il dramma al largo di Gaza, Mahmud Abbas, presidente dell´Autorità palestinese, e il suo primo ministro, Salam Fayed, non sono certo disponibili per un dialogo. In queste ore è come se il loro avversario, Ismail Haniyeh, leader di Hamas a Gaza, avesse vinto una battaglia.
La prima nave ad essere attaccata dai commandos israeliani esponeva sulle fiancate un´enorme bandiera turca accanto a quella palestinese. E gli uccisi durante l´arrembaggio erano quasi tutti turchi. Questo non fa che peggiorare i già cattivi rapporti tra Istambul e Gerusalemme. Da due anni ormai l´alleanza strategica, politica e militare, tra i due Paesi è entrata in crisi. Israele e Turchia sono le due potenze mediorientali più legate agli Stati Uniti. Nel ´96 hanno firmato un accordo di cooperazione militare con grande soddisfazione degli americani. Il vincolo tra la Turchia, vecchio pilastro della Nato, e Israele, alleato irrinunciabile, appariva ai loro occhi prezioso. E lo era. Ma dopo l´operazione israeliana a Gaza, alla fine del 2008, l´amicizia israelo - turca si è trasformata in un´ostilità (finora verbale) sempre più aspra. Istanbul ha condannato l´intervento israeliano e le dichiarazioni critiche di Recep Tayyip Erdogan, alla testa di un governo islamo - conservatore, si sono moltiplicate, fino ad affermare che lo Stato ebraico è «la principale minaccia per la pace» in Medio Oriente. La tensione si è poi accentuata, quando la Turchia (insieme al Brasile) ha concluso con l´Iran un accordo sul problema nucleare. Erdogan è cosi diventato il paladino dei palestinesi e un interlocutore privilegiato dell´Iran. Insomma, un amico degli avversari di Israele. I turchi uccisi dagli israeliani al largo di Gaza potrebbero condurre, col tempo, anche a un rottura dei rapporti diplomatici.
Per Barak Obama è un disastro assistere al divorzio politico e militare dei suoi due (sia pur difficili) alleati in Medio Oriente. Come è un disastro in queste ore assistere alla vampata anti-israeliana nelle capitali arabe. Si era quasi creata obiettivamente un´intesa tra i Paesi sunniti (in particolare l´Arabia Saudita e l´Egitto) e Israele in funzione anti iraniana. Un´intesa tacita, non confessabile, ma implicita, perché basata su un comun denominatore: l´ostilità nei confronti di Teheran. Gli arabi sunniti sono ossessionati dall´influenza dell´Iran sciita; gli israeliani dalla minaccia nucleare iraniana. Nel tentativo di disinnescare quest´ultima, vale a dire la minaccia nucleare iraniana, la diplomazia americana si aggirava nel labirinto mediorientale con fatica. Un accordo israelo - palestinese, o perlomeno la ripresa di un vero dialogo, poteva rappresentare un avvenimento propiziatorio. La ventata anti-israeliana, provocata nella regione dal sanguinoso arrembaggio al largo di Gaza, rende le cose più difficili. Quel che è anti-israeliano in Medio Oriente assume spesso, per riflesso condizionato, accenti anti-americani. Tra chi ha segnato punti a proprio vantaggio in queste ore, c´è anche l´Iran di Ahmedinejad, protettore di Gaza e nemico di Israele.

La REPUBBLICA - Gad Lerner : " L'Exodus rovesciato "


Gad Lerner

Dalla spiaggia di Tel Aviv guardiamo il Mediterraneo incendiato dall´inconfondibile luce del Levante e proviamo un senso di vergogna, come di profanazione per quello che vi è accaduto nell´oscurità. Non si sono certo fatti onore i marinai d´Israele, protagonisti di un arrembaggio dilettantesco e cruento. Una delle pagine più oscure nella storia di Tzahal.
Tanto più che spezza inavvertitamente l´equilibrio strategico mediorientale in cui la Turchia rivestiva una preziosa funzione di stabilità, e coalizza una vasta ostilità internazionale contro lo Stato ebraico.
Può anche darsi che stringendo gli occhi a fessura sul riverbero del mare la maggioranza degli israeliani sia trascinata dall´esasperazione a sussurrare tra sé l´indicibile - "ben gli sta, se la sono cercata" - ma ciò non ribalta il bruciore della sconfitta morale. Il paese è sotto choc, soggiogato dal senso di colpa. Vorrebbe giornalisti in grado di spiegare la strage come legittima autodifesa. S´immedesima nei militari feriti, e così la tv giustifica i primi marinai saliti a bordo della "Mavi Marmara": hanno vissuto attimi di terrore, una situazione analoga a quella dei due soldati linciati dieci anni fa nel municipio di Ramallah. Ma suda vistosamente l´ammiraglio Eliezer Merom, seduto accanto al ministro della Difesa, Ehud Barak, quando tocca a lui giustificare una provocazione cui i suoi uomini, come minimo, non erano preparati. I portavoce governativi balbettano più volte la parola "rammarico". Rispondono a monosillabi sotto l´incalzare dei reporter. Né giova alla credibilità internazionale d´Israele che il primo incaricato di rilasciare dichiarazioni ufficiali sia stato il viceministro degli Esteri, Danny Ayalon, esponente del partito di estrema destra "Israel Beitenu": fu proprio Ayalon l´11 gennaio scorso a offendere di fronte alle telecamere l´ambasciatore turco Oguz Celikkol, fatto sedere apposta su una poltrona più bassa della sua e preso a male parole. Rischiando di interrompere già allora le relazioni diplomatiche fra i due più importanti partner degli Usa in Medio Oriente.
Oggi il trauma del distacco fra Israele e la Turchia è irrimediabilmente consumato. Non a caso il governo di Ankara aveva appoggiato la Freedom Flotilla dei pacifisti, salpata dalle sue coste con l´intenzione di un´esplicita azione di disturbo ai danni di Netanyahu. Israele è caduto in pieno nella provocazione.
E´ un tale disastro geopolitico, la contrapposizione al più importante paese islamico della Nato, oggi attratto nel gioco delle relazioni spregiudicate con la Siria e con l´Iran, da lasciar intuire che possa esservi stato un calcolo in tale follia: cioè che la destra israeliana al governo, già invisa all´amministrazione Obama, scommetta di sopravvivere praticando il tanto peggio tanto meglio. Netanyahu, ricattato alla sua destra, esercita una leadership fragile, piuttosto spregiudicata che coraggiosa. Ciò che lo assoggetta alle ricorrenti tentazioni d´azione militare dell´alleato laburista, politicamente sprovveduto, Ehud Barak. Il governo d´Israele si comporta come se non fosse mai avvenuto il ritiro dalla striscia di Gaza. Ha lasciato nelle mani di Hamas e dei suoi sostenitori internazionali l´arma propagandistica dell´embargo cui è sottoposta una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Cerca di mobilitare contro Barack Obama e Hillary Clinton la comunità ebraica statunitense, sottovalutando i dilemmi morali e le perplessità che il suo oltranzismo ha generato in quella che non è certo più una lobby compatta.
E´ coltivando il mito della propria autosufficienza, l´illusione di contenere sempre nuovi nemici grazie alla superiorità tecnologica e militare, che Israele è andata a infilarsi nella trappola della Freedom Flotilla. Incapace di trattare con cinismo distaccato un´iniziativa umanitaria sponsorizzata da tutti i suoi peggiori nemici. Non poteva limitarsi a bloccare fuori dalle acque territoriali il convoglio ostile? Perchè la Marina è stata chiamata a dare una tale prova di arroganza e inefficienza? Male informata, come minimo, forse beffata nel corso di trattative ufficiose, ha suggellato un disastro politico.
Ma i calcoli strategici restano in secondo piano di fronte al turbamento delle coscienze.
Il blocco militare del Mar di Levante evoca troppi simboli dolorosi nel paese che coltiva la memoria dei sopravvissuti alla Shoah quasi alla stregua di una religione civile. Impossibile sfuggire alla suggestione che in una tiepida notte d´inizio estate le acque del Mediterraneo abbiano vissuto un Exodus all´incontrario. Non certo perché i militanti e i giornalisti a bordo della flotta che intendeva violare l´embargo di Gaza siano paragonabili ai 4500 sopravvissuti dei lager che le cacciatorpediniere britanniche speronarono nel 1947 al largo di Haifa, impedendo loro di approdare nel nuovo focolare nazionale ebraico. Ma perché quell´arrembaggio sconsiderato in acque internazionali, senza che Israele fosse minacciato nella sua sicurezza, discredita uno dei suoi valori fondativi: la superiorità morale preservata da una democrazia anche nelle circostanze drammatiche della guerra.
Per questo nell´opposizione al governo di destra echeggiano parole gravi, accuse di follia: "Chi ha agito con tanta stupidità deve rendersi conto che ha sporcato il nome d´Israele", scrive per esempio il vecchio pacifista Uri Avnery.
Con timore mi sono presentato in serata all´incontro organizzato dall´istituto italiano di cultura, cui partecipava un centinaio di ebrei d´origine italiana. Mi avrebbero accusato come altre volte di tradimento, di scarsa lealtà alla causa israeliana? Lo scoramento, inaspettatamente, prevaleva sulla recriminazione. Nessuno dei partecipanti ha speso una parola per difendere l´operato del governo e di Tzahal. Il disastro politico veniva riconosciuto coralmente, chiedendosi semmai chi possa metterci una buona parola per segnalare all´estero l´angoscioso senso d´accerchiamento vissuto dagli israeliani.
E´ giunto ieri a Tel Aviv, per dialogare con la leader dell´opposizione Tzipi Livni, il filosofo francese Bernard Henry Levy. Filoisraeliano convinto, all´inizio del 2009 appoggiò perfino la spedizione punitiva "Piombo fuso" scatenata da Olmert contro Gaza. Ma oggi Henry Levy è tra i primi firmatari di un "Appello alla ragione" di varie personalità ebraiche d´Europa, collegate a un analogo movimento ebraico statunitense, denominato "J call". Sono esponenti moderati, sionisti, solo in minima parte ascrivibili alla sinistra politica, che ora denunciano l´evidente ostilità del governo Netanyahu ai tentativi diplomatici messi in atto dalla Casa Bianca per costituire in tempi brevi uno Stato palestinese che viva in pace con Israele. Auspicano un ricambio di maggioranza politica a Gerusalemme, e di certo la segreteria di Stato americana condivide tale speranza: ha usato parole molte prudenti nel commentare la strage in mare. Ma il dispetto di Obama è gravido di conseguenze che gli israeliani percepiscono sotto forma di incubo dell´abbandono.
Con sollievo si è constatato che, per ora, il crimine marittimo non pare causa sufficiente a scatenare la prossima Intifada, cioè la rivolta interna degli arabi col passaporto israeliano. Ma non ci sono soltanto gli equilibri dei governi e della geopolitica mediorientale, in bilico. Chi protesta, o anche solo chi si vergogna in silenzio, avverte il pericolo che il paese cui è legato da un vincolo indissolubile di parentele e sentimenti, degradi nel disonore. In quello splendido mare infuocato, l´epopea dell´Exodus sta facendo naufragio.

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Ora Netanyahu è sempre più isolato "

Secondo Ugo Tramballi, Israele soffre di manie di persecuzione. La flotilla diretta a Gaza, Hamas, l'Iran, la Siria, Hezbollah...nessuno di questi ha intenti bellicosi nei suoi riguardi.
Tramballi scrive : " La vicenda di ieri spiega molto della mentalità da assedio nella quale si è chiusa oggi Israele. Stabilito che nessuna nave possa forzare il blocco di Gaza, la decisione si trasforma in un comandamento: violarlo metterebbe in discussione la stessa esistenza dello stato ebraico ". Il blocco a Gaza è imposto per un motivo preciso. Impedire ad Hamas di ottenere i mezzi per attaccare ancora la popolazione israeliana. Non si tratta di mettere in discussione lo Stato ebraico quanto la sua sicurezza. La flotilla in questo senso rappresentava un rischio. Per questo andava fermata.
Tramballi conclude con un po' di psicologia banale e da quattro soldi il suo pezzo: "
  Il problema è se Israele sia in grado di distinguere i pericoli veri da quelli fasulli; di capire che il mondo non è pieno di antisemiti ma eventualmente di molti ammiratori delusi; di comprendere chea volte il nemico è dentro di sé. ". Se Israele, dopo oltre sessant'anni di attacchi esiste ancora, è grazie alla sua capacità di individuare i pericoli reali e di difendersi.
Il mondo è pieno di antisemiti odiatori di Israele, flotilla compresa.
Ecco l'articolo:


Ugo Tramballi

«Come parte degli sforzi per facilitare il lavoro dei giornalisti nella regione, l'ufficio stampa del governo ha il piacere di richiamare la vostra attenzione sul menù del Roots Club di Gaza ». Ci vengono raccomandati crema di asparagi e beef strogonoff. È la mail che il 26 maggio l'efficiente servizio stampa israeliano ha inviato a tutti gli stranieri accreditati al Beit Agron di Gerusalemme. Pretendeva di essere un modo spiritoso per dire che a Gaza non ci sono emergenze umanitarie.
È questa superficiale arroganza rispetto a un problema percepito dal resto del mondo in maniera diversa, che ha portato alla tragedia dell'alba di ieri. Tutte le organizzazioni umanitarie sostengono che due terzi degli abitanti di Gaza vivono con l'aiuto internazionale. Forse Israele ha sempre ragione e il mondo torto. Ma se qualche volta il primo tenesse conto di ciò che pensa il secondo, capendo che l'obiettivo inconfessato del resto dell'umanità non è un altro Olocausto, la cosa servirebbe. Servirebbe prima di tutto a Israele, alla sua sicurezza, alla sua psicologia collettiva, al suo futuro.
La vicenda di ieri spiega molto della mentalità da assedio nella quale si è chiusa oggi Israele. Stabilito che nessuna nave possa forzare il blocco di Gaza, la decisione si trasforma in un comandamento: violarlo metterebbe in discussione la stessa esistenza dello stato ebraico. Così le truppe speciali salgono sulla nave dei pacifisti convinte che non ci siano alternative fra una resa incondizionata e una battaglia all'ultimo sangue. La reazione dei passeggeri non è completamente pacifica: il Mahatma Gandhi avrebbe fatto resistenza passiva, loro reagiscono. A questo punto un abbordaggio armato in acque internazionali diventa legittimo, la reazione di chi viene abbordato inammissibile. Da qui il bilancio di 10 o 19 morti. Di fronte a questo il "background legale" del blocco di Gaza, mandato ieri sempre dall'ufficio stampa del governo, è irrilevante. È lo stesso processo mentale che ha costruito il risultato della guerra di Gaza dell'anno scorso: 1.400 morti palestinesi, più della metà dei quali civili. La minaccia dei Kassam giustificava la reazione.
Tolte forse un paio di isole nel Pacifico, nemmeno il Costa Rica appoggia Israele qualsiasi cosa faccia. Anche gli Stati Uniti non sono più gli stessi di prima: ieri Bibi Netanyahu ha sospeso la sua visita a Washington per evitare di mettere in imbarazzo il più prezioso dei suoi alleati. Cosa sarebbe stato costretto a dire ieri Barack Obama a Netanyahu? Questo vorrà forse dire qualcosa, posto che il governo ultra religioso e ultra nazionalista a Gerusalemme si ponga la domanda.
Il mondo è cambiato e Israele continua a ragionare come se fosse in quello precedente: quando bastavano da soli gli Usa e lo stato ebraico era praticamente il cinquantunesimo stato dell'Unione; quando la Russia post sovietica non contava in medio oriente, la Cina non esisteva sulla carta geografica, il peso commerciale europeo si poteva ignorare e degli arabi si poteva dire che tramavano tutti la distruzione di Israele. Il tentativo brasiliano di contribuire alla soluzione del nucleare iraniano non è stato visto come lo stimolante ingresso di un nuovo venuto, una potenza di domani, ma come una minaccia. Il mondo è più complesso e il volto economico di Israele lo ha capito, adattandovisi con perizia. Quello politico, invece, vede in ogni cambiamento un prodromo di olocausto: è rimasto chiuso in cima a quel "muro di ferro", come lo definì uno dei fondatori più di 60 anni fa, dal quale Israele sarebbe sceso solo dopo aver irreparabilmente sconfitto tutti i suoi nemici. Ci sono state molte battaglie ma quella vittoria definitiva non verrà mai anche se Israele trasforma ogni evitabile scaramuccia in una prova esistenziale. Conta poco che abbia abbordato la nave in acque internazionali: qualsiasi paese lo farebbe di fronte a un pericolo chiaro e presente per la sua sicurezza nazionale. Il problema è se quella nave, quei pacifisti muscolosi, quei 10 o 19 morti, lo stesso blocco di Gaza fossero un pericolo. Il problema è se Israele sia in grado di distinguere i pericoli veri da quelli fasulli; di capire che il mondo non è pieno di antisemiti ma eventualmente di molti ammiratori delusi; di comprendere chea volte il nemico è dentro di sé.

La STAMPA - Paola Caridi : " Il primo vero fallimento delle Seals ebraiche "

Un articolo sul presunto calo di qualità da parte dell'unità speciale di Tzahal Shayetet 13. L'articolo di Paola Caridi è analogo a quello di Michele Giorgio sul Manifesto di oggi (non riportato da IC). La somiglianza dei due pezzi fa riflettere. Viene da chiedersi che cosa ci faccia sulle pagine di un quotidiano come La STAMPA il pezzo di Paola Caridi. Eccolo:


Paola Caridi

Eppure quelli di Shayetet 13 sono famosi per essere una delle unità speciali più preparate delle forze armate israeliane. Nel carnet dell’unità speciale della marina militare, le operazioni coronate di successo sono tante. La più famosa, quella compiuta il 3 gennaio 2002. Per catturare una nave, la «Karin A», sospettata di trasportare armi per i palestinesi, in piena seconda Intifada. Le cronache raccontano che gli uomini di Shayetet 13 ci misero solo otto minuti a prendere la nave, scendendo da quelle stesse corde calate dagli elicotteri che sono state immortalate dalle telecamere turche e di Al Jazeera sulla Mavi Marmara, l’ammiraglia della Freedom Flotilla. Catturata – ironia della sorte – da «Flotilla 13», la traduzione di Shayetet 13. L’unità speciale della marina militare israeliana ha una lunga storia alle spalle, che dura formalmente da oltre sessant’anni. Il battesimo del fuoco data addirittura alla guerra del 1948, la guerra di fondazione dello stato d’Israele. Avvenne in ottobre, contro gli egiziani – racconta Eric Salerno nel suo recente libro «Mossad base Italia» -, dopo un addestramento fatto nel lago di Tiberiade da Fiorenzo Capriotti, ex membro della Decima Mas. Poi, tappe in tutti i conflitti che Israele ha combattuto, sino anche alla guerra contro il Libano del 2006, la sanguinosa guerra dei 33 giorni, in cui Shayetet 13 compì un’operazione a Tiro contro gli Hezbollah.
Sulle coste del Libano, gli uomini della marina arrivano anche nel 1973, nella famosa operazione che portò all’uccisione, a Beirut, di alcuni dei membri del commando di Settembre Nero responsabile della strage delle Olimpiadi di Monaco. Quell’operazione fu, a dire il vero, condotta da un’altra delle famose unità speciali israeliane, la Sayeret Matkal, di cui è stato comandante anche l’attuale ministro della difesa, Ehud Barak, e di cui ha fatto parte un altro degli uomini che contano, nel paese, come Moshe «Boghi» Yaalon. Un’unità «di ricognizione» dell’esercito nel cui medagliere è rimasta famosa l’impresa di Entebbe e la liberazione degli ostaggi da un dirottamento aereo.

La STAMPA - Emanuele Novazio : " Da dove nasce la crisi con Gaza? "

L'impostazione delle domande su Gaza è sbagliata. Manca il riferimento preciso al terrorismo di Hamas. Leggendo domande e risposte sembra che il blocco imposto da Israele sia una specie di ripicca contro Hamas. In realtà ha lo scopo di evitare il suo riarmo e i conseguenti attentati ai danni della popolazione israeliana.
Per quanto riguarda la frase : "
Israele ha governato la Striscia dal 1967 (quando, dopo la guerra dei Sei Giorni, la strappò all’Egitto) al 2005 " Novazio non chiarisce che è stato proprio l'Egitto a rifiutare di riprendere la Striscia. Perchè, visto che di solito è bene informato ?
Ecco il pezzo:


Gaza 

Che cos’è la Striscia
di Gaza?
È un territorio compreso fra Israele ed Egitto, non riconosciuto come stato sovrano dalle organizzazioni internazionali, che l’Autorità nazionale palestinese (Anp) rivendica come territorio palestinese.
La Striscia è sotto occupazione israeliana?
Israele ha governato la Striscia dal 1967 (quando, dopo la guerra dei Sei Giorni, la strappò all’Egitto) al 2005. In base agli accordi di Oslo - firmati nell’agosto 1993 dal leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) Yasser Arafat e dall’allora ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres - lo Stato ebraico ne ha avviato il graduale trasferimento all’Anp nel 1994, conservando tuttavia il controllo militare dello spazio aereo, delle frontiere terrestri e delle acque territoriali. Nell’agosto 2005 il governo di Gerusalemme ha deciso lo smantellamento delle colonie.
Quando è stata ammainata la bandiera israeliana ?
L’11 settembre 2005: l’indomani il territorio è passato in mani palestinesi, ma secondo l’Anp lo stato giuridico delle aree sgomberate non è cambiato. E l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari considera Gaza un «territorio palestinese occupato».
Quando è stato deciso
il blocco di Gaza?
Nel giugno 2007. Dopo quasi due anni di controllo della Strisca da parte di Al Fatah (per decenni partito combattente e maggiore organizzazione politica palestinese), nel 2006 vinse elezioni giudicate regolari dagli osservatori internazionali il partito islamista Hamas, considerato «organizzazione terroristica» da Stati Uniti e Unione europea, che per questo sospesero gli aiuti a Gaza. Nei mesi successivi la tensione fra Hamas e al Fatah - il partito del presidente dell’Anp residente a Ramallah, in Cisgiordania - sfociò in scontri, la cosiddetta «guerra civile palestinese», che provocarono centinaia di morti. Il 14 giugno 2007 Hamas, fondata nel 1987 per creare uno stato islamico in Palestina, ottenne il controllo della Striscia.
Come reagì Israele?
Israele reagì con un embargo verso Gaza, missioni di guerra e «omicidi mirati» di esponenti palestinesi considerati pericolosi per la sua sicurezza, che provocarono tuttavia vittime civili e lanci di razzi da parte di Hamas contro installazioni e città israeliane, a loro volta responsabili di vittime civili.
Qual è la ragione ufficiale del blocco?
Impedire che arrivino ad Hamas rifornimenti di armi e materiali considerati sensibili dal punto di vista militare: per esempio acciaio - che potrebbe essere impiegato per fabbricare razzi - e fertilizzanti, che potrebbero essere utilizzati nella produzione di esplosivi. Israele intende inoltre fare pressioni per ottenere la liberazione del sergente Gilad Schalit, da 4 anni prigioniero a Gaza.
Quali prodotti non possono entrare a Gaza?
Non esiste un elenco preciso dei prodotti proibiti (anche se ci sono numerosi divieti per i generi alimentari, per esempio cioccolato e succhi di frutta, o per i manufatti come elettrodomestici, computer e auto). Israele assicura di non avere mai ostacolato i rifornimenti di cibo e medicinali. Ma l’Organizzazione mondiale della Sanità sostiene che il blocco ha accelerato lo sfascio del sistema sanitario. Secondo il direttore per il Medio Oriente di «Amnesty International», Malcolm Smart, «il blocco non colpisce gruppi palestinesi armati ma punisce l’intera popolazione di Gaza», quasi un milione e mezzo di persone.
Qual è la posizione dell’Onu?
Secondo la sua agenzia Unwra, il numero dei palestinesi che non dispongono dei mezzi per procurarsi beni essenziali come sapone e acqua pulita è triplicato dopo l’imposizione del blocco. Gaza registra il tasso di disoccupazione più alto al mondo, il 41,8%: il blocco non riguarda soltanto i beni in entrata ma anche le esportazioni. Secondo il capo del dipartimento stampa del governo di Gerusalemme, Daniel Seman, le voci di crisi umanitaria a Gaza sono al contrario il frutto di «propaganda» anti-israeliana.
Che posizione ha l’Egitto?
Il governo del Cairo ha chiuso il confine con la Striscia di Gaza sostenendo che la riapertura del valico di Rafah costituirebbe il riconoscimento del controllo di Hamas sul quel territorio, con conseguente indebolimento dell’Anp e legittimazione della frattura fra Gaza e Cisgiordania. Il Cairo - come l’esercito israeliano - ha inoltre distrutto molti tunnel sotto la frontiera con la Striscia, attraverso i quali Hamas si riforniva di armi ma che costituivano anche un mezzo per aggirare l’embargo, a beneficio soprattutto dei contrabbandieri e della stessa Hamas. L’organizzazione ha infatti imposto un dazio sui beni che entrano nella Striscia attraverso i tunnel, rivenduti a prezzi spesso troppo elevati per i normali cittadini di Gaza.

 

Il MANIFESTO - Zvi Schuldiner : "  Le ragioni di un’azione senza ragioni"

Un articolo che poteva venir pubblicato solo sulle pagine del quotidiano comunista. Ecco la tesi di Schuldiner: " La ragione di un atto senza ragione sembra essere in defintiva piuttosto semplice: il governo israeliano è al fondo un governo di piromani che minaccia costantemente di appiccar fuoco a tutta la regione. ". Insomma, non è Hamas a fare terrorismo, non è l'Iran con il suo programma nucleare a essere una minaccia, Siria ed Hezbollah non fanno niente di male. E' Israele e il suo tremendo governo di destra a creare tutti i problemi. Forse se Netanyahu permettesse agli odiatori di Israele di distruggerlo Schuldiner sarebbe felice. Fortunatamente ciò non accadrà. Schuldiner e i suoi colleghi imbarcati sulla flotilla se ne facciano una ragione.
Ecco il pezzo:

Il premier Benjamin Netanyhau ha dovuto annullare il suo incontro con Obama a Washington e rientrare precipitosamente di fronte al montare dell’enorme crisi internazionale creata dalla brutale azione della marina israeliana contro la «Freedom Flottilla» diretta a Gaza. L’incendio si estende per il mondo e Israele si ritrova in mezzo a un terribile uragano che forse ha un solo punto positivo: l’impressionante catena delle reazioni internazionali all’azione israeliana serve a gettare un fascio di luce su una realtà oscurata quali l’assedio di Gaza e la miseria imposta a un milione e mezzo di palestinesi. La ragione di un atto senza ragione sembra essere in defintiva piuttosto semplice: il governo israeliano è al fondo un governo di piromani che minaccia costantemente di appiccar fuoco a tutta la regione. La propaganda a buom mercato che racconta di un governo d’Israele alla ricerca incessante della pace non può nascondere l’essenza del problema: la politica di Netanyahu e soci è una politica di forza fondata sulla necessità di imporre un accordo che permetta di consolidare l’espansionismo territoriale della destra radicale e dei suoi alleati. Pavlovianamente il ministro della difesa Ehud Barak, uno pseudo «social-democratico moderato», e altri agit-prop israeliani già si sono lanciati nel tradizionale vittimismo proprio della propaganda ufficiale: non sono pacifisti, a Gaza non c’è nessuna crisi umanitaria, hanno attaccato i nostri soldati e volevano ammazzarli, sono agenti al servizio dell’Iran, degliHezbollah, del terrorismo islamico, volevano aprire in realtà un canale per introdurre armi e missili..., noi siamo le vittime! Appena tornatoNetanyahu si troverà davanti alla peggior crisi affrontata dal suo governo che dovrà rispondere a quello che tutto il mondo vuole sapere: perché si è scelto l’attacco armato quando in tutta evidenza c’erano altre opzioni alternative, anche sul piano militare, che avrebbero permesso di evitare spargimenti di sangue? Si leva già qualche voce, qui in Israele, a chiedere una commissione giudiziaria d’inchiesta ma soffocata da altre voci, quelle degli agit-prop del governo e del leader della «opposizione»: Tsipi Livni del Kadima ha già offerto i suoi servigi a Netanyahu perché in questa ora difficile dobbiamo stare tutti uniti, dice l’ex-ministro degli esteri nel governo di Olmert che scatenò la criminale guerra contro Gaza nel dicembre 2008. Solo la sinistra, i partiti arabi e il Meretz sembrano fare eccezione all’esplosione sciovinista d’appoggio ai «nostri ragazzi che hanno dovuto reagire davanti al pericolo per le loro vite». La Freedom Flottilla costituiva un problema fin dall’inizio. Non perché servisse da copertura di qualche gruppo terrorista, perché fosse al servizio dell’Iran o di Hamas ma perché rimetteva in primo piano la criminale stupidità del governo israeliano che continua nel suo brutale assedio di Gaza, sulla base di argomenti propagandistici che sono oro colato per i razzisti di ogni risma, per l’aria anti-islamica che spira in occidente, per tutti quelli che amano l’uso della forza e la guerra. L’assedio di Gaza è illegale, provoca enorme penuria alla popolazione e non può nascondere il fatto che se si vuole davvero la pace bisognerà discuterla anche con Hamas abbandonando una politica mirata ad approfondire le divisioni interne fra i palestinesi. Con vari morti turchi, con una violenta reazione diplomatica europea e mondiale che include i migliori amici del governo israeliano (Merkel, Sarkozy, Medvedev, fra gli altri), con l’ambasciatore turco richiamato ad Ankara e un serio deterioramento dei rapporti con la Turchia, con il Consiglio di sicurezza convocato d’urgenza, la propaganda menzognera e demagica di Israele non basterà. Chissà che il tragico evento di ieri non abbia anche un effetto positivo: il fatto che non si può più continuare a ignorare l’assedio di Gaza. Oggi è diventato ancor più chiaro che la cieca politica di forza del governo israeliano non serve neanche gli interessi di Israele. Più importante ancora che cercare la responsabilità di quel tal sergente o soldato, il sanguinoso attacco dei commandos dimostra che bisognamettere fine alla brutale politica israeliana e cercare la strada per negoziati di pace seri.

L'UNITA' - Moni Ovadia : " Verso la catastrofe 

Dedichiamo questo articolo di Moni Ovadia a tutti coloro che pensano ancora di andare a vederlo a teatro, o che lo invitano a tenere conferenze e spettacoli con la scusa che 'richiama molta gente'.
Ecco il pezzo:


Moni Ovadia

Era inevitabile che accadesse. L’insensato atto di pirateria militare israeliano contro il convoglio navale umanitario con la sua tragica messe di morti e di feriti non è un fatale incidente, è figlio di una cecità psicopatologica, della illogica assenza di iniziativa politica di un governo reazionario che sa solo peggiorare con accanimento l’iniquo devastante status quo. Di cosa parliamo? Dell’asfissia economica di Gaza e della ultraquarantennale occupazione militare delle terre palestinesi, segnata da una colonizzazione perversa ed espansiva che mira a sottrarre spazi esistenziali ad un popolo intero. Dopo la stagione di Oslo, il sacrificio della vita di Rabin, non c’è più stata da parte israeliana nessuna vera volontà di raggiungere una pace duratura basata sul riconoscimento del diritti del popolo palestinese sulla base della soluzione due popoli due stati. Le varie Camp David, Wye Plantation, Road Map sono state caratterizzate da velleitarismo, tattiche dilatorie e propaganda allo scopo di fare fallire ogni accordo autentico. Anche il ritiro da Gaza non è stato un passo verso la pace ma un piano ben riuscito per spezzare il fronte politico palestinese e rendere inattuabili trattative efficaci. Abu Mazen l’interlocutore credibile che i governanti israeliani stessi dicevano di attendere con speranza è stato umiliato con tutti i mezzi, la sua autorità completamente delegittimata. L’Autorità Nazionale Palestinese è stata la foglia di fico dietro alla quale sottoporre i palestinesi reali e soprattutto donne, vecchi e bambini ad una interminabile vessazione nella prigione a cielo aperto della Cisgiordania e nella gabbia di Gaza resa tale da un atto di belligeranza che si chiama assedio. Masoprattuttol’attualeclassepoliticaisraeliana brilla per assenza di qualsiasi progettualità che non sia la propria autoperpetuazione. È riuscita nell’intento di annullare l’idea stessa di opposizione grazie anche ad utili idioti come l’ambiziosissimo “laburista” Ehud Barak che per una poltrona siede fianco a fianco del razzista Avigdor Lieberman. Questi politici tengono sotto ricatto la comunità internazionale contrabbandando la menzogna grottesca che ciò che è fatto contro la popolazione civile palestinese garantisca la sicurezza agli Israeliani e a loro volta sono tenuti sotto ricatto dal nazionalismo religioso di stampo fascista delle frange più fanatiche del movimento dei coloni, una vera bomba ad orologeria per il futuro dello stato di Israele. La maggioranza dell’opinione pubblica sembra narcotizzata al punto da non vedere più i vicini palestinesi come esseri umani, ma come fastidioso problema, nella speranza che prima o poi si risolva da solo con una “autosparizione” provocata da una vita miserrima e senza sbocco. Le voci coraggiose dei giusti non trovano ascolto e anche i più ragionevoli appelli interni ed esterni come quello di Jcall, vengono bollati dai falchi dentro e fuori i confini con l’infame epiteto di antisemiti o antiisraeliani. Se questo stato di cose si prolunga ancora il suo esito non può essere che una catastrofe.

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