Riportiamo dall'ESPRESSO n° del 28/05/2010, a pag. 190, l'articolo di Umberto Eco dal titolo " Congiuntivi e pestaggi ".
L'articolo di Umberto Eco è molto interessante, peccato per la frase : "Vattimo insiste nel dire che essere antisionista non è essere antisemita. Ci credo. ".
Che Eco, semiologo di fama internazionale, faccia confusione fra uno Stato e il suo governo, è allarmante.
Si legga le dichiarazioni di Giorgio Napolitano sull'identità fra antisionismo e antisemitismo, non aggiungiamo altro.
Ecco l'articolo:
Umberto Eco
Quindici giorni fa ho protestato contro un invito al boicottaggio delle istituzioni accademiche e degli intellettuali israeliani, firmato anche dal mio amico Gianni Vattimo. Io non mettevo in questione il dissenso che si può manifestare nei confronti della politica del governo israeliano, ma dicevo che non si può sostenere, come faceva l'appello, che "gli accademici e gli intellettuali israeliani, nella quasi totalità, hanno svolto e svolgono un ruolo di sostegno dei loro governi". Tutti sappiamo quanti intellettuali israeliani polemizzino su questi temi.
Ora ricevo una cortese lettera di Vattimo e al tempo stesso altri messaggi di lettori che condividono le sue idee. Vattimo scrive: "Mi sento come uno a cui venga rimproverato l'uso improprio di un congiuntivo - capisco quanto le parole e la sintassi siano importanti per te semiotico - in una discussione sul pestaggio della Diaz... La domanda essenziale era: quanti intellettuali italiani del tuo calibro o, scusa, poco meno hanno preso pubblicamente posizione sul massacro di Gaza? E adesso quanti protestano per Chomsky fermato alla frontiera?".
Ma io a Vattimo non rimproveravo, a proposito del pestaggio alla Diaz, di usare male i congiuntivi, bensì di voler pestare per ritorsione tutti i poliziotti italiani. Idea che, immagino, dovrebbe essere respinta da ogni persona di buon senso. Se per gli errori di qualcuno si condanna una intera categoria, o addirittura un popolo, forse non si farà dell'antisemitismo ma certamente si fa del razzismo. La domanda essenziale di cui egli parla non era perché non si parla di Gaza (faccenda atroce) o dell'esecrabile proibizione di transito a Chomsky (che tra l'altro si era pronunciato contro il boicottaggio). La domanda essenziale riguardava il boicottaggio.
Tutte le lettere che ho ricevuto si sforzano di elencarmi tutti gli argomenti contro la politica del governo israeliano, dimenticando che io stesso ho detto di non condividerla. Ma il mio articolo chiedeva se, sulla base di un rifiuto della politica di un governo, si possono mettere al bando della comunità intellettuale internazionale tutti gli studiosi, gli scienziati, gli scrittori del paese dove quel governo governa.
Pare che i miei obiettori non vedano alcuna differenza tra i due problemi. Per esempio Vattimo, per sottolineare che nell'idea del boicottaggio c'è dell'antisionismo ma non dell'antisemitismo, mi scrive: "Sarebbero antisemiti i tanti ebrei antisionisti che sentono la loro religiosità ebraica minacciata proprio da questa politica di potenza?". Ma è proprio questo il punto. Se si ammette, e sarebbe difficile non farlo, che ci sono tanti ebrei (anche in Israele, si badi) che rifiutano la politica di potenza del loro governo, perché allora bandire un boicottaggio globale che coinvolge anche loro?
Sono di questi giorni due brutte notizie. Una è che nelle scuole degli estremisti religiosi israeliani sono state vietate le tragedie di Sofocle, "Anna Karenina", le opere di Bashevis Singer e l'ultimo romanzo di Amos Oz. Qui non c'entra il governo, c'entrano i talebani locali, e sappiamo che ci sono dei talebani dappertutto (c'erano persino dei talebani cattolici che mettevano Machiavelli all'indice). Ma allora (seconda brutta notizia) perché i boicottatori torinesi si sono comportati da talebani quando hanno protestato perché si voleva dare il premio del Salone del Libro (come poi è stato dato) a Oz? Insomma, Amos Oz non lo vogliono a Mea Shearim (il quartiere dei fondamentalisti di Gerusalemme) e non lo vogliono a Torino (città sacra alla Sindone). Dove deve andare questo ebreo errante?
Vattimo insiste nel dire che essere antisionista non è essere antisemita. Ci credo. So benissimo che quando due anni fa ha affermato che ormai era lì lì per credere ai "Protocolli dei savi di Sion" aveva solo voluto fare una di quelle battute provocatorie in cui eccelle - perché nessuna persona sensata e di buoni studi può leggere i "Protocolli" e ritenere che quell'insieme di autodenunce che si contraddicono tra loro sia opera autentica (e che i Savi Anziani di Sion fossero così coglioni). Ma Vattimo si sarà accorto che su Internet, accanto ai siti dove si condanna la sua uscita, ve ne sono moltissimi che invece ci gongolano. Ogni battuta estremistica rischia sempre di stimolare il consenso dei dissennati.
Ma Vattimo (e come lo capisco) alle battute non sa rinunciare, e conclude: "Ahmadinejad come minaccia di distruzione di Israele? Ma qualcuno ci crede davvero?". Beh, sarò un sentimentale, ma a me un tizio che vuole fare sparire una nazione dalla faccia del mondo un poco di paura la fa. Per le stesse ragioni per cui mi preoccupo per l'avvenire dei palestinesi.
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