Fine dell'attacco preventivo ? La dottrina Obama si scontra con la realtà. Due articoli sul CORRIERE della SERA di oggi, 28/05/2010, a pag. 16:
Paolo Valentino; " La dottrina Obama, mai più senza alleati "
WASHINGTON — «Il peso delle sfide di questo giovane secolo non può più ricadere solo sulle spalle degli Stati Uniti», scrive Barack Obama nell' introduzione alla «National Security Strategy», il documento che segna la rottura formale con l'unilateralismo della passata Amministrazione, ponendo l'impegno diplomatico e la rinascita economica accanto al potere militare come strumenti indispensabili alla futura leadership americana nel mondo.
(Ap/J. Scott Applewhite) Cerimonia I laureati di West Point aspettano l’intervento di Barack Obama alla consegna dei diplomi
Presentato ieri ufficialmente, il rapporto delinea in 52 pagine la visione del presidente democratico, bilanciando le promesse idealistiche della campagna con le realtà di un mondo denso di minacce e pericoli, che Obama ha dovuto fronteggiare nel primo anno e mezzo alla Casa Bianca.
La nuova strategia amplia il concetto di sicurezza nazionale per gli Stati Uniti, la cui superiorità militare dev'essere mantenuta, in quanto «unico Paese in grado di proiettare operazioni su larga scala anche a grande distanza». Ma come si legge nel documento, «un uso eccessivo del potere militare» o il rifiuto di «investire e credere in strumenti complementari, o di agire senza alleati e partner» sarebbe fatale: «Ai nostri avversari piacerebbe vederci indeboliti proprio da un'estensione eccessiva del nostro potere».
Il successo dipende invece dalla «capacità di ampliare il cerchio delle responsabilità». Dunque non più azioni preventive o solitarie, per «quanto gli USA si riservino il diritto di agire unilateralmente, quando è necessario a difendere i nostri interessi e la nostra nazione, cercando comunque di rispettare gli standard che regolano l'uso della forza». Ma l'impegno ad agire all'interno di un nuovo ordine e di un nuovo sistema di relazioni mondiali: «Per quanto dobbiamo vedere con chiarezza le insufficienze delle attuali istituzioni globali, dobbiamo impegnarci a rafforzarle e galvanizzare un'azione collettiva, che serva interessi comuni come la lotta all'estremismo violento, lo stop alla proliferazione e la sicurezza degli arsenali nucleari, la crescita economica sostenibile, soluzioni condivise ai pericoli dei cambiamenti climatici».
In futuro, gli USA cercheranno «di esaurire ogni altra opzione prima di andare in guerra» e cercheranno «ampio appoggio internazionale, lavorando con organizzazioni come le Nazioni Unite e la Nato».
Del tutto nuovo nel documento è il diretto legame stabilito tra la proiezione strategica e il risanamento economico: «Dobbiamo rinnovare le fondamenta della forza dell'America: la nostra sicurezza nazionale comincia a casa». Così, ridurre il deficit è essenziale per sostenere il potere di Washington nel mondo, così come lo sono migliorare il sistema educativo e ridurre la dipendenza dalle importazioni di petrolio puntando sulle energie alternative e rinnovabili.
Sul piano della governance globale, la nuova strategia americana ufficializza il ruolo della cooperazione con i nuovi protagonisti, come Cina, Brasile e India, accanto agli alleati tradizionali. E ratifica il ritorno di Mosca nell'orizzonte di Washington, che ora persegue «un rapporto stabile, multidimensionale e sostanziale con la Russia».
Pur nella piena consapevolezza di un netto smarcamento rispetto all'era di George Bush, la dottrina Obama non ha problemi a contemplare anche elementi di continuità con il predecessore. Insiste per il mantenimento della superiorità militare. Non esclude l'uso del segreto di Stato nei processi di terrorismo. Ma in un documento analogo, pubblicato nel 2002, Bush aveva fatto della «guerra al terrorismo» la priorità della politica estera americana. Il documento Obama sottolinea invece che «non si può fare guerra ad una tattica, il terrorismo, nè ad una religione, l'Islam». La guerra deve essere fatta contro un bersaglio concreto: Al Qaeda ed i suoi affiliati
Guido Olimpio: " Dalle aspirazioni ai fatti. Perchè l'America non disarma "

Guido Olimpio
Le aspirazioni e i fatti. Potrebbe essere questo il sottotitolo della nuova Dottrina per la sicurezza americana. I collaboratori del presidente Barack Obama cercano di distanziarsi dai dogmi del predecessore George W. Bush. In particolare sottolineano che gli Stati Uniti non sono un avversario dell’Islam e auspicano un approccio multilaterale. Ma Obama accompagna le promesse con contromisure che non sono poi diverse da passato. La Casa Bianca non ama il termine guerra al terrorismo, è però indiscutibile che la stia facendo comunque. Pesa di meno lo scacchiere Iraq, ma i soldati inseguono i nemici in Afghanistan, Somalia e Yemen. Guantanamo rimane, per ora, aperta. La risposta deve essere poi calibrata per reagire alla nuova sfida: la minaccia degli estremisti nati in casa, protagonisti di un numero record di tentativi. Nel contrasto all’eversione c’è meno enfasi ma più sostanza. L’incremento delle azioni clandestine contro i qaedisti in tutto il mondo ne è la prova. I tempi concessi al negoziato con i cattivi – Iran, Nord Corea – non significano una rinuncia al bastone. Resta il problema di far marciare sullo stesso binario due percorsi diversi. Sul primo corrono le spinte liberal, sostenute da una robusta maggioranza. Sul secondo l’esigenza di mantenere un sistema di sicurezza che a volte scricchiola. I falliti attacchi al volo Northwest e a Times Square hanno mostrato cosa hanno in mente i terroristi. Li definiscono «piccoli complotti», ma sono in grado di far molto male. Ecco perché Obama deve celebrare il matrimonio difficile tra le aspirazioni e i fatti. L’America non può disarmare.
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