Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/05/2010, a pag. 42, l'articolo di Fulvia Caprara dal titolo " E ora gli ayatollah liberano Panahi ".

Jafar Panahi
È stato il protagonista assente del Festival appena finito, il pensiero triste che aleggiava nel turbine della kermesse, il giurato mancante (il direttore, Thierry Frémaux, l’aveva invitato a far parte della squadra) con cui tutti avrebbero voluto scambiare opinioni. Il regista iraniano Jafar Panahi, 50 anni, Leone d’oro a Venezia nel 2000, arrestato il 2 marzo scorso a Teheran, ha ottenuto ieri la libertà provvisoria: «La domanda di scarcerazione è stata esaminata e accettata - ha dichiarato il procuratore, Abbas Jafari Dolatabadi -. Panahi sarà libero su cauzione». Il regista potrà quindi interrompere lo sciopero della fame iniziato nove giorni fa e annunciato durante la rassegna, in coincidenza con la presentazione del film di Abbas Kiarostami Copia conforme. La notizia, seguita dall’appello dell’autore, aveva provocato le lacrime di Juliette Binoche, un’istantanea che ha fatto il giro del mondo e sicuramente è servita a promuovere la causa della libertà di Panahi.
Il motivo dell’arresto era legato al progetto di girare un film sulle proteste antigovernative, un film che, come ha ricordato Kiarostami durante il suo intervento al Festival, «non è ancora stato girato». Durante i quasi tre mesi di reclusione, Panahi era stato accusato di aver filmato il carcere, cosa non vera, aveva replicato il regista, facendo sapere che non avrebbe né mangiato né bevuto fino al giorno in cui avrebbe riacquistato la libertà. Per lui, oltre a 85 cineasti iraniani, si erano mobilitati uomini di cultura da tutto il mondo.
Il ministro Sandro Bondi aveva invitato i colleghi europei a sottoscrivere una richiesta formale di liberazione: «La permamenza in carcere di Panahi è uno scandalo cui l’Europa deve reagire, perché dimostra che il regime iraniano ha imboccato la strada della repressione più brutale nei confronti di ogni forma di opposizione ed espressione di libertà da parte dei giovani, delle donne e degli uomini di cultura». La sedia vuota, nel gruppo dei giurati durante il gala inaugurale del Festival e il cartello con il suo nome nelle mani della Binoche, l’altra sera, nel corso del Palmarès, hanno sottolineato il crescendo di allarme e indignazione per un Paese che «mette in prigione l’arte». E forse, stavolta, gli artisti sono stati ascoltati.
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