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La Repubblica Rassegna Stampa
24.05.2010 Bashar al Assad e la sua visione della pace in Medio Oriente
l'asse Siria-Iran-Turchia-Hezbollah pronto a colpire Israele

Testata: La Repubblica
Data: 24 maggio 2010
Pagina: 10
Autore: Andrea Bonanni - Alix Van Buren
Titolo: «L´America perde terreno con Russia, Turchia e Iran sarà un nuovo Medio Oriente»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/05/2010, a pag. 10, l'intervista di Andrea Bonanni e Alix Van Buren a Bashar al Assad dal titolo " L´America perde terreno con Russia, Turchia e Iran sarà un nuovo Medio Oriente ".


Bashar al Assad

Ecco le dichiarazioni di Bashar al Assad sui rapporti tra Israele e Siria e sul Golan : " Se Israele è pronta a restituirci il Golan, noi non possiamo dire di no a un trattato di pace. Ma solo una soluzione complessiva garantisce la pace, quella vera. Un accordo limitato a Siria e Israele lascerà irrisolta la questione palestinese. Più che una pace, sarà una tregua. (...) Mettiamola così: se vi rubassero qualcosa, voi la vorreste indietro tutta, o solo in parte? Possiamo accettare molti compromessi: sulla sicurezza, sui rapporti. Però sulla terra, no: su quella non si tratta ". Dato che la restituzione del Golan non comporterebbe la pace con la Siria, non è ben chiaro per quale motivo Israele dovrebbe cederlo. Per lasciarsi bombardare meglio dalla Siria, come avveniva in passato? Al Assad tenta di far credere agli intervistatori che il Golan gli interessa perchè terra siriana. Peccato che quando le alture del Golan erano nei confini siriani non erano abitate da nessuno, nè coltivate, ma solo utilizzate come piattaforme per razzi contro la popolazione israeliana.
Per quanto riguarda l'Iran, al Assad dichiara : "
 L´Iran non c´entra niente con il mio negoziato e né lo intralcia. Perché dovrei allontanarmi da Teheran, finché appoggia la pace? Israele conosce le condizioni dell´accordo (...) In politica si dicono tante cose, ma contano le azioni. Se l´Iran vuole davvero la distruzione di Israele, perché ha appoggiato il nostro negoziato di pace? A Teheran sono più moderati di quanto si voglia dire ". Il fatto che l'Iran non abbia ancora distrutto Israele, non è dovuto alla mancanza di volontà di Ahmadinejad, ma solo alla sua attuale mancanza di mezzi militari. Per questo il suo programma nucleare va bloccato immediatamente. Quando gli ayatollah saranno in possesso di testate nucleari le parole diventeranno fatti, nonostante Bashar al Assad dica il contrario. Sul fatto che " a Teheran siano più moderati di quanto si voglia dire ", non è ben chiaro a che cosa si riferisca al Assad. Certo, di mancanza di moderatezza lui se ne intende, dato che è un dittatore, proprio come il suo amico Ahmadinejad. In ogni caso, reprimere la popolazione che protesta per i brogli elettorali, arrestare e impiccare i dissidenti dopo processi sommari, rapire turisti che per errore sconfinano nel territorio iraniano, affidare la repressione dei civili disarmati per strada ai basiji, sarebbero segnali di moderatezza?
Quando Bonanni e Van Buren ricordano a Bashar al Assad le accuse di aver mandato armi ad Hezbollah, risponde : " 
Ma no che non è così. Chi prende queste accuse sul serio? Nemmeno gli americani. È propaganda d´Israele, che non ha fornito la minima prova. Israele ha un problema d´immagine, offuscata per il trattamento inflitto ai palestinesi, per l´offensiva e l´embargo contro Gaza, per il rifiuto di congelare le colonie, di aderire alle iniziative di pace americane e arabe. Le accuse sono un diversivo per frenare l´intesa fra America e Siria. Ma intanto, noi continuiamo a lavorare per la pace. Prima o poi, arriverà". Assad nega e, tanto per cambiare, scarica la responsabilità su Israele. Quella delle armi sarebbe una bufala inventata da Israele per distogliere l'attenzione della comunità internazionale dal fatto che rifiuta di piegarsi a tutte le pretese degli arabi.
Al Assad dichiara : " 
 Israele adesso non è pronto a un´intesa. Non può farlo. La società israeliana s´è spostata troppo a destra. È un processo iniziato nel ‘67, si è approfondito con l´avvento di due destre al potere in America e in Israele: Bush e Sharon. E poi, serve un leader vero, che guidi la società. Non un impiegato, che bada soltanto a farsi riconfermare ogni quattro anni". Il tanto criticato Sharon è andato contro il suo partito per mantenere la parola data e cedere Gaza ai palestinesi. I risultati sono visibili a tutti: Gaza trasformata in un lanciamissili di Hamas.
Al Assad definisce 'impiegati' i vari premieri israeliani che si sono susseguiti nel corso degli anni e li critica perchè avrebbero badato solo a 'farsi riconfermare ogni quattro anni'. Insomma, alla democrazia israeliana va preferito il sistema siriano, una satrapia ereditaria.
Bonanni e Van Buren chiedono al dittatore siriano che cosa ne pensa dello scetticismo suscitato in Occidente dall'appoggio che Turchia e Brasile hanno garantito al nucleare iraniano e lui risponde : "
È uno scetticismo che mi lascia scettico. Non sembra che l´Occidente voglia risolvere il problema. Nella regione siamo preoccupati, perché quel che sarà imposto all´Iran, varrà anche per gli altri. Infatti il futuro dell´energia è il nucleare, oltre alle fonti rinnovabili. Anche io lo avrò, almeno per la produzione di elettricità". Assad non è preoccupato per il nucleare iraniano, anzi, presto vuole avviare un programma simile pure lui. La sua preoccupazione è più orientata sulle limitazioni di contenumento della politica iraniana.
L'Occidente, secondo Assad, non vuole risolvere il problema. E questo perchè intralcia il programma nucleare iraniano proponendo le sanzioni.
Un'intervista nella quale al Assad ha mostrato il suo abituale volto di dittatore che sta lavorando ad un'intesa con Hezbollah, Iran, Turchia per attaccare Israele.
Per quale motivo Obama abbia deciso di riaprire i rapporti diplomatici con un criminale simile, ci è purtoppo chiaro, sempre in nome della fallimentare politica della mano tesa che a lui piace tanto.
Forse qualche commento potevano farlo anche i due intervistatori, ma non ci aspettiamo così tanto da Repubblica.
Ecco l'intervista:

damasco - «Non possiamo più aspettare», dice Bashar al Assad, il presidente siriano. «L´America di Obama aveva suscitato speranze riguardo a una nuova politica mediorientale. Però, adesso è scoccata una nuova ora. Un´intesa fra le potenze del Medio Oriente sta ridisegnando l´assetto della regione». Seduto su un divano in pelle nera nel suo studio presidenziale, Bashar al Assad traccia quelli che definisce i contorni di un nuovo quadro geopolitico. Avverte: «Questa non è una inversione di rotta: noi vogliamo buoni rapporti con Washington. È, piuttosto, la presa di coscienza di una realtà: del fallimento di America ed Europa nel risolvere i problemi del mondo, nella nostra regione. Da questo fallimento affiorano necessariamente altre alternative: una mappa geostrategica che allinea Siria, Turchia, Iran, Russia, accomunate da politica, interessi, infrastrutture. Prende forma un unico spazio che unisce cinque mari: Mediterraneo, Mar Caspio, Mar Nero, Golfo Arabo e Mar Rosso. E cioè, il centro del mondo», spiega. E poi: «Non si tratta di rinunciare alla pace: se Israele ci restituirà il Golan, noi non potremo dire di no. Ma solo un accordo complessivo, che includa i palestinesi, garantirà la pace vera. E la pace, prima o poi, arriverà».
Signor presidente, lei sta delineando un nuovo fronte strategico come alternativa a un Occidente di cui lei vede declinare l´influenza?
«Io ricavo una lezione dagli errori del passato. L´America e l´Europa avevano detto "risolveremo noi i problemi". E noi abbiamo aspettato. Ora non crediamo più nel ruolo di altri Paesi. Se qualcuno vuole aiutare, benvenga. Però, la soluzione spetta a noi».
Se Israele fosse disposta a concludere un trattato con la Siria, lei accetterebbe? O pretende un accordo allargato al mondo arabo?
«Molti, in Occidente, non capiscono la differenza. Se Israele è pronta a restituirci il Golan, noi non possiamo dire di no a un trattato di pace. Ma solo una soluzione complessiva garantisce la pace, quella vera. Un accordo limitato a Siria e Israele lascerà irrisolta la questione palestinese. Più che una pace, sarà una tregua. Infatti, con cinque milioni di profughi palestinesi sparsi nel mondo arabo, la tensione resterà alta».
Israele le chiede di interrompere i rapporti con l´Iran, in cambio di un´intesa. Lei parla di nuove alleanze con Teheran. Non è una contraddizione?
«Premettiamo questo: la pace riguarda la Siria e nessun altro. Questa è la mia terra, il mio problema. L´Iran non c´entra niente con il mio negoziato e né lo intralcia. Perché dovrei allontanarmi da Teheran, finché appoggia la pace? Israele conosce le condizioni dell´accordo. Lo hanno detto a Moratinos, il ministro degli Esteri spagnolo».
Cosa gli hanno detto?
«Queste parole testuali: "Sappiamo che la pace con la Siria non avverrà senza la restituzione del Golan, fino all´ultimo centimetro"».
Ma la troppa intransigenza, presidente, non stroppia?
«Mettiamola così: se vi rubassero qualcosa, voi la vorreste indietro tutta, o solo in parte? Possiamo accettare molti compromessi: sulla sicurezza, sui rapporti. Però sulla terra, no: su quella non si tratta».
E l´America? Lei ha rinunciato alla speranza di una sua mediazione?
«L´America ora non ha influenza, perché non sta facendo niente. Però, resta l´unica grande potenza. Se vorrà avere una parte nei negoziati, sarà determinante nella fase finale, quando servirà la garanzia della comunità internazionale».
Ma una fase dei negoziati è partita con i colloqui indiretti fra Israele e l´Autorità palestinese, mediati da Mitchell, l´inviato speciale Usa. È un passo importante?
«Tutti sanno che porterà a niente. Lo sanno gli arabi, i palestinesi, persino gli americani. A Washington lo ammettono in privato: non si fidano di questo governo israeliano».
Che segnali le arrivano dalla Casa Bianca di Obama?
«Io vorrei distinguere fra la persona di Obama e l´America in quanto Stato. Il presidente ha buone intenzioni. L´atmosfera è decisamente migliorata: è stato tolto il veto al nostro accesso all´Organizzazione mondiale del commercio. Ma poi ci sono il Congresso, le lobby, che intervengono nel nostro rapporto in modo a volte positivo, altre negativo. E alla fine, contano i risultati».
Già, ma Stati Uniti e Israele vi accusano d´avere consegnato missili Scud al vostro alleato Hezbollah in Libano. È così?
«Ma no che non è così. Chi prende queste accuse sul serio? Nemmeno gli americani. È propaganda d´Israele, che non ha fornito la minima prova. Israele ha un problema d´immagine, offuscata per il trattamento inflitto ai palestinesi, per l´offensiva e l´embargo contro Gaza, per il rifiuto di congelare le colonie, di aderire alle iniziative di pace americane e arabe. Le accuse sono un diversivo per frenare l´intesa fra America e Siria. Ma intanto, noi continuiamo a lavorare per la pace. Prima o poi, arriverà».
Da cosa ricava questa convinzione?
«Ascoltate, non accadrà nel prossimo futuro. Israele adesso non è pronto a un´intesa. Non può farlo. La società israeliana s´è spostata troppo a destra. È un processo iniziato nel ‘67, si è approfondito con l´avvento di due destre al potere in America e in Israele: Bush e Sharon. E poi, serve un leader vero, che guidi la società. Non un impiegato, che bada soltanto a farsi riconfermare ogni quattro anni».
E allora perché lei è ottimista?
«Perché Israele ha perso uno dei suoi principali deterrenti. Finora contava sul potere delle armi. Ripeteva "non m´importa che m´amino, l´essenziale è che mi temano". Ora, malgrado la forza militare d´Israele, gli arabi non lo temono più».
Presidente, il quadro che lei va dipingendo giustifica un ripensamento della sua scelta strategica di allinearsi con Washington?
«Se vogliamo parlare di strategie, il fatto è che l´America adotta l´approccio empirico del "trial and error". Io invece ho una strategia, ed è guidata dai nostri interessi. Il mio rapporto con gli Stati Uniti passa attraverso questa lente».
E che aspetto ha il suo mondo, visto attraverso quella lente?
«Vedo un cambiamento epocale, non solo in Medio Oriente: Paesi, come anche Cina e Brasile, che non aspettano più che sia l´America ad assegnare le parti. Quanto alla nostra regione, vedo quel che molti non vogliono cogliere: la nascita di un´alleanza dettata da interessi comuni; di uno spazio nel quale coincidono politica, interessi e infrastrutture. È una nuova mappa saldata anche da una contiguità territoriale. Su questa si muovono potenze regionali ed emergenti».
Quali?
«La Siria, l´Iran, la Turchia. Ma anche la Russia. Sono tutti Paesi che stanno collegandosi l´un l´altro, anche fisicamente, attraverso gasdotti e oleodotti, ferrovie, reti stradali, sistemi per la conduzione dell´energia elettrica. Un unico, grande perimetro unisce cinque mari: il Mediterraneo, il Mar Caspio, il Mar Nero, il Golfo Arabo e il Mar Rosso. Stiamo parlando del centro del mondo. Da Sud a Nord, da Est a Ovest, chiunque si muova, deve percorrere questa regione. Ecco perché è stata flagellata da guerre per migliaia di anni».
Quindi ora in Medio Oriente bisognerà fare i conti con una triplice alleanza: Siria, Iran e Turchia?
«Esatto. Tra di noi, Paesi confinanti, debbono esserci buoni rapporti. Ce lo insegna il passato: a cosa sono serviti, infatti, 80 anni di conflitti con la Turchia? A niente. E invece, guardate i risultati: senza l´intesa fra Siria, Iran e Turchia, quale sarebbe oggi la situazione in Iraq, e più in generale nella regione? Molto peggiore, ve lo assicuro».
Ma la prima prova del fronte che lei descrive, cioè il blitz diplomatico di Turchia e Brasile sul nucleare iraniano, ha lasciato scettici americani ed europei. Secondo lei, perché?
«È uno scetticismo che mi lascia scettico. Non sembra che l´Occidente voglia risolvere il problema. Nella regione siamo preoccupati, perché quel che sarà imposto all´Iran, varrà anche per gli altri. Infatti il futuro dell´energia è il nucleare, oltre alle fonti rinnovabili. Anche io lo avrò, almeno per la produzione di elettricità. È un mio diritto, garantito dal Trattato di non proliferazione».
L´Iran oggi è considerato un grave pericolo dalla comunità internazionale. E la dura repressione contro l´opposizione interna dopo il voto dello scorso giugno non ha certo fatto cambiare idea. Non crede che l´allarme dell´Occidente sia giustificato?
«Qualcuno mi accusa d´avere stretto un patto col diavolo. Non è così. La mia è un´alleanza con un Paese importante nella regione, ed è questo che vale. È un vicino. E occorre avere buoni rapporti con i vicini, se vuoi risolvere un problema».
Ma si può collaborare con chi mette in dubbio l´esistenza stessa di Israele e ne invoca ogni volta la sua distruzione?
«In politica si dicono tante cose, ma contano le azioni. Se l´Iran vuole davvero la distruzione di Israele, perché ha appoggiato il nostro negoziato di pace? A Teheran sono più moderati di quanto si voglia dire».
E la Russia, che parte ha? Il presidente Medvedev è appena venuto da lei: la prima visita di un capo di Stato russo a Damasco dai tempi dei bolscevichi. Sono in arrivo altre novità?
«La visita di Medvedev vi fa capire la portata del cambiamento. Tutti vogliono avere un ruolo in questa regione. Anche la Russia ha i suoi interessi. Seguite i suoi movimenti e capirete il messaggio. Dopo Damasco, Medvedev è andato in Turchia dove ha firmato contratti per miliardi di dollari, ha eliminato i visti tra i due Paesi. Lo stesso abbiamo fatto noi con i turchi».
Mosca però vi fornirà anche armi, mentre l´America dà a Israele un nuovo sistema anti-missilistico. Stiamo tornando alla Guerra fredda?
«I russi non hanno mai creduto che la Guerra fredda fosse finita. E neppure noi. Ha soltanto cambiato forma, s´è evoluta col tempo. La Russia sta riaffermandosi. E la Guerra fredda è la normale reazione al tentativo americano di dominare il mondo».
Lei ha sfidato l´America a Beirut? Crede d´aver vinto la battaglia del Libano?
«I termini che voi usate non sono i miei, né rispecchiano il mio pensiero. Altri parlano di sfide e battaglie, perché il Libano era diviso in due campi: uno sostenuto dall´America, l´altro a favore di una diversa opzione, contraria a Israele. La vera vittoria sarebbe il riuscire ad avere buoni rapporti con tutti i libanesi. Come vedete, non è una guerra d´influenza fra Siria e Stati Uniti».
Presidente, ha ricevuto il premier libanese Sa´ad al-Hariri. Avete parlato a quattr´occhi dell´omicidio del padre, l´ex premier Rafiq al-Hariri, di cui voi siete accusati?
«Io sono una persona franca. Gli ho detto: "sii sincero con me. Se credi che lo abbiamo ucciso noi, o che siamo coinvolti, devi dirmelo"».
E lui?
«Era in visita come primo ministro; in quella veste ufficiale, non può esprimere un giudizio privato. Diventa affare di Stato. Deve aspettare le prove del Tribunale».
E come si pronuncerà, a suo avviso, il Tribunale?
«La nostra migliore difesa è collaborare. Io sono convinto della nostra innocenza».

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