Terrorismo ? Come dice, scusi ? Sergio Romano, islamista devoto
Testata: Corriere della Sera Data: 22 maggio 2010 Pagina: 23 Autore: Sergio Romano Titolo: «Casablanca, da Bogart alla Borsa, il sogno di una Wall Street africana»
Il CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2010, pubblica a pag.23, con il titolo " Casablanca, da Bogart alla Borsa, il sogno di una Wall Street africana " il terzo e ultimo articolo di Sergio Romano sul Marocco. Scrivevamo il 15 maggio scorso, in occasione della seconda puntata, che avremmo atteso le successive per esprimere il nostro giudizio complessivo. Ebbene, quella che segue è l'ultima puntata, e la nostra previsone si è rivelata esatta. Romano ha redatto un reportage a suo modo interessante se fosse uscito su un giornale economico, al quale in genere non si chiedono approfondimenti politici. Non è il caso del CORRIERE della SERA, sul quale ci saremmo aspettati uno straccio di analisi del terrorismo, un fenomeno che inquieta e preoccupa grandemente il Marocco. Invece no, neanche una riga. Si vede che il terrorismo di matrice islamica non è ritenutto da Sergio Romano sufficientemente interessante per entrare nella sua prosa. A lui interessano di più le critiche all'America, a Israele, la cura con la quale tratta l'islam è veramente devota. Ne prendiamo atto, pur non essendo una novità. Ecco il pezzo:
a sin. marocchini arrestati in Italia. a destra, attentato a Casablanca
CASABLANCA (Marocco) — Casablanca ha due aeroporti. Il primo è intitolato al nome di Mohammed V, nonno dell’attuale sovrano, ed è quello che collega il Paese con i maggiori scali internazionali. Il secondo è piccolo, vecchio, da molto tempo in disuso e potrebbe essere quello in cui Humphrey Bogart saluta malinconicamente Ingrid Bergman se tutto il film di Michael Curtiz non fosse stato girato negli studi di Hollywood. Ebbene esiste un progetto per costruire sull’area aeroportuale una Borsa e intorno ad essa una città degli affari destinata a creare sevizi finanziari per il continente africano. Qui, se il progetto andrà in porto, potrebbero essere collocati i titoli di Stato dei Paesi a sud del Sahara e raccolti capitali europei per i piani di sviluppo dei Paesi africani. Quando Fadel Agoumi, direttore de La VieÉco, uno dei due quotidiani economici del Marocco (l’altro è L’Économiste), mi descrive il progetto, non riesco a nascondere il mio scetticismo. Dopo la fine della guerra fredda l’Africa è diventata un grande ospedale dove quasi tutti i Paesi sono malati di corruzione, cattiva gestione economica, spreco delle risorse nazionali, colpi di Stato, guerre civili e una cronica instabilità politica. Siete davvero sicuri che non vi convenga lasciare l’aeroporto com’è? Agoumi crede invece che occorra guardare lontano e che il Marocco possa giocare qualche buona carta.
Qui sopra, «Casablanca» di Michael Curtiz con Claude Rains, Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. A destra, il set del film. Nella foto grande, l’aeroporto
Anche Khalid Belyazid, editore e direttore de L’Économiste, crede nel progetto e mi dice che la scelta africana è già stata fatta dalle compagnie telefoniche, che stanno conquistando il mercato della telefonia mobile, dal sistema bancario marocchino, che ha già comperato parecchie banche locali, e da Royal Air Marocco, la compagna aerea nazionale, che vuole intercettare il traffico africano e trasportarlo in Europa. Al progetto finanziario di Casablanca corrisponde quello industriale e logistico per la zona di Tangeri, dove sono cominciati i lavori per una fabbrica di automobili che dovrebbe produrre a pieno regime quattrocentomila vetture all’anno. Era, all’origine, un progetto Renault-Nissan, ma i giapponesi ne sono usciti a causa delle loro difficoltà interne e il governo marocchino li ha sostituiti comprando una partecipazione pari al 45%. Il mercato nazionale assorbe soltanto 100.000 vetture all’anno (per una popolazione di circa 34 milioni) e l’accordo prevede che l’85% della produzione venga riservato all’esportazione. Ancora più interessante è l’intenzione di trasformare Tangeri nel maggiore hub portuale del Mediterraneo per il traffico dei container provenienti dall’Atlantico. Tangeri fu per molto tempo il maggiore centro cosmopolita del Marocco, la città dove l’Italia aprì la sua prima legazione negli anni Ottanta dell’Ottocento ed ebbe fino alla Seconda guerra mondiale una importante comunità nazionale composta da professionisti, piccoli imprenditori, artigiani. Ne parlo con Ahmed Reda Chami, ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Innovazione Tecnologica. Anche in questo caso si spera di attrarre il traffico africano e la prima scelta era caduta sul porto atlantico di Agadir. Ma Tangeri può meglio raccogliere il traffico delle Americhe ed è più vicina ai grandi centri di consumo dell’Europa meridionale. Nel consorzio che dovrebbe gestire lo snodo di Tangeri è presente anche Gioia Tauro, il maggiore porto italiano per il traffico dei container.
Troppe speranze e illusioni per un Paese che non ha ancora liberalizzato i suoi servizi finanziari e continua a controllare i cambi? Chami risponde che il Marocco è pronto a liberalizzare nell’ambito del patto di associazione con l’Unione europea ed è convinto che i rapporti con Bruxelles costringeranno il Marocco ad aggiornare la sua vecchia macchina amministrativa. Ma vorrebbe che l’Ue fosse meno restrittiva in materia di libero movimento delle persone. Non sembra che pensi all’immigrazione (molto diminuita, comunque, da quando quasi tutti i Paesi europei hanno dato un giro di vite). Forse si accontenterebbe di una maggiore liberalità per tecnici, funzionari d’azienda, consulenti. Le speranze, comunque, sembrano giustificate dai dati sullo sviluppo del Paese.
Il ministro dell’Economia Salaheddine Mezouar mi dice che nel 2009 il debito pubblico rappresentava il 47% del Prodotto interno lordo (13 punti al di sotto della regola d’oro prevista dal Trattato di Maastricht), il deficit era al 2,5%, l’inflazione al 2%, la crescita del Pil al 5%. Nel 2010 la crescita potrebbe scendere al 3,5-4% e il deficit salire al 3,5%. Ma se confrontata all’Algeria e all’Egitto l’economia marocchina è in migliori condizioni salute. Secondo il direttore de La VieÉco tutto comincia negli anni Novanta quando il governo di Hassan II punta sullo sviluppo dell’agricoltura, riforma la legge bancaria e il codice commerciale, privatizza e versa i proventi della vendita (9 miliardi di dirham, pari a 800 milioni di euro) in un fondo sovrano che servirà a finanziare progetti infrastrutturali. Non è escluso che il Marocco, di questo passo, diventi un modello economico per i Paesi del Medio Oriente che non riescono a decollare. Lo deve anzitutto al fatto di non avere subito al momento dell’indipendenza, come l’Algeria, il trauma di una sanguinosa guerra di liberazione. Ma anche ai suoi buoni rapporti con il suo vecchio padrone coloniale, alla qualità di una classe dirigente formata nelle scuole francesi, alla continuità dello Stato, al sentimento nazionale e a un regime monarchico che ha saputo conciliare piuttosto bene, per ora, l’identità religiosa e la modernità, il principio di autorità e la democrazia.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.