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Il venerdì santo di Umberto Eco 20/05/2010

Copia di due e-mail inviate a Umberto Eco dopo la pubblicazione (lunedì scorso su IC) del suo articolo sull'Espresso:

Gentile Professor Eco,

in riferimento al suo articolo sull’Espresso del 14 maggio scorso, ho apprezzato il suo intervento contro l’ignominiosa moda del boicottaggio accademico invocato da certa intellighentia politicizzata contro il solo Israele fra tutte le Nazioni del mondo. All’idea stessa del boicottaggio accademico contro Israele, Lei ha replicato correttamente, ricordando i pregi della cultura storica di Paesi che – troppo importanti per essere boicottati dato il loro peso in politica ed economia internazionali – vìolano sistematicamente e con evidenza concreta (alla verifica) i diritti umani.
In questo suo secondo dignitoso intervento contro il boicottaggio accademico ad Israele, tuttavia Lei incorre in un errore storico con messaggio implicito gravissimo, e in due valutazioni a parer mio piuttosto gravi.
Nessun ebreo del tempo poteva riunirsi e tanto meno condannare a morte, di venerdì e per di più in un venerdì di Pasqua, fatto storico acclarato finalmente con il Concilio Vaticano II. Lei dovrebbe sapere che al Sinedrio furono posti uomini – nemmeno ebrei, data la trasmissione per sola via materna – fedeli a Roma e al loro uomo Erode (un altro non ebreo, se non per padre). Mi meraviglio se mai, che nessuno abbia mai avvertito la necessità di fare una riflessione sui due figli del padre che furono in quel momento giudicati: l’anonimo Barabba (letteralmente bar abba in ebraico, figlio del padre) e Gesù che pure figlio del padre si proclamava. D’altronde, tutti noi: ebrei e cristiani, non ci consideriamo figli di Dio e preghiamo il Padre? In quanti erano consapevoli della divinità di Gesù? Da Maria ai 12 apostoli e pochi altri. E, nemmeno poi tanto, visto che pretendevano continue prove, vedi miracoli. Tra il liberatore da un sistematico e sanguinario giogo ed un rabbi che predicava la vita dopo la morte, chi ancor oggi – tutti noi nel mondo - salveremmo? Senza eccezione e senza ipocrisia? Ora, se il mistero della fede cattolica prima, cristiana poi, ha storicamente costruito accuse che sono costate l’odio e la vita per gli ebrei, a maggior ragione credo che Lei si renda conto di essere inciampato in un riconoscimento del deicidicio, quando riferendosi a Gianni Vattimo, afferma: “…è come giudicare tutti gli ebrei responsabili di deicidio…”. Quel “tutti” rileva che comunque alcuni o tanti ebrei si siano resi colpevoli di deicidio.

Lei “non condivide affatto la politica del governo israeliano”. La conosce bene? Ha mai condiviso la politica dei precedenti governi israeliani? Non ho mai letto nulla di Suo in senso affermativo. Mi corregga se sbaglio. Avrebbe aderito al boicottaggio accademico contro Israele se tutti gli intellettuali od accademici israeliani approvassero le politiche del loro governo? Perché l’impressione che si evince dal Suo articolo contro il boicottaggio è che Lei opponga dei chiari distinguo – in linea con i pregiudizi - alla Sua dignitosa opposizione. Quanto al JCall, Raison Garder e Fiamma Nirenstein hanno opposto ai 3000, più di 13 mila firmatari e le due liste continuano ad aumentare il consenso. BHL ha fatto dei distinguo contro alcune espressioni usate nel JCall. Ma per quanto stimi spesso l’autore BHL, non ignoro che rimane sempre un “enfant à la mode” che cede spesso al suo narcisismo dell’apparire. Ben diversa la caratura di Elie Wiesel. Che “è” e non ha bisogno di apparire.

Cordiali saluti,
Danielle Sussmann

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Gentile professore,
l’articolo da lei firmato per l’Espresso del 14 us mi spinge a scriverle per porle una domanda ed esporle una critica; spero che non me ne vorrà. Innanzitutto la critica, dettata dal fatto che io, ebreo laico, particolarmente attento ai pericoli sempre incombenti di antisemitismo, credo di avere una particolare sensibilità su determinati argomenti. Lei scrive: “Io credo che griderebbe all'ingiustizia e affermerebbe che fare così è come giudicare tutti gli ebrei responsabili di deicidio solo perché il Sinedrio quel venerdì santo era di malumore”. Non pensa che sia pericoloso riaccostare il termine deicidio agli ebrei, soprattutto in un momento come questo, in cui si stanno riesumando e rispolverando tutti i peggiori clichés dell'antisemitismo classico? Perchè lascia credere che siano stati ebrei i responsabili della morte di Gesù? Poi, che il sinedrio potesse giudicare in un determinato modo in base all'umore di quel giorno mi sembra gravemente offensivo nei confronti di quel consesso ufficiale. Ed infine che quel venerdì (che all'epoca in cui si sono svolti i fatti in questione non era, mi perdoni, "quel venerdì santo" - tale denominazione è arrivata molto più tardi - ma semplicemente "un" venerdì), nel pieno delle celebrazioni di Pesach (la sera prima si era svolto il seder di Pesach, passato poi alla tradizione cristiana come "ultima cena") gli ebrei potessero riunirsi per decidere una sentenza è fuori dalla realtà storica. Bisogna, in un momento storico come l’attuale, fare estrema attenzione alle parole usate, e credo che anche lei, come semiologo, dovrebbe concordare con questo mio convincimento. Quanto poi all’argomentazione da lei scelta per confutare il boicottaggio delle università israeliane, vorrei farle osservare quanto segue, che non traspare dalle sue parole: è in atto un grande sforzo, promosso proprio dai dirigenti del Fatah (non è un caso se proprio in questi giorni ho ascoltato a Torino sull’argomento Omar Barghouti propugnare le stesse tesi di Vattimo). Ma sono corrette le sue argomentazioni? Lei ha spesso affermato - e lo ha fatto anche in questa occasione - che è sbagliato boicottare le istituzioni accademiche israeliane perché proprio in queste sono presenti le voci più critiche nei confronti del governo israeliano: questo significa forse che se i membri delle istituzioni accademiche fossero totalmente solidali con il governo, la sua condanna del boicottaggio potrebbe non essere così netta? E ancora una cosa mi permetto di rilevare nel suo articolo. Lei afferma: “non condivido affatto la politica del governo israeliano”. Ora, le chiedo: quale politica? Quale governo? Perché, gentile professore, stiamo parlando di 62 anni di politica, stiamo parlando di una infinita serie di governi che in questi 62 anni si sono succeduti; alcune politiche, alcune posizioni, alcune scelte sono state, e sicuramente saranno, identiche in tutti i governi, ma altre non lo sono affatto, e cambiano da governo a governo, quindi, torno a chiedere: quale politica? Quale governo? C'è una qualche politica di un qualche governo, in questi 62 anni, che abbia goduto della sua approvazione? Perché di prese di posizione a favore di qualche politica israeliana, a favore di qualche governo israeliano, io non ne ricordo. E sarebbe bene, invece, sapere esattamente che cosa lei approva e che cosa no, in modo da sgombrare il campo da sgradevoli e imbarazzanti sospetti che la sua disapprovazione nei confronti del "governo israeliano" sia frutto di una posizione preconcetta.
La ringrazio per l’attenzione e le invio distinti saluti
Emanuel Segre Amar

 PS: Poi, volendo, ci sarebbe da fare un lungo discorso sulla cosiddetta "espansione degli insediamenti israeliani", ma non voglio dilungarmi troppo; lo farò in occasione di una prossima lettera aperta: sono certo che non mancherà l'occasione.


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