Anche l'Arabia Saudita s'è accorta dell'inettitudine di Obama in politica estera Le critiche del principe Turki bin Faisal riportate da Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 20 maggio 2010 Pagina: 3 Autore: Carlo Panella Titolo: «Obama è un inetto, parola di un 'fedele alleato' saudita»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/05/2010, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Obama è un inetto, parola di un 'fedele alleato' saudita ".
Turki bin Faisal, Carlo Panella
L’ultimo attacco frontale, quasi spudorato, alla Casa Bianca è arrivato dal paese da cui Barack Obama meno se l’aspettava: l’Arabia Saudita. Peggio ancora, a canzonare il presidente americano è stato Turki bin Faisal, che ora non ricopre alcuna carica ufficiale nel governo saudita ma che è senza dubbio uno dei principi più rappresentativi e potenti del regime di Riad. Durante un incontro con industriali, diplomatici e giornalisti, riportato dalla France Presse, Turki bin Faisal ha detto: “Gli Stati Uniti sono incapaci di risolvere i problemi afghani e l’inettitudine di cui ha dato prova l’Amministrazione Obama nel suo modo di relazionarsi con Hamid Karzai suscita incredulità e stupore e lascia ora entrambe le parti piene di risentimento e con un sapore amaro in bocca”. Ha poi concluso, con inusuale verve irrisoria: “Presidente Obama, basta banalità, pii desideri e ‘vision’, per favore”. Turki bin Faisal ha riservato la stessa cortesia al segretario di stato americano, Hillary Clinton, accusato di “boicottare gli sforzi per denuclearizzare il medio oriente”. Il problema per Obama è che Turki bin Faisal non soltanto è uno degli uomini più potenti dell’Arabia Saudita (è figlio dell’ex re Faisal), ma è anche uno dei punti di riferimento essenziali dell’ala “moderna” del regime, tanto che è editore del quotidiano al Watan, noto per le sue battaglie contro il fondamentalismo islamico e per le sue campagne a favore di – prudenti – liberalizzazioni (soprattutto nei confronti delle donne). La carriera politica di Turki è stata affascinante e piena di misteri: è stato infatti il responsabile dell’Istakhbarak, il servizio segreto negli anni Novanta, e ha quindi contribuito con i pachistani a “creare” ed eterodirigere i talebani, il cui governo era riconosciuto infatti soltanto da Riad e da Islamabad. Turki bin Faisal ha prima collaborato poi combattuto Osama bin Laden (che però non riuscì a farsi consegnare nel 1994 da Omar al Beshir, il dittatore sudanese, che pure gli consegnò il terrorista Carlos) e ha rilasciato dichiarazioni ostili contro i progetti di George W. Bush di invadere l’Iraq. Il 31 agosto del 2001, con una coincidenza non casuale con l’imminente attentato alle Torri gemelle, diede le dimissioni dalla direzione dei servizi, per poi diventare – nello stupore generale – ambasciatore a Washington, un ruolo che è di fatto parificato a quello di ministro degli Esteri, perché controlla i contratti di acquisto d’armi negli Stati Uniti e le decine di miliardi che i sauditi hanno investito in petrodollari e che girano a Wall Street. Destò ancora più stupore, però, il breve periodo di questa rappresentanza (dal luglio 2005 al dicembre 2006), sintomo delle turbolenze interne alla corte di Riad. Oggi Turki bin Faisal non esprime critiche tattiche, ma strategiche all’Amministrazione americana. Sulla questione palestinese dice: “Il mondo arabo ha dato tempo a Obama fino a settembre per fare funzionare le cose. Ma parlare di colloqui non basta. Deve compiere passi concreti. Se non ci riuscirà, chiederò a Obama di fare un gesto di decenza riconoscendo lo stato palestinese, che così ardentemente lui desidera. Allora potrà andarsene e lasciarci in pace, consentendo a palestinesi, siriani e libanesi di negoziare direttamente con gli israeliani”. Più radicale è la critica alla strategia in Afghanistan: “Le operazioni della Nato hanno alienato le simpatie del popolo afghano e non lasciano speranze sulla ricostruzione del paese. Cacciate i terroristi lungo i due lati della frontiera tra l’Afghanistan e il Pakistan e lasciate che il popolo afghano si occupi dei suoi problemi. Sin quando saranno lì, i soldati saranno obiettivi della resistenza del popolo afghano e dei mercenari ideologici”. Parola di “fedele alleato”.
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