Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
In Israele parlano tutti, alcuni anche peggiori di Chomsky. La prova che è stato un equivoco Il commento di Pierluigi Battista
Testata: Corriere della Sera Data: 20 maggio 2010 Pagina: 40 Autore: Pierluigi Battista Titolo: «Israele non abbia paura di Chomsky»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/05/2010, a pag. 40, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Israele non abbia paura di Chomsky ".
Pierluigi Battista
Israele sbaglia quando chiude le frontiere a Noam Chomsky: un nemico dichiarato dello Stato israeliano, che ne odia la natura democratica, il carattere di società aperta conservato malgrado un’infinità di guerre e l’assedio cui è sottoposto sin dalla sua fondazione. Reduce dalle visite a Hezbollah e Hamas, Chomsky non cambierà certo idea su Israele. Ma spetta a Israele l’ingrato compito di non cambiare mai se stesso. E di non rinnegare, ad ogni costo, la propria identità libera e pluralista.
È facile parlare da lontano, senza sperimentare su di sé l’odio esistenziale che cova ed esplode nel mondo che vorrebbe cancellare uno Stato e chi vi risiede e che vorrebbe annientare un popolo, mascherando con l’ideologia antisionista un antiebraismo furioso e assoluto. Ma proprio in questo consiste la miracolosa singolarità di Israele. Una società circondata da nemici che ne vogliono l’annichilimento e che pure non rinuncia alle sue magnifiche biblioteche, alle librerie che ospitano volumi infrequentabili nei variegati dispotismi del Medio Oriente, agli archivi che rendono disponibili agli studiosi anche i più ostili carte e documenti, alle università le cui cattedre sono occupate anche da storici e intellettuali ipercritici nei confronti del loro Stato, intenti a scandagliare negli angoli più bui della propria storia.
Israele non ha avuto paura del Valzer con Bashir, il film d’animazione che ne ha svelato i tormenti nella guerra in Libano e nella strage (non impedita) dei palestinesi di Sabra e Chatila. Non può avere paura di un guru dell'antiamericanismo ideologicamente più forsennato come Noam Chomsky che ha abbracciato con calore e amicizia il terrorista Nasrallah, che ha fatto mercato dei corpi dei soldati ebrei. Le opere di Edward Said, l’intellettuale palestinese che è stato ferocemente critico con Israele ma anche con la dirigenza di Arafat, sono disponibili sugli scaffali di Tel Aviv e di Gerusalemme, non certo nelle capitali arabe o nei territori occupati, dove anzi sono vietatissime. Questa è l’«eccezione» israeliana. Un’eccezione democratica che non può essere intaccata dalla scena di un visto a un intellettuale celeberrimo che non nasconde la propria avversione totale allo Stato di Israele.
La biografia politica e intellettuale di Chomsky è costellata di battaglie condotte nel nome dell’ostilità immarcescibile per l’America: ma in America Chomsky ha il diritto, liberale e democratico, di muoversi e di parlare. In odio alla «sua» America, Chomsky ha coperto e giustificato i delitti più efferati di Pol Pot in Cambogia, si è fatto portabandiera del più truce negazionismo sugli attentati dell'11 settembre, ha paragonato con disinvoltura la Cia agli aguzzini della Gestapo. Ma negli Stati Uniti i libri di Chomsky, non solo quelli che gli hanno dato la meritata fama di studioso del linguaggio, hanno ovviamente una libera circolazione. Le democrazie forti sono quelle che non hanno timore anche delle critiche più estreme e cervellotiche.
Niente di peggio che regalare a Chomsky l’aureola di martire della libertà: proprio a lui, che non fa mai mancare il proprio sostegno ai regimi più tirannici e illiberali. E l’«eccezione» democratica israeliana non può contraddirsi di fronte a un visto, al passaporto di uno dei più noti e ascoltati esponenti dell’odio anti-israeliano. L’odio per un Paese agitato da un’opinione pubblica vivace e ipercritica, nutrita da una libera stampa senza complessi e senza tabù, articolata, pluralistica, abituata a trattare i temi più controversi anche quando viene ferita dai razzi dei suoi vicini e dalla caparbia incomprensione della sensibilità occidentale, che spesso nutre per Israele un pregiudizio sfavorevole impossibile da estirpare. Se Israele concedesse il visto a Chomsky non rafforzerebbe i suoi nemici, ma darebbe l’ulteriore prova della sua apertura, della solidità delle sue ragioni più forti di ogni censura e di ogni divieto. Un gesto di coraggio, per un Paese in cui il coraggio non è mai mancato. E uno schiaffo ai suoi nemici, che richiedono per se stessi una libertà che mai concederebbero a chi la reclama dove essa è negata, da Teheran a Gaza.
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