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David Braha
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Obama e la questione nucleare: la differenza tra teoria e pratica 19/05/2010
 Obama e la questione nucleare: la differenza tra teoria e pratica


David Braha

Appena un mese fa il mondo ha lodato all’unisono l’operato di Barack Obama. Al Summit sulla Sicurezza Nucleare di Washington dello scorso 12 Aprile, il Presidente USA ha riunito ad un tavolo quarantasette rappresentanti e capi di governo da diversi paesi. Lo scopo? Incrementare le misure di sicurezza attorno a materiali nucleari che potrebbero cadere con relativa facilità nelle mani di organizzazioni terroristiche, o che potrebbero causare disastri accidentali a causa dell’inadeguatezza delle strutture che li ospitano al momento. Gli accordi stipulati prevedono il trasferimento dell’uranio arricchito in speciali strutture statunitensi e russe, nelle quali il pericoloso materiale verrà convertito in un tipo di uranio inadoperabile al fine bellico. Non solo. Nel mese precedente al vertice di Washington, l’inquilino della Casa Bianca ha raggiunto un accordo con la Russia al fine di ridurre drasticamente il numero di testate nucleari in possesso delle due potenze un tempo rivali. Come se non bastasse, Obama ha anche siglato un impegno denominato “Nuclear Posture Review”, secondo il quale gli Stati Uniti non faranno mai uso di armi nucleari contro paesi che non possiedono tale tecnologia, un impegno esteso anche all’evenienza in cui l’America venisse attaccata con armi biologiche o chimiche. Tutti questi sono i risultati del lavoro di un giovane Presidente che appena ventisette anni fa scriveva una tesi universitaria sulla riduzione degli arsenali nucleari, e che ora si trova ad essere l’uomo più potente al mondo.

 In fondo Obama non ha mai nascosto che tra le priorità della sua Amministrazione in fatto di sicurezza interna ed internazionale vi sono a) prevenire che armi nucleari finiscano nelle mani sbagliate; b) procedere lungo il percorso di un lento ma continuo disarmo, finalizzato alla totale eliminazione della minaccia atomica dal mondo. La prima è un’ulteriore misura che rientra nel programma di lotta al terrorismo globale; il secondo, un obiettivo dettato da un’ideologia ben precisa. A più riprese infatti il Presidente USA ha affermato di sognare un mondo privo di armi nucleari. Il problema è che, nonostante queste due nobili idee siano poi state effettivamente seguite da azioni concrete, vi sono due elementi che dovrebbero destare preoccupazione. Il primo è l’ormai noto fatto che nei confronti di una minaccia concreta come l’Iran, Obama sta ancora usando il guanto di velluto: se con il Summit di Washington ha “fatto vedere i muscoli”, mostrando le proprie doti di leadership internazionale, ciò è avvenuto con paesi con i quali le trattative sono relativamente semplici. O almeno, sono semplici se messe a confronto con l’arroganza del regime degli Ayatollah. Riguardo quest’ultimo, appunto, ancora si stanno discutendo eventuali sanzioni, senza che nessuna azione concreta si materializzi. E quindi, dove sono finiti i muscoli della Casa Bianca in questo caso?

 Tuttavia, altrettanto preoccupante è il fatto che un Presidente degli Stati Uniti d’America auspichi ad un futuro senza armi nucleari, ma soprattutto che ci creda. Questa non è una dichiarazione d’amore nei confronti della guerra, della morte, o del fungo nucleare: a chi di noi non farebbe piacere apprendere di una riduzione degli arsenali e delle testate? Ma allo stesso tempo bisogna pensare in maniera razionale, realistica. Per quanto ottimisti si possa essere, non si può “disinventare” una tecnologia che ormai esiste. E comunque i paesi che già possiedono l’atomica – inclusi gli USA – non rinuncerebbero mai alla posizione privilegiata che tale arma gli garantisce: il potere di deterrenza militare, strategica e politica di queste testate è tale che nessuno ci terrebbe a “far arrabbiare” un paese che con un solo colpo è in grado di cancellare anche il ricordo della tua esistenza. Non è quindi preoccupante che un Presidente USA, e non un qualunque attivista per la pace, la pensi in maniera così naïve?

 Ma veniamo all’attualità. Appena qualche giorno fa l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha dichiarato che il mese prossimo si terrà, per la prima volta in circa mezzo secolo, una riunione speciale che avrà all’ordine del giorno una discussione sulla potenzialità nucleare di Israele e sulla sua politica di “ambiguità nucleare”. La novità è dovuta al fatto che Washington ha fatto sapere che non continuerà ad appoggiare il diritto di Israele a non dichiarare le proprie capacità atomiche: secondo il principio di uguaglianza, gli USA non applicheranno alcun trattamento di favore nei confronti di nessuno riguardo al nucleare. Tuttavia le ripercussioni di una scelta del genere sono preoccupanti, non solo per lo Stato Ebraico. Trattando tutti alla stessa maniera, non si traccia alcun tipo di distinzione tra paesi che, nel corso degli anni, hanno dimostrato di essere responsabili nella gestione delle proprie risorse nucleari, e paesi che invece rappresentano una minaccia concreta. Se l’Iran dovesse mai raggiungere la capacità di costruire delle testate, la sicurezza di quest’ultime sarebbe tutt’altro che garantita. In un regime instabile in cui gli attriti interni potrebbero esplodere da un momento all’altro, e in cui non vi è una forte disciplina burocratica, non sarebbe inverosimile pensare che un gruppo di fanatici un giorno possa spingere il bottone e detonare un’atomica, o che peggio ancora che tali armi vengano messe alla mercé di gruppi terroristici. E un evenienza del genere sarebbe sicuramente più probabile in Iran piuttosto che in paesi come il Regno Unito, la Russia, la Francia, o lo stesso Israele.

 A quanto sembra, quindi, il genuino sforzo da parte di Barack Obama di rendere il mondo un posto più sicuro potrebbe ottenere risultati diametralmente opposti a quelli auspicati. Il problema è che l’applicazione di principi teoricamente giusti e nobili come il totale disarmo nucleare, il principio di uguaglianza nelle relazioni con altri paesi, e il dare la precedenza alla diplomazia piuttosto che all’uso della forza (non necessariamente militare), si scontrano con realtà concrete estremamente preoccupanti. È giusto ridurre gli arsenali atomici, ma un mondo senza nucleare ormai non esiste nemmeno nelle fiabe; è giusto essere uguali con tutti, ma non bisogna dimenticare che non tutti sono uguali; è giusto tendere la mano all’avversario, ma tendergliela se questo ti punta una pistola in mano è suicida. In altre parole, ciò che vale sul piano teorico non sempre gode di altrettanto successo all’atto pratico. In molti lo danno per scontato. Il problema è che Obama sembra non averlo ancora capito. Peccato solo che potremmo essere noi a pagarne le conseguenze.


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