domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
18.05.2010 Costruire una moschea a Ground Zero
Un'idea che entusiasma Vittorio Zucconi

Testata: La Repubblica
Data: 18 maggio 2010
Pagina: 35
Autore: Vittorio Zucconi
Titolo: «La moschea di Ground Zero risveglia le fobie di New York»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/05/2010, a pag. 35, l'articolo di Vittorio Zucconi dal titolo " La moschea di Ground Zero risveglia le fobie di New York".

Ground Zero, il progetto. Non prevista la moschea

Costruire una moschea a Ground Zero. Un'idea  improponibile. Un'idea che può venire appoggiata solo da chi non ha ancora ben chiaro il disegno globale del fondamentalismo islamico, come VIttorio Zucconi, il quale scrive:
  "
E perché no, si potrebbe rispondere, visto che i mussulmani d´America nulla ebbero che fare con i 19 assassini venuti dalla penisola Arabica? ". Certo, non si può dire che tutti i musulmani d'America abbiano legami con al Qaeda. Ma è innegabile che tutti i terroristi dell'11 settembre erano musulmani.
"
Daisy Khan, direttrice esecutiva della "Società per il Progresso Musulmano", osserva che proprio l´edificazione di una moschea sul luogo del delitto terroristico sarebbe quel segnale di riconciliazione, di appartenenza e quindi di estraneità al jihadismo violento, che tanti richiedono alla umma, la comunità musulmana.". Non sono gli Usa nè tanto meno i familiari delle vittime dell'11 settembre a dover dare segnali di riconciliazione. Non è l'occidente ad aver attaccato l'islam, ma il contrario.
La proposta di costruire una moschea a Ground Zero non significa riconciliazione, ma spregio del dolore delle famiglie delle vittime.
Viene anche da chiedersi se sia possibile 'riconciliarsi' con qualcuno che non desidera altro che la tua distruzione. E poi, la parola riconciliazione, ha un senso solo dopo che il nemico è stato sconfitto, non prima.
Zucconi scrive : "
il rischio, naturalmente ben illustrato, (...) che la moschea divenga una calamita per estremisti e fanatici. Cosa che alla polizia e all´antiterrorismo forse neppure dispiacerebbe, preferendo avere fanatici e terroristi raccolti e sorvegliabili, piuttosto che sparsi nel grande corpo americano.". Teoria interessante, quella di Zucconi. La polizia anti terrorismo sarebbe felice della costruzione della moschea perchè ci si radunerebbero tutti i fondamentalisti. In numero dei terroristi lieviterebbe, ma per Zucconi la polizia sarebbe felice del risultato...?!
Zucconi conclude così l'articolo : "
Nell´altoforno delle Torri Gemelle morirono 64 musulmani, (...). Anzi, 65, perché una delle vittime degli assassini volanti, Rahma Salie, era incinta di sette mesi. I musulmani che vorranno ricordarli, dovranno andare un po´ più lontano a pregare per i propri morti. ".
A Ground Zero esiste un memoriale per le vittime dell'11 settembre. Lì sono ricordati tutti i morti, senza distinzioni. I calcoli di Zucconi sui morti, comunque, sono errati. Manca il calcolo dei fondamentalisti islamici che hanno dirottato gli aerei. Non erano musulmani anche loro?
Ecco l'articolo:

«Ma proprio lì?» s´indignano i benpensanti newyorkesi sbigottiti; ma proprio sul luogo del delitto, a Ground Zero, dove il suolo è ancora intriso di frammenti umani non identificati, polverizzati dagli assassini di Al Qaeda, i musulmani d´America vogliono erigere una moschea da 100 milioni, con centro culturale, giardini pensili e addirittura, i sibariti insensibili, piscina coperta?
«Immaginate se i Giapponesi volessero aprire un centro culturale a Pearl Harbor, o i tedeschi costruissero un teatro ad Auschwitz» tuona Andrea Peyser, l´opinionista del tabloid New York Post, magari dimenticando che le Hawaii non sono in Giappone e Auschwitz è in Polonia, ma lo sdegno è più forte della cultura geografica. Per mesi, nel silenzio spugnoso della burocrazia comunale, nel labirinto bizantino dei permessi edilizi e dei consigli di quartiere, il progetto di utilizzare come moschea uno degli edifici danneggiati dall´attacco dell´11 settembre, il palazzo della catena di abbigliamento Burlington, era avanzato nell´ombra. Fino a quando uno dei commissari non ha più resistito e ha dato la notizia.
La identificazione dell´Islam con il terrorismo jihadista, quella brutta cosa che ufficialmente tutti respingono ma che privatamente tanti accettano come ovvia, ha fatto esplodere i ricordi, i rancori, il dolore che neppure nove anni hanno spento. La «monster mosque», la moschea mostro con piscina, piazzata nel quadrilatero del massacro accanto al grattacielo della Libertà in costruzione, ai memoriali e ai santuari per ricordare le quasi 3 mila vittime, ha scosso madri, vedove, orfani di caduti. E islamofobi.
Paul Sipos, il commissario di quartiere che ha scoperchiato lo scandalo, si protegge con la classica formula preventiva, «non ho niente contro l´Islam», ma domanda: «Perché prorio lì, con tutti gli altri posti che c´erano?». E perché no, si potrebbe rispondere, visto che i mussulmani d´America nulla ebbero che fare con i 19 assassini venuti dalla penisola Arabica? Non ci sente infatti la direttrice della lobby anti-musulmana "Fermate l´islamizzazione dell´America", una progressione che la terrorizza nonostante le stime più serie contino meno di due milioni di fedeli negli Usa su 310 milioni di abitanti, che intona: «Che cosa potrebbe essere più insolente e offensivo di una moschea islamica nel luogo dove la jihad islamica compì la strage dell´odio?».
Invano le risponde Daisy Khan, direttrice esecutiva della "Società per il Progresso Musulmano", osservando che proprio l´edificazione di una moschea sul luogo del delitto terroristico sarebbe quel segnale di riconciliazione, di appartenenza e quindi di estraneità al jihadismo violento, che tanti richiedono alla umma, la comunità musulmana.
La "Cordoba House", come si dovrebbe chiamare il centro culturale con moschea finanziato non da oscuri elemosinieri fanatici, ma dalle insospettabili fondazioni dei Rockefeller e della grande dinastia ebrea dei Rotschild, lacera l´ipocrisia politicamente corretta del «noi non siamo contro l´Islam, ma contro il terrorismo islamico» che i presidenti del dopo 9/11, George Bush e Barack Obama, hanno ripetuto.
«Io, la bandiera verde con le mezzaluna che sventola sopra la tomba di mio figlio non la voglie vedere», dichiara la madre di uno dei dispersi mai ritrovati, e contro il dolore delle mamme dei militi ignoti è impossibile opporsi. «Si dica no e basta», conclude il New York Post, che è il primo e più letto quotidiano della città. «Spostatela». L´oltraggio sarebbe troppo forte, lo sfregio troppo sanguinoso, senza contare il rischio, naturalmente ben illustrato, che quel centro intitolato alla città dell´Andalusia che divenne la capitale del califfato con il nome di Qu´rtuba e segnò l´apice dell´espansione araba in Europa, che la moschea divenga una calamita per estremisti e fanatici. Cosa che alla polizia e all´antiterrorismo forse neppure dispiacerebbe, preferendo avere fanatici e terroristi raccolti e sorvegliabili, piuttosto che sparsi nel grande corpo americano.
«I morti non lo sopporterebbero», è il grido di guerra che vuole fermare la moschea dell´oltraggio alla memoria, anche se una donna che di memorie porta il peso, Dona Marsh O´Connor, che perse la figlia Vanessa nell´inferno, osa usare quella parola attorno alla quale gli altri girano: «Questo è puro e semplice razzismo fobico, travestito da pietà e da rispetto. È il prodotto della stesso odio che uccise la mia Vanessa quella mattina». Non solo Vanessa. Nell´altoforno delle Torri Gemelle morirono 64 musulmani, oltre a ebrei (quelli che non erano stati «preavvertiti», secondo le idiozie complottiste oggi svaporate), cristiani, hindi, atei, buddhisti. Anzi, 65, perché una delle vittime degli assassini volanti, Rahma Salie, era incinta di sette mesi. I musulmani che vorranno ricordarli, dovranno andare un po´ più lontano a pregare per i propri morti.

Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT