PANORAMA completamente rifatto e in promozione a 1 €, ma che delusione ! il settimanale della Mondadori è più o meno quello di prima, anche se con due novità. La prima, gli articoli non si distinguono più dalla pubblicità (complimenti al responsabile del re-styling), la seconda la lunga intervista a Gianni De Michelis, il per fortuna dimenticato ministro craxiano, fatto resuscitare, che è tutta un inno all'Iran di Ahmadinejad.
Complimenti quindi a Giorgio Mulè, il direttore. Quasi quasi è meglio l'ESPRESSO.
Ecco laseconda perla:
Riportiamo da PANORAMA n°21 del 14/05/2010, a pag. 192, l'articolo di Franca Roiatti dal titolo " Fatti i palestinesi, farà la Palestina ".
Luisa Morgantini, che sia la nuova esperta di Panorama ?
Un articolo su Salam Fayyad e sulle sue presunte possibilità di fondare lo Stato palestinese. Presunte perchè non dipende solo dalla sua volontà. Nell'articolo non si fa menzione alle divisioni tra le diverse fazioni palestinesi, come se fosse cosa di poco conto. La situazione è ben diversa. Se anche si riuscisse a fondare uno Stato palestinese in Cisgiordania, rimarrebbe il problema di Gaza, in mano ad Hamas, un'associazione terroristica riconosciuta tale persino dalla UE, che rifiuta di riconoscere Israele e che nel proprio Statuto si prefigge la sua distruzione.
La gestione dell'Anp, poi, è meno che mai limpida. Le cronache dei quotidiani periodicamente raccontano degli episodi di corruzione in cui sono implicati uomini di Abu Mazen.
Ma ciò che lascia più stupiti nel pezzo è la citazione di una frase di Luisa Morgantini, come se le sue dichiarazioni fossero analisi politiche.
Morgantini, più che un'analista politica è una trombettiera di Hamas, spesso citata dal Manifesto quale fonte autorevole sulla situazione a Gaza. Per avere informazioni più dettagliate su di lei basta andare sulla Home Page di Informazione Corretta e digitare nella casella 'Cerca nel sito' il suo nome.
Non è ben chiaro per quale motivo una citazione del genere sia ospitata da Panorama. Oppure si, se nelle pagine precedenti c'è una intervista a Gianni De Michelis in lode di mullah.
Ecco l'articolo:
Salam Fayyad
Èstato definito il Ben Gurion della Palestina perfino da Shimon Peres, che con il padre di Israele ha lavorato a stretto contatto. Una definitiva consacrazione per Salam Fayyad, primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) che come Gurion sta creando dal nulla uno stato. «Se non lo costruiamo noi, chi lo farà?» ha detto nel 2009 varando un piano di due anni che punta a fare funzionare ministeri, polizia e sistema fiscale, costruire strade, scuole e fognature. Fayyad giura che ad agosto del 2011 nessuno dell’Anp dichiarerà l’indipendenza della Palestina. «Non abbandoniamo i negoziati di pace come metodo per far nascere lo stato». Ma aggiunge che se quella strada non dovesse funzionare «ci stiamo preparando per la seconda possibilità», ovvero mettere il mondo davanti al fatto o meglio allo stato compiuto.
«Fayyad sta lavorando sul rispetto della legge, le infrastrutture, l’economia» riassume a Panorama Christian Berger, rappresentante dell’Ue per la Cisgiordania e Gaza. «Solo 4 anni fa sulle strade imperversavano gang armate e milizie. Ora la polizia è in grado di garantire maggiore sicurezza, ai palestinesi ma anche agli israeliani». Un controllo esercitato con metodi che molti ritengono eccessivi, tanto che il presidente dell’Università Al-Quds si è spinto a dichiarare che sarebbe auspicabile l’annessione a Israele, così ai palestinesi verrebbero garantiti i diritti civili.
«I palestinesi hanno cominciato a osservare il codice della strada, si mettono perfino le cinture di sicurezza in macchina» sottolinea Luisa Morgantini, ex vicepresidente del Parlamento europeo, che conosce molto bene la realtà dei Territori. «È la mentalità della gente che sta cambiando».
L’Ue, principale finanziatore dell’Anp con circa mezzo miliardo di euro all’anno (altrettanti arrivano dagli stati membri e dalle agenzie europee per lo sviluppo), sostiene senza indugi il piano di Fayyad, così come gli Stati Uniti. Bruxelles e Washington si fidano pressoché ciecamente di un uomo mai sfiorato dagli scandali sulla corruzione, che negli anni hanno indebolito Al-Fatah e consegnato la Striscia di Gaza a Hamas. Questo entusiasmo dei governi occidentali ha attirato critiche e sospetti sul primo ministro palestinese. Gli eredi di Yasser Arafat non lo hanno mai amato molto, ma per ironia della sorte fu il defunto leader dell’Olp a volerlo come ministro delle Finanze nel 2002.
Fayyad, 58 anni, non è mai stato nella resistenza: mentre i suoi coetanei pianificavano attentati lui studiava in Texas; e quando a Oslo venivano firmati gli storici accordi lui lavorava alla Banca mondiale.
Oggi Fayyad «è un forte sostenitore della resistenza non violenta alla barriera eretta da Israele e all’occupazione» puntualizza Morgantini. Un patriota ottimista che, però, più volte è stato sul punto di gettare la spugna.
Il presidente Abu Mazen, tuttavia, sa che senza di lui non può farcela, non foss’altro per quella minaccia di Hillary Clinton: «Se decidono di rinunciare a lui, dovranno rinunciare anche ai nostri soldi. Soldi dei quali Fayyad si è impegnato a rendere conto in modo trasparente, mentre lavora all’indipendenza economica del suo governo. Entro quest’anno vuole che metà del budget dell’Anp, circa 3 miliardi di dollari, venga coperta dalle tasse. Il pil palestinese corre (+7 per cento), per farlo galoppare affermando una precisa posizione politica Fayyad ha lanciato un severo boicottaggio delle merci prodotte nelle colonie israeliane, il prossimo passo sarà convincere (anche con le multe) 25 mila palestinesi a lasciare il posto di lavoro negli insediamenti.
«Anche i tribunali lavorano meglio e gli investitori sanno che possono fare rispettare i contratti» conclude Berger. Il sogno di Fayyad prende forma.
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