Régis Debray contro Israele: una vita coerente, sempre dalla parte delle dittature L'articolo di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 15 maggio 2010 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «I salti di Debray, guevarista, mitterandiano, chiracchino e ora contro Israele»
"Lettera a un amico ebreo" fu il libro che segnò il passaggio di Sergio Romano verso la sponda degli odiatori di Israele. Un titolo quasi uguale, "A un amico israeliano", l'ha scritto in Francia Régis Debray, con il quale si riconferma quello che sono sempre stati i rivoluzionari della gauche-caviar, sempre dalla parte dei dittatori, mai da quella della ragione. Lo racconta Giulio Meotti con l'abituale accuratezza sul FOGLIO di oggi, 15/05/2010, a pag. 2 con il titolo: "I salti di Debray, guevarista, mitterandiano, chiracchino e ora contro Israele". Ecco l'articolo:
Régis Debray, ieri e oggi, sempre dalla parte del torto
Roma. L’intellettuale francese che fu guerrigliero in America latina e braccio destro di Che Guevara torna sulla scena culturale francese con un pamphlet contro Israele. Si intitola “A un ami israélien” l’ultima fatica di Régis Debray, l’autore di quella “Rivoluzione nella rivoluzione” che ha segnato il Sessantotto. E’ una lettera all’ex ambasciatore israeliano in Francia Eli Barnavi, noto esponente pacifista nonché promotore del controverso appello JCall. Una parabola che vede Debray passare da fervido ammiratore del Che a feroce critico d’Israele, sia in televisione sia sulla carta stampata. Scrittore che si autoproclama “massmediologo”, intellettuale errante della sinistra francese – iscritto al Pcf, in seguito sherpa del presidente Mitterrand – nella biografia di Debray spicca la partecipazione all’ultima avventura di Ernesto Che Guevara nella guerriglia boliviana, nell’ottobre del 1967. Rampollo di una delle più grandi famiglie aristocratiche di Francia, Debray era al fianco dell’icona della guerriglia marxista quando il Che fu catturato, torturato e giustiziato. Debray avrebbe poi animato molte delle iniziative antiamericane dell’Eliseo, come quel summit di Cancun dove si spensero gli ultimi fuochi del terzomondismo e s’infransero le velleità francesi di contrastare l’egemonia statunitense in quella regione del mondo. Alain Minc porrà Debray in testa ai “nevrotici dell’antiamericanismo”, prima che lo scrittore abbracciasse la chiesa cattolica. Il suo nuovo saggio contro Israele, che per cuore ideologico ha l’idea che lo stato ebraico sia una potenza “coloniale e messianica” che va destrutturata e boicottata, è in uscita in Francia per le prestigiose edizioni Flammarion. Lo scrittore lo ha inteso come un atto liberatorio, un togliersi “un mattone dallo stomaco”, e ha già scatenato accese polemiche oltralpe. “Non potevo morire senza averlo fatto”, spiega l’intellettuale francese. “Ci sono due Israele – osserva Debray – Senza dubbio ce ne sono anche di più, ma sicuramente sono almeno due. Da sempre. Il regno d’Israele al nord e quello di Giuda al sud. Ci sono, oggi, anche se la seconda invade la prima, Tel Aviv e Gerusalemme. Laici e religiosi. Coloni e anticoloni. Le due Israele si intrecciano e si combattono. Non c’è ragione che questa guerra finisca”. Da questa guerra per Debray si produrrà infatti la fine dell’Israele aggressore che conosciamo. L’intellettuale francese accusa la chiesa cattolica di voler “cancellare le tracce della sua indifferenza al tempo della Shoah e ha deciso di fare la pace con Israele, a qualsiasi prezzo. Questa riconciliazione è fatto a spese dei palestinesi cristiani”. Si sa invece che gli unici cristiani che prosperano sono quelli che vivono in Israele, mentre chi sta sotto l’Autorità palestinese e Hamas si sta estinguendo. Debray invoca poi il dialogo con Hamas ed Hezbollah, “l’islam radicale nazionale e patriottico”. In Francia sull’opera dell’ex guerrigliero- scrittore, che ha fatto da consulente anche all’ex presidente Jacques Chirac, piovono dure critiche a cominciare da quella del regista di “Shoah”, Claude Lanzmann, che è anche direttore della rivista sartriana Temps Modernes: “Debray non capisce niente di Israele” e le sue formule “invece di far progredire il pensiero lo bloccano”. “Nel suo odio verso Israele – continua Lanzmann – c’è una costante che gli impedisce di vedere giusto”. “Debray è all’apice del suo manierismo”, conclude Lanzmann. “E’ totalmente in sintonia con i tempi, in fase di completamento con la doxa, la banalità anti israeliana favorita dai media”. Secondo lo storico delle religioni Aviad Kleinberg le affermazioni di Debray sono “paternalistiche” e “da salotto”, mentre l’accademico Jean-Christophe Rufin si chiede “come tracciare un limite tra critica e incitamento all’odio”. Nel libro, Debray sostiene che “Israele, nato da una lotta per la decolonizzazione”, è diventato “il simbolo del colonialismo”, ha reso “l’insopportabile inevitabile” perché il suo “potere coloniale” non ha mai cessato di “colonizzare, di espropriare e sradicare”. Per Debray, Israele è quindi “crudele con i deboli”. Se la prende con il Gran rabbino di Francia perché “ha manifestato per le strade, sotto la bandiera blu e bianca e di fronte all’ambasciata di Israele, il suo sostegno per l’ingresso dei carri armati a Gaza”, qualcosa che “offende le norme di laicità”. Se il mondo arabo è cieco all’Olocausto, “Israele è accecato dall’Olocausto”. Un percorso simile a quello di un altro padrino imbarazzante della sinistra francese che partì dal comunismo, passò alla chiesa cattolica e infine abbracciò l’islam. Si chiamava Roger Garaudy e i suoi libri negazionisti e anti israeliani vanno a ruba oggi nelle librerie e nelle bancarelle del mondo arabo. La parte più ingenerosa del libro di Debray è laddove afferma che lo stato ebraico ha sostituito “il superstite del 1945” con il “Robocop del 2010”. Soldati “Robocop” colonialisti e sfruttatori. Come il figlio di un noto pacifista, David Grossman. Si chiamava Uri, aveva 28 anni ed è stato ucciso l’ultimo giorno di guerra contro Hezbollah.
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