Da: Segre Fast Web Data: Mon, 10 May 2010 21:40:38 +0200 A: lettere@corriere.it Cc: Conversazione: Per Sergio Romano cc al Direttore Ferruccio De Bortoli Oggetto: Per Sergio Romano
Signor Romano, la risposta che lei scrive oggi alle corrette domande del lettore Fabrizio Logli è piena di errori, e non posso esimermi dal farle osservare almeno i più gravi. Innanzitutto lei dimentica, come sempre ha fatto in passato, che, subito dopo la conquista di tutti i territori avvenuta con la guerra dei sei giorni, Israele dichiarò esplicitamente la propria disponibilità a discutere la restituzione di almeno una parte delle terre conquistate in cambio del riconoscimento, ricevendone in risposta i famosi 3 No di Khartoum. Poi non risponde al lettore quando le chiede: se Israele restituisce i territori, che cosa riceve in cambio? L'occidente deve considerare i pericoli che Israele si assumerebbe oggi se restituisse sic et simpliciter tutti i territori: cioè la quasi certezza di un prossimo annientamento, voluto dichiaratamente da tutti i principali movimenti palestinesi, Fatah compreso. Lei preferisce invece, anziché rispondere a questi argomenti, dichiarare "che a Camp David nel 2000 le proposte di Barak erano soprattutto verbali e che sulla questione di Gerusalemme, in particolare, molti punti restavano indefiniti". E' davvero sorprendente che un diplomatico di professione non si renda conto che, durante una trattativa, si discute, e, nel caso specifico, al massimo si possono fornire delle carte che illustrano le proposte, come infatti avvenne, ma non delle dichiarazioni scritte (che in gran parte tuttavia furono fornite alle controparti americana e palestinese). Se poi la trattativa prosegue, solo alla fine si arriva alla formalizzazione scritta. Quindi le sue parole sono prive di ogni significato logico. I punti che lei chiama "indefiniti" erano appunto quelli che Israele voleva discutere, senza imporre alcun diktat, come altrimenti sarebbe stato rimproverato. E’ altrettanto discutibile, anche se di uso comune, parlare di una "Gerusalemme est" contrapposta a una "Gerusalemme ovest" riferendosi a una città che dall'epoca biblica fino al 1948 non ha mai conosciuto divisioni di sorta; solo in tale data la città venne divisa, in seguito all'aggressione giordana - in violazione della risoluzione Onu 181 - e divisa rimase per i diciannove anni di occupazione illegale giordana. Vale la pena di ricordare che della cosiddetta "Gerusalemme est" fa parte anche lo storico quartiere ebraico, da sempre abitato dagli ebrei e quasi interamente distrutto dalla furia araba durante la suddetta occupazione illegale. Altrettanto ingiustificabili sono le sue parole quando scrive, a proposito della trattativa "senza condizioni" reclamata dagli israeliani: "Intendevano dire, ovviamente, che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe smetterla di chiedere il congelamento degli insediamenti". Questa è una sua interpretazione personale e, mi permetta di aggiungere, alquanto fantasiosa: se lei legge attentamente le parole di Netanyahu vedrà che egli si riferisce sempre alle condizioni di Abu Mazen, e non a quelle poste da Obama. Se Abu Mazen impone in partenza ad Israele di accettare tutte le ben note rivendicazioni palestinesi, che cosa resta da discutere? Questa non si chiamerebbe più trattativa, ma sarebbe un vero diktat. Infine le chiedo: quando si è recato lei l'ultima volta in Israele per poter affermare, con tanta sicurezza, che il paese correrebbe il rischio addirittura "di una guerra civile se accettasse le richieste di Obama"? Guardi che il paese, pur nella grande disparità di opinioni, come da sempre ci ha abituato con la sua democrazia davvero compiuta, su certi punti ha oggi un popolo del tutto unito, e del pericolo di cui lei parla non vi è traccia (a meno che si vada a parlare con gli estremisti di destra e di sinistra che, tuttavia, sono pochi e non certo significativi, come in qualsiasi paese civile). Oggi Israele è unito, e se chi è all'opposizione fa di tutto per rientrare nel governo, questo non significa che neppure quel partito pensi quello che lei vuole far credere ai suoi lettori. Emanuel Segre Amar