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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Lizzie Doron, Giornate tranquille 10/05/2010

Giornate tranquille                                         Lizze Doron
Traduzione di Anna Linda Callow
Giuntina                                                             Euro 15

L’ultima pubblicazione della casa editrice Giuntina arriva in libreria come un nuovo gradito regalo ai lettori che hanno apprezzato le precedenti opere di Lizze Doron, la scrittrice israeliana che si è fatta conoscere al pubblico italiano con l’originale romanzo “Perché non sei venuta prima della guerra”, vincitore del premio letterario Adei Wizo 2009 e con il meraviglioso “C’era una volta una famiglia”.
Filo conduttore dell’opera di Lizze Doron è la Shoah, una tragedia della quale non si parla mai apertamente ma che affiora oscura e devastante attraverso i fantasmi che albergano nell’animo dei sopravvissuti, fra i quali c’è Helena, la madre dell’autrice, una figura indomita e coraggiosa che abbiamo incontrato nel suo primo libro; la sua storia drammatica prosegue, attraverso i ricordi delle persone che l’hanno amata e conosciuta, nel suo secondo romanzo, declinandosi nei sette giorni della shivà. La madre è morta dopo una  lunga malattia e Lizze torna nel piccolo quartiere di Tel Aviv dove ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza per accogliere gli amici di Helena che ora le vengono a porgere omaggio: dai loro racconti ricostruisce con piccoli tasselli quella parte del passato che la madre le aveva nascosto per proteggerla dagli orrori della guerra e dei campi di sterminio.
Doron, che si è dedicata alla scrittura per aiutare la figlia adolescente nel progetto scolastico denominato Radici per il quale i giovani studenti israeliani dovevano raccontare la storia della propria famiglia, ritorna sul tema della Shoah nella sua ultima opera pubblicata nel 2003 in Israele con il titolo Yamim shel sheqet, Giornate tranquille.
Il mondo sofferto dei sopravvissuti con il tragico bagaglio di ricordi dolorosi celati nelle pieghe della loro mente si dipana sullo sfondo di un quartiere di Tel Aviv degli anni ’50, nel salone di parrucchiere di Zaytshik, punto di incontro di una miriade di personaggi originali e affascinanti, “un luogo dove non si fanno domande si ascolta in silenzio”.
Li accomuna la provenienza - tutti vengono dal “mondo di là” - e la difficoltà di inserirsi in una società nuova popolata dai sabra: coloro che, nati in Israele, si dedicano alla costruzione di un paese nuovo e forte senza prestare troppa attenzione agli ebrei sopravvissuti all’Olocausto, anzi a volte disprezzando quella “debolezza” che non ha consentito loro di ribellarsi ai carnefici.
Voce narrante del romanzo è Lèale, una donna ormai anziana, arrivata in Israele quando era una bambina “magra e pallida” grazie all’aiuto di Mordekai un sabra che alla fine della guerra ha percorso in lungo e in largo la Polonia alla ricerca di orfani cui dare una nuova famiglia nella Terra Promessa. Dopo aver vissuto nascosta in una buca nel terreno per sfuggire ai nazisti, la piccola Lea arriva in un orfanotrofio, un luogo triste e desolato dove incontra Mordekai che la porta con sé a vivere in un kibbutz. La nuova vita non si addice all’indole delicata di Lea e nella nuova terra dove lo stile di vita spartano è sostentamento per tutti non trova consolazione alla solitudine e alla tristezza del suo animo. Sarà invece Srulik un sarto sopravvissuto al campo di sterminio al quale il sabra del Kibbutz la offre in sposa e il piccolo Eytan a donare a Lea uno squarcio di felicità e di gioia che non ha mai conosciuto perché finalmente può realizzare un grande desiderio: “…una famiglia, voglio una famiglia”.
Dopo la morte improvvisa del marito, Zaytshik un uomo generoso “nato in Romania da una famiglia di illustri rabbini” propone a Lèale di diventare manicure nel suo negozio perché “…..per vivere bisogna avere una professione”, offrendo il suo affetto anche al piccolo Eytan che cresce attorniato dalle attenzioni amorevoli del parrucchiere dal cuore buono.
Osservando e curando le mani delle sue clienti Lea ne percepisce le sofferenze e le inquietudini che si agitano nel loro animo e capisce che “ogni persona è una storia, una storia che nessuno vuole raccontare e nessuno vuole ascoltare”.
L’autrice ritrae con sapienza narrativa una galleria di personaggi indimenticabili che lei ha certamente conosciuto nella sua infanzia e ora rivivono con pennellate delicate in immagini di straordinaria umanità: Ida, l’estetista che avrebbe voluto aprire un salone di bellezza a Parigi ma ora aspira solo a raggiungere il cavallo ebreo ucciso dai nazisti, Zila dall’animo mite che a seguito delle atrocità subite dai nazisti non sopporta che Lea le curi le unghie, il signor Résistence il cui soprannome gli deriva dai trascorsi militari e la figlia Rita dai bellissimi capelli biondi che decide di andare a vivere in un kibbutz, Kalman il lattaio che non può mostrarsi agli abitanti del quartiere perché in quel mondo “di là” era stato Kapò, Feyge che per tutta la vita aveva desiderato solo di morire, Janek il dentista “un uomo triste, onesto e coscienzioso…” ed infine la struggente figura di Rosa Ornshteyn, la più cara amica di Lea, quasi una madre adottiva che la aiuta ad inserirsi nel quartiere confortandola nei momenti di solitudine, insegnandole ciò che una “baleboste”, una padrona di casa, deve sapere e leggendole favole e novelle perché “…..sulla vita si può imparare molto dai libri”.
Pagine di straordinaria bellezza sono quelle che descrivono il rapporto saldo e nel contempo conflittuale che lega Lea al figlio Eytan che vive in America con la moglie Nancy, una donna che la madre – perfetta controfigura della yiddish mame - non ritiene adatta a suo figlio e a crescere i due nipotini. E’ un sentimento forte che si scioglie in attimi di grande tenerezza ma anche rabbia quando Lea capisce che il figlio ha preferito l’America ad Israele, pur non esitando a precipitarsi a Tel Aviv quando le amiche della madre lo informano delle sue precarie condizioni di salute dopo la morte dell’amato Zaytshik.
Un caleidoscopio di personaggi narrati con profonda compassione ma anche con delicata ironia e lieve umorismo accompagna il lettore pagina dopo pagina in un romanzo di struggente intensità che non ha una vera e propria trama bensì un filo conduttore: la tragedia della Shoah narrata attraverso i racconti ma ancor più i silenzi di coloro che l’hanno vissuta e che dopo aver scelto di tacere per lungo tempo hanno deciso di aprire un pezzetto del loro cuore e della loro anima per trovare, forse, un poco di sollievo a un dolore che non può passare ma nemmeno può essere dimenticato.
E’ pur vero che la letteratura suscita grandi passioni e la conferma l’ho avuta dalla lettura di questo romanzo: Giornate tranquille è un libro che ti rimane dentro, di cui rammenti intere frasi e sai che un giorno lo rileggerai per il piacere di scoprire altri pregi che la prima volta, forse, ti erano sfuggiti ma anche per lasciar nuovamente correre il pensiero ….”a coloro di cui nessuno si ricorderà”.


Giorgia Greco


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