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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.05.2010 Il Marocco contro il fondamentalismo islamico
Grazie alle leggi di re Mohammed IV

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 maggio 2010
Pagina: 17
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Marocco, l’Islam di Stato che combatte il fanatismo»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/05/2010, a pag. 17, l'articolo di Sergio Romano dal titolo " Marocco, l’Islam di Stato che combatte il fanatismo".

Corretta l'analisi di Romano.
Magari fosse così equilibrato anche quando si occupa di Israele o dei problemi italiani dovuti a una presenza islamica non moderata, com'è invece obbligata ad essere in Marocco in base alle dure leggi statali che vengono descritte nell'articolo.
Nessuna illusione, però. Basta leggere la sua risposta ad un lettore (pubblicata oggi in altra pagina della rassegna) per ritrovare il Romano che tutti, purtroppo, conosciamo.
Ecco l'articolo:


Mohammed IV, re del Marocco

CASABLANCA — La moschea Hassan II (dal nome del padre dell’attuale sovrano) sorge a Casablanca sulle rive dell’Atlantico. Fu progettata da un architetto francese, Michel Pinseau, e inaugurata nel 1993 quando Hassan era ancora vivo e regnante. Si compone di due grandi edifici (la moschea e il minareto da un lato, la mediateca e le istituzioni culturali dall’altro) separati da una enorme Plaza che si affaccia come una grande terrazza sulle onde dell’Oceano. Il minareto (172 metri) è anche un faro che lancia una lama di luce verso la Mecca. L’interno della moschea può ospitare 20.000 fedeli, ma l’intero spazio (90.000 metri quadrati) può accoglierne complessivamente 80.000. È un inno all’Islam, alla sua potenza, all’identità religiosa del popolo marocchino e all’uomo che ne ordinò la costruzione. Ma è anche il simbolo di una straordinaria ambivalenza e, secondo qualche osservatore, di una geniale ipocrisia.

Per Hassan II l’Islam fu anzitutto uno strumento politico. Per tenere a bada la sinistra e unire il Paese sotto la sua guida, il re fece della religione il tratto distintivo della nazione e assunse per sé il titolo di «comandante dei credenti». Non era meno laico o più devoto di quanto fosse stato negli anni in cui attendeva l’indipendenza e il trono.

Era semplicemente convinto che il suo giovane regno, nato dal protettorato francese e dal lungo Medio Evo dei sultani alaouiti, avesse bisogno, per consolidarsi e durare, di una legittimità religiosa. Ma non aveva alcuna intenzione di cedere una parte del suo potere agli imam (i ministri del culto) e agli ulema (i dottori della fede). Per meglio inquadrarli creò un Consiglio superiore degli ulema, affiancato da alcuni consigli regionali, e conferì a se stesso il compito di guidarlo. Fece nell’ambito del mondo musulmano, in altre parole, un’operazione simile a quella realizzata da Pietro il Grande quando lo zar abolì il Patriarcato e costituì il Sinodo della Chiesa ortodossa. Nacque così uno Stato islamico in cui il re poteva ottenere che le sue riforme, spesso laiche, venissero approvato dal clero nazionale.

Tutto andò per il meglio sino all’11 settembre quando il Marocco dovette fare i conti con un Islam molto più radicale e violento di quello che Hassan, morto nel luglio del 1999, aveva affrontato negli anni precedenti. La lunga guerra civile algerina aveva allevato parecchi estremisti ed esisteva ormai, a cavallo tra Algeria e Marocco, un Gruppo salafita per la preghiera e il combattimento che sarebbe divenuto più tardi Al Qaeda nel Maghreb. La guerra cominciò a Casablanca il 16 maggio 2003 con una serie di attentati suicidi che provocarono la morte di 45 persone (12 terroristi e 33 civili) ed è proseguita da allora con sporadici attentati e lo smantellamento di una cellula terroristica nelle scorse settimane. Di questi avvenimenti e del modo in cui Maometto VI, figlio di Hassan, ha reagito alla minaccia, ho parlato a lungo con la giovane presidente della Commissione Difesa, Affari esteri e Affari islamici della Camera dei deputati.

Mbarka Bouaida è nata nel Sahara spagnolo, non ha ancora quarant’anni, appartiene al Rassemblement National des indépendants e, se debbo giudicare dalla qualità delle sue analisi, e dalla vivacità delle sue reazioni, farà strada. Quando le chiedo quali siano le competenze della Camera nelle questioni del culto, mi segnala un dibattito recente sulla manutenzione delle moschee e aggiunge subito che il problema è politico. Nel mondo islamico ogni generoso benefattore può finanziare la costruzione di una moschea e divenirne il proprietario protettore. Questa antica consuetudine si presta a infiltrazioni e manipolazioni di Al Qaeda o di gruppi sciiti affiliati a Teheran che il governo è deciso a evitare. Dopo gli attentati del 2003, il Consiglio superiore ha quindi accentuato il controllo sui circuiti religiosi e rafforzato l’inquadramento del clero. Per sottrarlo a influenze esterne è stato deciso di assegnare all’imam una congrua (come si chiamava in altri tempi il salario del prete), di dargli una carta della previdenza sociale, di impartirgli lezioni di lingue e diritto civile, di conferirgli uno statuto pubblico che assomiglia a quello dei funzionari dello Stato. Non basta. Per evitare che le preghiere del venerdì diventino una occasione per infuocati inviti alla guerra santa, il Consiglio superiore degli ulema invia alle mosche le grandi linee e in qualche caso il testo integrale di ciò che gli imam dovranno dire dal pulpito. E infine, per estendere l’influenza del governo alla diaspora dei marocchini in Europa, è stato istituito un consiglio degli ulema per gli emigrati. La conversazione cade sui 400.000 marocchini che vivono in Italia, sulla costruzione della moschea di Torino (dove sono 30.000) e sui corsi di formazione degli Imam proposti da Coreis, l’associazione dei musulmani italiani. Ne approfitto per dire a Mbarka Bouaida che il nuovo Consiglio farebbe bene a occuparsi anche degli imam in Italia, soprattutto se aiutati finanziariamente dal Marocco. Non tutti, purtroppo, hanno studiato le lingue, il diritto civile e la costituzione italiana.

Il Marocco, quindi, è uno Stato islamico in cui il maggiore organo religioso serve a contrastare il fondamentalismo e ad avallare riforme, come quella del diritto di famiglia, che hanno una ispirazione laica. È un Paese dove la stampa è libera di lanciare campagne per i diritti individuali e gli omosessuali hanno qualche possibilità di alzare la voce. È una meta turistica dove nessun imam può impedire a una donna d’indossare il più succinto dei bikini o ai cristiani di professare la loro fede (vi sono tre chiese cattoliche a Rabat, capitale del regno). Lo Stato si proclama musulmano, ma Ahmed Toufik, ministro del Culto, ha detto recentemente al quotidiano La VieÉco che la fatwa (una opinione religiosa con valore legale) non può concernere una materia già regolata dalla legge: un modo per affermare, ad esempio, che nessun imam, dopo il nuovo codice di famiglia, può impedire a una donna di sposarsi anche contro la volontà dei genitori. Secondo Ahmed R. Benchemsi, direttore della rivista Tel Quel, redatta in francese, e di una sorella araba chiamata Nichane, questa convivenza di culture diverse ha per effetto una intollerabile dose di ambiguità e ipocrisia. Benchemsi si dichiara agnostico e la sua rivista è esplicitamente, polemicamente laica. Durante una conversazione a Casablanca nella redazione del suo piccolo gruppo editoriale, mi dà alcuni esempi. I negozi di alcolici espongono un’ordinanza che ne vieta la vendita ai musulmani, ma nessun commerciante o barista chiede conto al cliente della sua fede religiosa. Il digiuno del Ramadam comincia all’alba e finisce al tramonto, ma negli uffici gli impiegati si nascondono, per bere il caffè, nello stanzino delle fotocopie. E le ragazze sono ufficialmente vergini, al momento del matrimonio, ma la ricostruzione dell’imene è diventata uno «sport nazionale». Per Benchemsi queste contraddizioni creano una mentalità ipocrita o, peggio, una menzogna permanente che nuoce al carattere e alla psicologia dei marocchini. È possibile che abbia ragione. Ma questa ipocrisia ha permesso al Marocco di affrontare con successo i problemi della modernità senza le rotture sociali e civili che hanno afflitto altri Paesi della regione, dall’Algeria della guerra civile all’Egitto dei Fratelli musulmani. In un mondo in cui molti sistemi politici hanno fallito, quello del Marocco ha giù superato parecchie prove. Ne parlerò in un prossimo articolo.

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