Cari amici, sembra che i "colloqui di prossimità" partano presto, anzi siano già partiti, o forse no, partiranno fra poco...saranno decise.. saranno annunciate... si faranno... forse c'è stato il via della Lega Araba...ma forse ci vuole quello di Al Fatah, che non ama gli americani né i compromessi. Insomma, forse... quasi... domani.... chissà... Non oserete però negare che questo futuro prossimo o anteriore o periodo ipotetico dell'irrealtà delle trattative "di prossimità" non sia una grande vittoria di Obama: riportare i palestinesi al tavolo delle trattative... insomma quasi al tavolo... L'interruzione delle trattative è in buona parte conseguenza dei suoi interventi, i palestinesi hanno spiegato in lungo e in largo che se l'America chiede qualche cosa di irragionevole, come la cessazione di ogni lavoro edilizio all'interno di quartieri di Gerusalemme che sono ebraici e nessuno dubita che lo resteranno dopo un'eventuale pace, loro non possono certo chiedere di meno. Dunque la colpa è di Obama, e suo sia anche il merito. E' difficile negare che loro, i palestinesi e nessun altro, hanno boicottato le trattative nell'ultimo anno e mezzo; ma naturalmente per farle ripartire quello su cui fare pressioni è Israele. Naturalmente perché accetti davvero la soluzione dei due Stati. Non importa che Israele l'abbia accettata e messa concretamente in trattativa sei volte: quando fu proposta dalla commissione Peel nel 1937, da UNSCOP nel '47, con gli accordi di Camp David del '79, da Barak nel luglio 2000, da Clinton nel dicembre dello stesso anno e da Olmert a settembre 2008. Gli arabi hanno sempre detto di no, ma la colpa, è chiaro, è sempre di Israele. E il merito del buon Obama, così amico dei musulmani.
Vabbe', le trattative sono ripartite, stanno ripartendo, ripartiranno, inshallah, coi "colloqui di prossimità". Che naturalmente sono "prossimità" in cui non si è affatto prossimi, incontri in cui non ci si incontra affatto, trattative in cui non si tratta; ma qualcuno va su e giù fra le due parti a dir loro quel che dice l'altro e che loro sanno già. Che bello. Che prossimità. Che trattative. Che successo diplomatico. Forse. Presto. Speriamo. Ma, a parte che non saranno trattative, quali trattative saranno? Come funzionerà il teatrino? Lo spiega bene un funzionario del'Anp, citato dal Jerusalem Post (http://www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=174821): "Colloqui indiretti significa che noi negozieremo solo con gli americani, che da parte loro negozieranno con Israele. E' facile da parte nostra negoziare con gli americani perché essi condividono la maggior parte delle nostre posizioni, per esempio in materia di confini e sicurezza". Che bello, eh? La pace in Medio Oriente verrà da negoziati fra palestinesi e americani che sono già d'accordo. Sui confini, sulla sicurezza, sulle concessioni che deve fare Israele, naturalmente. I classici conti senza l'oste...
E Israele? E' semplice: gli americani hanno innanzitutto assicurato l'Anp che eserciteranno una "pressione senza precedenti" su Israele perché blocchi le costruzioni dappertutto, anche nei quartieri ebraici di Gerusalemme. "Per i prossimi quattro mesi noi negozieremo con gli americani," dice il funzionario palestinese. "Da parte loro essi negozieranno con il governo Netanyahu. Ci hanno promesso di essere duri con Israele e noi ci aspettiamo che rispettino la loro promessa".
Potete ridere a quest'idea delle trattative (detto in yiddish, che chutzpà, che faccia tosta...) o preoccuparvi molto. Io propendo per la seconda ipotesi. Netanyahu ha la responsabilità di agire in una situazione difficilissima di alleanza diplomatica fra amministrazione Obama e establishment palestinese. E' in questo contesto che i geni politici della sinistra ebraica europea hanno fatto un "appello alla ragione" di Israele, perché faccia il bravo e non faccia arrabbiare lo zio d'America, perché smetta di "allargare le colonie". Le colonie, capite, come Gerusalemme. Marx diceva che la storia spesso presenta le stesse figure due volte, la prima in forma di tragedia, la seconda di farsa. Io mi permetto di aggiungere che anche le minacce certe volte hanno due facce, prima quella del nemico e poi quella del traditore.