Obama s'è reso conto che la Siria continua ad appoggiare il terrorismo Per questo ha esteso le sanzioni decise da Bush nel 2004
Testata: Il Manifesto Data: 05 maggio 2010 Pagina: 9 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Obama conferma le sanzioni»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 05/05/2010, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Obama conferma le sanzioni ".
Obama ha esteso di un anno le sanzioni contro la Siria decise da George Bush nel 2004 dal momento che Damasco continua a sostenere il terrorismo. E' una buona notizia. Anzi, è un'ottima notizia. Chissà che Obama non stia, finalmente, prendendo coscienza del fatto che la politica della mano tesa nei confronti dei regimi dittatoriali islamici non porta a nessun risultato se non al loro rafforzamento. La difesa d'ufficio del Manifesto della Siria ricorda quella di Adolf Eichmann, il quale si giudicava non colpevole perchè aveva solo obbedito agli ordini. Anche Il Manifesto si giudica tale, in quanto non fa altro che obbedire alla vulgata pro araba, anti occidentale e anti israeliana che lo distingue da sempre. Ecco il pezzo di Michele Giorgio:
Bashar al Assad
Alla vigilia dell’avvio dei «proximity talks», i negoziati indiretti tra Israele e l’Anp, gli Usa lanciano segnali rassicuranti al premier Netanyahu. L’altra sera Barack Obama ha esteso di un anno le sanzioni contro la Siria decise da George Bush l’11 maggio del 2004 perché, ha detto il presidente, Damasco «continua a sostenere il terrorismo».Dopo le aperture alla Siria avvenute nell’ultimo anno e l’annuncio del ritorno dell’ambasciatore Usa a Damasco, il rinnovo delle sanzioni è un deciso passo indietro nelle relazioniUsa- Siria. Per il leader siriano Assad è un colpo duro che scuote la sua linea di riavvicinamento all’Occidente senza rinunciare, allo stesso tempo, all’alleanza con l’Iran. È possibile che gli Stati uniti abbiano fatto pagare a Damasco proprio il mancato allontanamento da Tehran ma l’occasione – il «pretesto» dicono gli analisti arabi – che ha dato ad Obama il via libera all’estensione delle sanzioni sono state le informazioni di intelligence secondo cui l’esercito siriano starebbe fornendo missili Scud ai combattenti del movimento sciita libanese Hezbollah. Obama, in una lettera di richiesta inviata al Congresso, ha sottolineato «le azioni e la politica» della Siria a «sostegno delle organizzazioni terroristiche» e «il rifornimento di armi di distruzione dimassa e dimissili» a gruppi armati. Tutti aspetti che, ha spiegato, rappresentano unaminaccia alla sicurezza degli Stati uniti. In realtà il presidente Usa si riferiva alla sicurezza di Israele visto che gli Scud in apparenza consegnati a Hezbollah sono in grado di raggiungere obiettivi a centinaia di chilometri di distanza. Eppure nei giorni scorsi erano stati proprio alcuni funzionari Usa a mostrarsi cauti sul traferimento dei missili, al contrario dato per sicuro da Israele e dai suoi amici ed alleati a Washington. A nulla sono servite peraltro le smentite giunte dal premier libanese Saad Hariri, che pure non è un amico della Siria. La stampa araba ha parlato di una «montatura » volta spostare l’attenzione internazionale dalla colonizzazione israeliana di Gerusalemme Est e della Cisgiordania e a bloccare ilmiglioramento delle relazioni tra Washington e Damasco. Netanyahu ringrazia e, mostrandosi «magnanimo», ha fatto revocare il veto israeliano all’ingresso della Siria nell’Organizzazione mondiale del commercio. A partire da oggi l’inviato speciale Usa George Mitchell tra lo scetticismo generale farà la spola tra i rappresentanti del governo Netanyahu a Gerusalemme e quelli dell’Anp a Ramallah nel quadro di quei negoziati «indiretti» che rappresentano il modesto risultato ottenuto in un anno di lavoro dall’amministrazione Obama. Abu Mazen da parte sua ha accettato di andare alle trattative «a distanza» accontentandosi di una breve sospensione delle nuove costruzioni israeliane negli insediamenti colonici a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. I colloqui veri e propri cominceranno solo la prossima settimana, perché Abu Mazen dopo aver ottenuto lo scontato via libera della Lega araba, attende ora l’approvazione della sua decisione da parte del Comitato esecutivo dell’Olp che si riunirà sabato prossimo. Dalle indiscrezioni che circolano, è probabile che Mitchell punti la prima fase della suamediazione sui confini tra Israele e il futuro stato di Palestina. Tra i palestinesi è forte il timore che Abu Mazen si lasci convincere ad accettare entro tempi brevi la nascita di uno stato palestinese con confini «provvisori», rinviando ad una fase successiva la soluzione definitiva. E proprio i coloni israeliani fanno il possibile per tenere alta la tensione allo scopo evidente di far deragliare il fragile e inconsistente negoziato in fase di avvio. Un gruppo di coloni l’altra notte ha attaccato il villaggio di Lubban al Sharqiya, a nord di Ramallah, dando fuoco secondo gli abitanti alla moschea. Un’auto con targa israeliana si sarebbe fermata accanto al luogo sacro, partendo poi a gran velocità. Poco dopo dalla moschea si sono levate alte fiamme che hanno distrutto gran parte dell’edificio. Il 14 aprile altri settler israeliani avevano vandalizzato la moschea di Huwara, vicino Nablus, scrivendo sulle pareti «prezzo da pagare», ossia la rappresaglia attuata ogni volta che vengono decisemisure di contenimento della colonizzazione.
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