Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/05/2010, a pag. 15, gli articoli di Maurizio Molinari e Ibrahim Refat titolati "Via le atomiche Usa dall’Italia" e " Il Kuwait: Teheran vuole destabilizzarci ".
REPUBBLICA tratta la notizia in un articolo di Federico Rampini. Niente da commentare per quanto riguarda il pezzo, ma non è chiaro in base a quali criteri sia stata scelta l'immagine. La didascalia della foto specifica che i personaggi rappresentati sarebbero ebrei ultraortodossi che manifestano in favore di Ahmadinejad e contro Israele. Non è così. Si tratta di rabbini di Naturei Karta, una minoranza che ha in comune con Ahmadinejad l'odio per Israele e che sono proprio quattro gatti. Eppure vengono fotografati e pubblicati su tutti i giornali. Un giornale serio dovrebbe fare più attenzione alle immagini che pubblica per i suoi articoli.
Ecco un rabbino di Naturei Karta in una delle sue pose preferite
Ecco gli articoli:
Maurizio Molinari : " Via le atomiche Usa dall’Italia "
Maurizio Molinari
Punire gli Stati Uniti per le minacce nucleari alle altre nazioni» e «obbligarli a disarmare, ritirando anche le atomiche da Paesi loro alleati come l’Italia»: attorno a queste due richieste il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha costruito l’intervento al Palazzo di Vetro dove si è aperta ieri la Conferenza per la revisione del Trattato contro la proliferazione.
Alla vigilia dell’arrivo a New York, il Segretario di Stato Hillary Clinton si era polemicamente chiesta il perché della scelta di Ahmadinejad di essere l’unico capo di governo a partecipare ai lavori della conferenza - dove la maggioranza dei Paesi è presente a livello ministeriale - e la risposta è arrivata da un discorso con il quale Teheran ha proposto una totale riscrittura dell’attuale Trattato attorno a nuovi principi.
Ecco di cosa si tratta: cambiare nome al Trattato inserendo il termine «Disarmo» per «obbligare tutti i Paesi con armi atomiche a disfarsene» a cominciare dagli Stati Uniti «che devono rinunciare alle loro atomiche e smantellare le armi nucleari che possiedono nelle loro basi militari di Paesi come Germania, Italia, Giappone e Olanda», azzerando inoltre l’attuale Agenzia atomica dell’Onu «dominata dalle attuali potenze atomiche» per sostituirla con un «organismo internazionale indipendente con il compito di fissare la date dell’eliminazione delle armi nucleari possedute da ogni Stato».
Nel complesso Ahmadinejad ha esposto alla platea della Conferenza, riunita nell’aula dell’Assemblea Generale, un piano di «disarmo nucleare» che punta ad essere più drastico e convincente di quello presentato da Barack Obama nel discorso di Praga nell’aprile 2009. «Gli Stati Uniti nella recente pubblicazione sulla politica nucleare si impegnano a ridurre le armi nucleari e a non usarle contro Stati non nucleari ma non possiamo credergli perché in passato non hanno mai mantenuto gli impegni presi e proprio per questo sono il Paese più odiato del mondo», ha detto Ahmadinejad, suggerendo alla conferenza di «condannare l’America che minaccia di lanciare attacchi contro di noi come ha fatto qualche tempo fa una nazione europea e come continua a fare il regime sionista che possiede dozzine di armi nucleari». In tale cornice Ahmadinejad ha difeso «il nostro diritto al nucleare pacifico per fare fronte al fabbisogno energetico». Quando il leader di Teheran ha iniziato a parlare i delegati americani hanno lasciato l’aula e poco dopo sono stati tutti gli europei a seguirli - Italia inclusa - assieme anche a Paesi di altri continenti, come il Marocco.
«Quanto avvenuto all’Onu dimostra il crescente isolamento internazionale dell’Iran», ha commentato il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs. In serata è stata Hillary Clinton a intervenire all’Onu, definendo «accuse false e furiose» le dichiarazioni fatte da Ahmadinejad, accusando l’Iran di «mettere a rischio con le sue azioni il futuro della non proliferazione» e annunciando la pubblicazione del numero di armi nucleari che «l’America possiede» per «testimoniare il nostro impegno al disarmo»: 5113 testate con una riduzione del 75 per cento rispetto al 1989. La strategia Usa per la revisione del Trattato che verte attorno alla possibilità per i Paesi non atomici di acquistare combustibile nucleare all’estero senza così doversi cimentare nell’arricchimento dell’uranio che pone rischi di proliferazione.
Ibrahim Refat : " Il Kuwait: Teheran vuole destabilizzarci "
Ahmadinejad
Allarme in Kuwait per la scoperta di una rete spionistica iraniana. Sarebbero coinvolte quindici persone, tra cui sei militari, e tre cittadini libanesi legati al Hezbollah dello sceicco Nassrallah si sono dati alla fuga. Il governo cerca di gettare acqua sul fuoco ma le notizie sull’estensione della rete e sulla sua ramificazione hanno fatto insorgere numerosi parlamentari che chiedono di rompere le relazioni diplomatica con Teheran. L’ambasciata iraniana ha smentito, mentre i Pasdaran, cui farebbe capo direttamente la cellula spionistica, asseriscono che «tali notizie tendono a intaccare la popolarità di questo corpo nei Paesi del Golfo e distogliere l’attenzione dal vero pericolo: lo Stato sionista». Come se lo scontro in atto con Israele autorizzasse al regime iraniano ad avere una lunga mano nella sponda araba del Golfo Persico, dove si concentra una numerosa comunità iraniana di mezzo milione di persone e un’agguerrita minoranza di fede sciita.
Nel piccolo emirato le notizie della spy story arrivano col contagocce. Si sa che l’intelligence del Kuwait è riuscita a smantellare la rete grazie al contributo di qualche servizio segreto di un Paese vicino, forse gli Emirati Arabi Uniti. Uno dei sei militari arrestati faceva parte del corpo degli artificieri. In casa gli hanno trovato un apparecchio ricetrasmittente e 250 mila dollari in contanti. Le spie erano ben pagate: 5-10 mila dinari (il dinaro vale circa tre dollari) per una soffiata.
Il compito dei militari al soldo di Teheran, precisa il quotidiano Al-Qabas (il primo a mettere in prima pagina l’intera faccenda), era scattare fotografie alle basi Usa, fornire informazioni dettagliate sugli spostamenti delle pattuglie americane, dare ragguagli sull’armamento in dotazione all’esercito dell’emiro. Ma i giornali di Kuwait city sono concordi che si tratta della punta di un iceberg. C’è chi sostiene l’esistenza di società fantasma messe su dagli iraniani per coprire le loro attività illecite, rivela il quotidiano Al-Wasat. Uno degli imputati avrebbe ammesso che doveva arruolare altre spie.
L’esecutivo del principe Sabah al-Ahmad, in visita ufficiale in Italia, ha scelto la linea della prudenza. Da una parte ha ammesso l’inchiesta in corso ma nello stesso tempo ha redarguito la stampa per aver trattato un argomento così riservato. Una linea ambivalente dettata da due fattori: la presenza nel Paese di una minoranza sciita del 30%, che sebbene assicuri lealtà non può non lamentare discriminazioni, e la vicinanza del bellicoso regime iraniano. Da qui la scelta di ospitare basi statunitensi permanenti e di finanziare l’Iraq all’epoca della sua decennale guerra con Teheran. I regnanti del Golfo, nonostante la linea ufficiale di appeasement, hanno sempre guardato con sospetto all’espansionismo iraniano. Ma come ha sostenuto ieri un parlamentare kuwaitiano, la scoperta della Iranian connection è destinata «a spingere il Kuwait ancor di più nelle braccia degli Usa».
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