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La Stampa Rassegna Stampa
03.05.2010 'Sindone, simbolo degli orrori del XX secolo'
Un titolo senza senso e offensivo

Testata: La Stampa
Data: 03 maggio 2010
Pagina: 8
Autore: Giacomo Galeazzi
Titolo: «' Sindone, simbolo degli orrori del XX secolo '»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/05/2010, a pag. 8, l'articolo di Giacomo Galeazzi dal titolo " 'Sindone, simbolo degli orrori del XX secolo' ".

Non sappiamo che cosa abbia spinto la STAMPA a fare una titolazione simile all'articolo di Galeazzi. BXVI non l'ha pronunciata, come si evince leggendo l'articolo. Sarebbe stata anche una affermazione stupida, non potendo un lino oggetto sì di venerazione, ma niente di più, viste anche le sue origini del periodo medievale, rappresentare gli "orrori del XX secolo". E quelli degli altri secoli ? A parte il fatto che durante il secolo scorso, fra gli altri orrori, c'è stato un fatto che si chiama Shoah, e dimenticarlo non serve la verità storica.
Un titolo infelice per una manifestazione di fede che, appunto, con la storia, quella vera, non ha nulla a che vedere.

Ecco l'articolo:


Benedetto XVI

La Sindone secondo Ratzinger. In un silenzio irreale il Papa teologo e pastore alza gli occhi verso «il mistero che spinge a cercare il volto di Dio» e sussurra a fior di labbra: «Pater noster». Karol Wojtyla la considerava una reliquia, Benedetto XVI un’icona ma ieri per cinque interminabili, commoventi minuti si è inginocchiato a pregare davanti al «simbolo dell’umanità oscurata del XX secolo». Di fronte al Sacro Lino, nell’oscurità del duomo di Torino, Benedetto XVI ha confessato di essere diventato, con il passare degli anni, ancor più sensibile al «messaggio di questa straordinaria icona», simbolo del Sabato santo, del «nascondimento di Dio», ma anche prefigurazione della sua resurrezione. Il Pontefice evidenzia come tutti abbiano sentito la sensazione «spaventosa di abbandono» della morte, però «Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine umana per guidarci con Lui». In un’altra occasione il Papa si è «trovato davanti alla Sacra Sindone», ma stavolta «vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con particolare intensità». La Sindone, segno del «nascondimento di Dio», di una «terra di nessuno», è un’icona che interpella, in tutta la sua attualità, l’umanità oscurata dalle guerre, dalle violenze, e in particolare dagli orrori del secolo scorso. Un simbolo che si rivolge al cuore lasciando luce per credere e tenebra per dubitare. Il Papa cita la famosa frase di Nietzsche: «Dio è morto. E noi lo abbiamo ucciso».
L’espressione deriva quasi alla lettera dalla tradizione cristiana. «Dopo le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un sabato santo - osserva -. L’oscurità interpella quanti si interrogano sulla vita. Anche noi credenti abbiamo a che fare con l’oscurità». Nei malati del Cottolengo, sulle cui carrozzelle e lettighe il Papa si è chinato per abbracciarli, come nella Sindone, davanti alla quale si è inginocchiato come un umile pellegrino «possiamo leggere tutto il dramma della sofferenza, ma anche, alla luce della Risurrezione di Cristo, il pieno significato che essa assume per la redenzione del mondo». «Tutti i poveri sono i nostri padroni, ma questi che all’occhio materiale sono così ributtanti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme», ha chiarito con le parole di San Giuseppe Benedetto Cottolengo quasi rispondendo allo scrittore Giorgio Bocca che l’anno scorso aveva suscitato sdegno nel mondo cattolico per aver criticato il «culto della vita a ogni costo che lascia perplessi i visitatori della Piccola casa della divina Provvidenza, la pia istituzione del Cottolengo, dove tengono in vita esseri mostruosi e deformi». Per Benedetto XVI, invece, l’Istituto torinese incarna il motto dell’apostolo Paolo («La carità di Cristo ci spinge») che il Cottolengo «volle tradurre in totale dedizione al servizio dei più piccoli e dimenticati». E voi malati, ha aggiunto, «svolgete un’opera importante: vivendo le vostre sofferenze in unione con Cristo crocifisso e risorto, partecipate al mistero della sua sofferenza per la salvezza del mondo».
In Duomo, senza entrare nella disputa sulla datazione del lenzuolo donato dai Savoia, Benedetto XVI ha definito la Sindone «un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio». Però, se «l’immagine impressa è quella di un morto, il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante vicina al costato, versata dalla ferita procurata da un colpo di lancia», ha puntualizzato soffermandosi sul tema della visita a Torino e dell’ostensione: «Passio Christi, passio hominis». Prima di salire sull’aereo papale per tornare a Roma, commenta Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano: «Il Papa ha toccato le corde più profonde dell’anima di ciascuno paragonando la paura del bambino alla discesa agli inferi e inserendo la Sindone nella teologia orientale dell’immagine. Un messaggio universale, condiviso da milioni di persone».

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