Sventato attentato terroristico a New York Analisi di Carlo Panella
Testata: Libero Data: 03 maggio 2010 Pagina: 13 Autore: Carlo Panella Titolo: «La minaccia dei terroristi fai-da-te»
Sul fortunatamente fallito attentato di ieri a New York, del quale sono piene le cronache oggi,riportiamo da LIBERO di oggi, 03/05/2010, a pag. 1-13, l'analisi di Carlo Panella dal titolo " La minaccia dei terroristi fai-da-te ".
Carlo Panella, Times Square, NY
Nelle stesso momento in cui il fortunosamente è fallito l’attentato in Times Square, a New York, dall’altra parte del globo, in India, a New Dehli le ambasciate americana, inglese, australiana e canadese, mettevano in guardia i propri cittadini per il rischio di “attentati imminenti” nei mercati popolari di Lajpath, Mehrauli, Sarojini, Karol Bagh e nel bazar Chandni Chowk. Una coincidenza che ci dà il senso concreto, tangibile, di una fase di terrorismo islamico diversa da quella degli ultimi anni. Una fase che drammaticamente chiude l’illusione che l’attentato dell’11 marzo 2004 alla stazione Atocha di Madrid e quello del Tube di Londra del 7 luglio 2005, siano stati gli ultimi fuori dalle zone calde della guerra ravvicinata al terrorismo islamico: Iraq, Pakistan, Afghanistan, Somalia, Algeria, Israele. Se guardiamo agli ultimi mesi vediamo infatti una serie sempre più intensa di tentativi terroristici in Europa e negli Usa: il 12 ottobre 2009 il libico Mohammed Game fallisce per puro caso un attentato alla caserma Santa Barbara di Milano; si scopriràchefrequentavala moscheadi viale Jenner, che aveva organizzato una cellula terroristica ma nessuno sospettava nulla. Il 6 novembre del 2009 Malik Hasan, uno psichiatra militare di origine palestinese fa una strage nella caserma Fort Hood in Texas e uccide 13 militari; si scoprirà che era in raccordo con elementi di al Qaida. Il 26 dicembre del 2009, il nigeriano Faruk Abdulmutallab, tenta di fare esplodere un aereo della Delta Airlines, in volo tra Amsterdam e Detroit con un raffinatissimotipo di esplosivo nascosto negli slip; fortunosamente l’innesco non funziona. Il 24 aprile, nove giorni fa, la polizia di New York arresta un tassista afgano, Zarein Ahmedzay, che confessa di aver pianificato un attentato nella metropolitana, insieme a Adis Medunjanin, di 25 anni, di origini bosniache, e Najibullah Zazi, anche lui di origini afghane che si era addestrato in un campo di al Qaeda. Ieri, l’attentato fallito in Times Square, che confermaunfatto particolarmente allarmante. Game, Hasan. Ahmedzay e l’ultimo attentatore, sono della serie “fai da te”. Non sono parte integrante del centro del network qaidista, sono dei simpatizzanti, con contatti che spesso sfuggono agli inquirenti (e che vengono ricostruiti solo ex post) e che colpiscono all’impazzata. Una tipologia di eversore attorno a cui è difficilissimo stendere una rete, che è difficilissimo isolare se non a una condizione, che è proprio quella che manca: il controllo sociale da parte delle lorocomunità. Nessunapolizia almondo può riuscire a stendere dei sensori così capillari da poter cogliere la maturazione della volontà omicida in personaggi opachi come questi. Ma questa difficoltà potrebbe essere superata se solo il contesto in cui maturano queste scelte eversive, fosse attento, vigile. Ma così non è. Non perché le comunità di immigrati musulmani, in Europa, in Italia come negli Usa (o in India) siano composte da simpatizzanti del terrorismo (che vi sono, ma sono minoritari, a fronte di una netta maggioranza di moderati), ma per una ragione più profonda e inquietante. Perché l’insieme del mondo dell’Islam a 9 anni dall’11 settembre non ha ancora dato segno di una forte, assoluta, volontà di contrastare la cultura jihadista che porta alla scelta terrorista. Perché l’Islam contemporaneo - tranne poche, straordinarie, figure di musulmani - non ha saputo o voluto creare l’anticorpo allo stragismo che sta prendendo sempre più piede al suo interno. Il mondo musulmano condanna a parole i terroristi, ma non sempre - non quando uccidono ebrei, ad esempio - e solo dopo, mai prima dell’esplosione. Non sa fare i conti con una cultura della morte che lo inquina sempre di più. Fino a quando l’Islam non imparerà a reagire in tutto il suo grande corpo, sino a quando ogni musulmano non comprenderà che deve personalmente, attivamente essere parte di una cultura, di atteggiamenti, che contrastino il terrorismo, solo il caso, e la capacità degli inquirenti, potranno evitare nuove stragi.
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