Sergio Romano come un orologio rotto Due volte al giorno dice l'ora esatta
Testata: Corriere della Sera Data: 30 aprile 2010 Pagina: 49 Autore: Sergio Romano Titolo: «Preziosi grande inquisitore. Avventure di un antisemita»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2010, a pag. 49, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Preziosi grande inquisitore. Avventure di un antisemita ".
Come un orologio rotto, anche Sergio Romano batte l'ora esatta due volte al giorno. Il ritratto di Giovanni Preziosi è corretto anche se, contrariamente a ciò che lascia intendere Romano, Preziosi non era altro che la punta di un iceberg nell'ambiente degli intellettuali antisemiti. La diffusione della rivista diretta da Telesio Interlandi 'La difesa della razza' ne è un esempio. Tra i suoi collaboratori si ricordano: Giorgio Almirante, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani e Julius Evola. Impossibile sostenere che Giovanni Preziosi fosse un caso isolato. Ecco lettera e risposta:
Sergio Romano
Lo storico Renzo De Felice nel libro «Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo» scriveva del fascista Giovanni Preziosi: «Unico vero e coerente antisemita del XX secolo e certo uno dei pochissimi antisemiti italiani che non ripeteva pappagallescamente le parole e gli slogan altrui, ma che, indubbiamente, per oltre trent'anni studiò l'ebraismo italiano». Per quale motivo, allora, nonostante la campagna antisemita del fascismo, questo «precursore» antisemita non è riuscito a «sfondare» nel partito nazionale fascista?
Andrea Sillioni Bolsena (Vt)
Caro Sillioni, Prima di rispondere alla sua domanda conviene dare ai lettori qualche informazione su questo cupo personaggio, regista della politica antisemita durante la Repubblica Sociale emorto suicida nella primavera del 1945. Nacque in provincia di Avellino nel 1881 e fece studi ecclesiastici, ma rinunciò al sacerdozio, si segnalò nel 1904 per alcuni articoli sull’emigrazione e pubblicò nel 1913 un libro («La Germania alla conquista dell’Italia») in cui «dimostrò» che le banche fondate con capitale tedesco (Banca Commerciale e Credito Italiano) avevano lavorato per l’asservimento dell’Italia al Reich. Fu nazionalista e interventista, aderì al fascismo e fondò una rivista, «La vita italiana», che divenne il veicolo delle sue battaglie politiche e culturali. Ma non fu, agli inizi, antisemita. Nel libro da lei citato Renzo De Felice osserva che la rivista pubblicò sino al 1920 articoli «di ebrei e di massoni, anche piuttosto noti».
La svolta ebbe luogo nel 1920 e fu provocata dalla lettura dei «Protocolli dei savi di Sion», il libello antisemita che la polizia segreta zarista aveva fabbricato agli inizi del Novecento e di cui Preziosi divenne il maggiore propagandista italiano. La lettura dei Protocolli creò nelle sua mente una sorta di fissazione ossessiva. Si convinse che gli ebrei erano responsabili di tutte le ingiustizie, vere e presunte, patite dall’Italia dopo la fine del conflitto; e l’antisemitismo divenne l’impegno totalizzante di tutta la sua vita. Trovò qualche consenso in ambienti fascisti, trionfò con le leggi razziali del 1938 e divenne ministro di Stato nel 1942. Ma il suo fanatismo finiva per infastidire anche coloro che non provavano per gli ebrei alcuna simpatia. Nel 1944 scrisse a Mussolini una lettera in cui lamentava di essere stato solo distrattamente ascoltato negli anni precedenti, prometteva rivelazioni sul complotto ebraico mondiale e si proponeva al regime come Grande Inquisitore. Mussolini cedette e gli affidò nell’aprile del 1944 una direzione generale per la Demografia e la razza, appositamente costituita presso la presidenza del Consiglio. Da quel momento il suo principale obiettivo divenne la preparazione di una « scheda genealogica » che avrebbe costretto ogni cittadino italiano a ricostruire il proprio passato familiare sino alla terza generazione. Soltanto così, secondo Preziosi, sarebbe stato possibile radiografare la società e trovare ogni più piccola traccia di sangue ebraico nel corpo della nazione. Morì senza avere realizzato il suo sogno alla fine di aprile del 1945 gettandosi con la moglie dalla finestra di una casa milanese di corso Venezia.
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