Riportiamo da LIBERO di oggi, 29/04/2010, a pag. 18, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Gli ebrei di sinistra sono stanchi della politica Usa pro-Palestina ".
Angelo Pezzana
Gli ebrei americani hanno sempre votato a maggioranza per il partito democratico, non era il candidato a orientare il loro voto, ma il partito. E così è stato con Barack Obama, il cui essere nero e musulmano non ha minimamente influito, in nessun senso, era lui, un democratico, da eleggere presidente, e questo bastava. Ma l'amore è durato poco, è bastato un anno soltanto per capire quanto la politica mediorientale della Casa Bianca fosse influenzata dall’appartenenza del suo inquilino all’islam. Chi l'aveva sottovalutato adesso corre ai ripari. Obama, preoccupato, cerca alleati fra le figure di spicco della comunità ebraica Usa, soprattutto nell’intellighentzia di sinistra, una minoranza fra i cinque milioni di ebrei americani, ma molto vivace e organizzata, presente in modo particolare sui media internazionali. Ha bisogno che siano gli ebrei a criticare Israele, a contestare la politica del governo Netanyahu, se lo fanno gli ebrei, è il ragionamento, perchè non dovrebbe farlo un musulmano ? Ecco che nasce all’improvviso una lobby “pacifista”, JStreet, che si contrappone, da sinistra, ai molti gruppi pro-israele già esistenti, e che gode sin da subito dell’attenzione della stampa. Ma i nomi che la compongono sono, per ora, di serie B, perchè anche i più cauti nel criticare Obama hanno finito per sciogliere ogni riserva. Scende in campo per primo Ronald Lauder, presidente del Congresso Mondiale Ebraico, come dire l'autorità più alta a livello internazionale, il quale, con parole inequivocabili, uscite due settimane fa in una inserzione a piena pagina sul New York Times, Wall Street Journal, Jerusalem Post, avverte il presidente che è ora di cambiare, perchè la sua politica mette in pericolo l'esistenza stessa di Israele. Lo fa con toni pacati, da buon americano, ma in modo fermo e deciso. Lo segue subito dopo Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace e sopravvissuto ai campi di sterminio, una delle figure più autorevoli al mondo per quanto concerne la difesa dei diritti umani, amico personale di Obama, avendolo accompagnato a vedere Auschwitz perchè vedesse con i propri occhi quanto le democrazie occidentali non erano riuscite ad impedire durante la Shoah, con identiche pagine a pagamento sugli stessi quotidiani, nelle quali ricorda al suo presidente le ragioni di Israele ed i pericoli dai quali deve difendersi e che la sua amministrazione sembra aver dimenticato. E’ di ieri la presa di posizione di Abe Foxman, capo della Anti-Defamation League, che rimprovera Obama di avere abbandonato l'amico-alleato, di criticarlo senza mai chiedere nulla alla controparte palestinese o ai regimi musulmani circostanti.
Ne nasce una polemica vivace, nella quale primeggiano ex israeliani, divenuti nel frattempo francesi o inglesi, figure un tempo di spicco nella cultura politica israeliana, ma che oggi rappresentano solo se stessi, nei quali il rancore si mischia con la vanità. Nascono nuove sigle, si redigono appelli, ignorando che Israele la pace l'ha sempre cercata e voluta (Egitto e Giordania), mentre gli accordi pateracchio benedetti dalle istituzioni internazionali non hanno prodotto che disastri. Gli accordi di Oslo hanno aperto la strada al terrorismo, il ritiro dal Libano ha prodotto Hezbollah, alla faccia delle garanzie del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Gaza con il colpo di stato di Hamas è una minaccia costante persino per l'Autorità palestinese. Che succederà domani con “Gerusalemme Est”, se diventerà un’enclave separata e indipendente, come sembarno volere le anime belle che firmano gli appelli contro il governo israeliano ? Soltanto uno Stato palestinese democratico potrà convivere in pace con Israele, eppure oggi si chiede allo Stato ebraico di rinunciare ad ogni garanzia di sicurezza in nome di uno stato di là da venire, i cui leader non sono per niente interessati ad una pace giusta e condivisa con Israele. Che non deve essere lasciato solo in un momento cruciale per la sua esistenza, circondato com’è da regimi totalitari che ne minacciano la sopravvivenza, soprattutto quando il suo alleato di sempre, l'America, sembra rinunciare a quei valori che l'hanno resa una grande democrazia.