Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 28/04/2010, a pag. 15, l'articolo di Moisès Naim dal titolo " Israele più isolato? Palestina indipendente ", preceduto dal nostro commento. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, la breve dal titolo " Hillary Clinton e Barak: incontro positivo ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, la breve dal titolo " Abu Mazen: riprendere i colloqui con Israele ".
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - " Hillary Clinton e Barak: incontro positivo "
Hillary Clinton con Ehud Barak
WASHINGTON — Aria di disgelo tra Israele e Stati Uniti dopo le accese divergenze sui nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme. Hillary Clinton ha detto ieri di avere avuto un incontro «eccellente, molto costruttivo, positivo» con Ehud Barak dedicato alla ripresa del dialogo di pace tra israeliani e palestinesi. Il segretario di Stato americano ha parlato ai media con al fianco il ministro della Difesa israeliano, dopo il loro colloquio al Dipartimento di Stato. Non c’era stato nessun incontro con i giornalisti invece lo scorso 22 marzo dopo il teso faccia a faccia alla Casa Bianca tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e Barack Obama (che a un certo punto lo aveva piantato in asso per andare a cena). Stavolta l’atmosfera è stata visibilmente diversa. Barak ha ringraziato l’amministrazione Usa per «il suo approccio chiaro a quello che occorre fare in Medio Oriente per progredire insieme verso la pace». Washington spera di agevolare la partenza dei negoziati indiretti fra israeliani e palestinesi per riprendere il filo del processo di pace dopo un anno e mezzo di stasi.
Il MANIFESTO - " Abu Mazen: riprendere i colloqui con Israele "
Abu Mazen
Abu Mazen è pronto ad accogliere la Nato nei territori del futuro Stato palestinese. Rinunciando alla condizione che aveva posto per andare alle trattative con Israele – il blocco totale della colonizzazione ebraica – il rais dell’Anp l’altra sera ha detto alla tv israeliana di essere pronto ai negoziati indiretti con lo Stato ebraico sponsorizzati dagli Stati Uniti. Un passo che verrà «autorizzato» dalla Lega araba. Alla platea israeliana Abu Mazen ha offerto lo scenario d’una presenza di forze Nato, sotto comando americano, nello Stato di Palestina per «garantire la sicurezza di tutti». Infine ha detto di non essere favorevole alla dichiarazione d’indipendenza autonoma entro il 2011 proposta dal premier Salam Fayyad.
Il SOLE 24 ORE - Moisés Naim : " Israele più isolato? Palestina indipendente "
Nel suo articolo, Moisès Naim ipotizza la nascita dello Stato palestinese e specifica quali fattori porterebbero alla sua dichiarazione unilaterale.
La realtà dei fatti, però, è ben diversa da quella descritta nel pezzo di Naim. Tanto per cominciare, come scritto nella breve del CORRIERE della SERA pubblicata in questa stessa pagina, i rapporti fra Israele e Usa non sono così freddi. L'incontro tra Hillary Clinton ed Ehud Barak, anzi, è stato positivo.
Per quanto riguarda la dichiarazione unilaterale dello Stato palestinese, Abu Mazen non è d'accordo (cfr la breve del MANIFESTO, pubblicata in questa pagina della rassegna).
Ecco il pezzo di Naim:
Moisès Naim
Cosa succederebbe se la Palestina dichiarasse la propria indipendenza? Non è una congettura, né uno scenario improponibile. Salam Fayyad, il primo ministro palestinese, ha dichiarato che ciò accadrà qualora non si dovesse raggiungere un accordo con Israele.
A Washington e in altri centri di potere si fanno insistenti le voci secondo cui la dichiarazione d'indipendenza della Palestina rappresenterebbe una possibilità reale e imminente. In virtù dell'isolamento internazionale di Israele, del deterioramento del suo rapporto politico con gli Usa e della popolarità della causa palestinese nel mondo, un numero consistente di paesi si affretterebbe a riconoscere il nuovo Stato.
Lo stallo del processo di pace, la mancanza di una road map credibile che offra una speranza di sviluppo nei rapporti tra palestinesi e israeliani, l'inconsistenzadella mediazione di George Mitchell, l'inviato statunitense per il Medio Oriente nominato dal presidente Obama due giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, e soprattutto la debolezza politica tanto del governo israeliano quanto di quello palestinese sono alcune delle condizioni che rendono plausibile la possibilità di una dichiarazione unilaterale d'indipendenza da parte palestinese. Questo non risolverebbe il problema, ma senza dubbio cambierebbe la situazione.
Una delle componenti che hanno contribuito a rendere plausibile lo scenario è la frammentazione politica interna d'Israele e le conseguenze che questa situazione ha generato in termini di isolamento internazionale. Teoricamente, la democrazia suggerisce la presenza di governi che rappresentano la volontà e le preferenze della maggioranza degli elettori. In pratica, succede che a volte gli interessi difesi dal governo non siano quelli dei gruppi più numerosi ma di quelli che più si fanno sentire. L'irruenza di alcuni tra i suoi sostenitori può far sì che un gruppo politico acuisisca un'influenza di gran lunga superiore a quella giustificata dal numero dei suoi membri. È ciò che da tempo succede in Israele, dove le politiche nazionali sono imposte da gruppi religiosi conservatori, coloni e frange estremiste che impongono le loro priorità e non quelle della maggioranza. Durante una recente visita di Joe Biden, vicepresidente degli Usa il cui obiettivo era quello di promuovere i negoziati con la Palestina, il governo d'Israele ha autorizzato la controversa costruzione di 1.600 abitazioni a Gerusalemme est. «Nell'assistere a questo sviluppo mi sono chiesto se i suoi leader credano che la sopravvivenza d'Israele sia minacciata da un Iran con la bomba atomica», mi ha confidato un alto funzionario della Casa Bianca. «Siamo il principale alleato d'Israele, e senza di noi non si riuscirà a impedire che l'Iran sviluppi armi nucleari. Mentre noi ci sforziamo di ottenere l'appoggio di Cina e Russia per imporre sanzioni all'Iran, i politici israeliani sembrano interessati solo a costruire più case per alcuni coloni». Un'altra interpretazione di questo incidente è che coloni e politici che li rappresentano hanno ben compreso la burocrazia israeliana e riescono a manovrarla in modo miope per raggiungere i propri obiettivi, senza considerare quelli più importanti della nazione. Secondo questa prospettiva, il primo ministro Benyamin Netanyahu sarebbe rimasto sorpreso dall'autorizzazione concessa per la nuova costruzione tanto quanto lo stesso Biden. Una minoranza irruente indirizza il paese verso una rotta non condivisa dalla maggior parte degli israeliani, che, infastiditi dalla politica e delusi dai leader, godono dell'incredibile successo economico del paese e della drastica riduzione degli attacchi terroristici seguita alla costruzione del muro che circonda i territori palestinesi. Hanno abbandonato il destino politico del paese in mano a estremisti che non li rappresentano.
Tutto ciò ha un costo all'esterno d'Israele e l'isolamento è aumentato: in alcuni paesi, fornirgli appoggio politico è diventato più costoso, al contrario di una più proficua difesa della causa palestinese. Perciò la dichiarazione unilaterale d'indipendenza è per i palestinesi un'idea fattibile e invitante. È un gesto che promette in teoria più di quanto può mantenere nella pratica. Secondo Daniel Levy, un israeliano che ha partecipato a molti negoziati con i palestinesi, «il problema non è tanto la dichiarazione d'indipendenza, quanto ciò che succede il giorno dopo».L'indipendenza non risolve il problema della divisione dei palestinesi in due fazioni in guerra tra loro. Né consente di compiere apprezzabili progressi in alcuno dei tre spinosi problemi sui quali deve negoziare con Israele: confini, Gerusalemme e ritorno dei rifugiati palestinesi. E neppure riduce le ambizioni dell'Iran sul controllo della Palestina.Ma potrebbe produrre quello che questa minuscola area del pianeta genera in grandi quantità: speranze che si trasformano in frustrazioni.
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