Il MANIFESTO di oggi, 24/04/2010, pubblica a pag.10, con il titolo " Scontro Usa-Israele, chi vince e chi perde ", di Immanuel Wallerstein una analisi che in sostanza è un riassunto delle puntate precedenti. Con l'aggiunta, che si ricava dal titolo, che a perdere sarà Israele. Cosa ovvia sul quotidiano trinariciuto. La lettura è lunga, ma utile per ricordarci che molte delle tesi più estreme ( lo stato unico come prospettiva risolutiva del conflitto) appartengono pure al campo cosidetto moderato.
Interessante anche notare come quando ci sono da citare fonti americane contrarie a Israele, il MANIFESTO non si tira indietro. Ma a Wallerstein ( chi è costui ?) fa talmente velo l'odio contro Israele da non accorgersi che le famose dichiarazioni attribuite al generale David Petraeus sono state da lui smentite su tutta la stampa internazionale (si veda nell'archivio di IC alla voce Petraeus). Come sempre l'attendibilità delle analisi del giornale comunista crolla miseramente quando si verificano le fonti.
W. richiama anche le posizioni pacifiste isrealiane di Uri Avnery, che dagli anni '50 non ha fatto altro che prediche antisioniste, finite come sappiamo.
W. confonde poi élites con popolo, perchè dimentica che in Israele, come in ogni vera democrazia, i governi vengono eletti dai cittadini e ne rispecchiano quindi le posizioni storiche e politiche.
Non se ne salva neppure una riga, per cui ci fermiamo qui.
David Petraeus
Ecco l'articolo:
Chiunque sia convinto della possibilità di un cambiamento significativo dello status quo israelo-palestinese soffre di allucinazionimultiple. Il governo israeliano è inamovibilmente contrario alla creazione di uno stato palestinese, anche di uno stato palestinese debole, posizione questa condivisa da una largamaggioranza degli ebrei israeliani. I leader palestinesi sono più divisi,ma anche i più accomodanti non sono disposti a prendere in considerazione niente di meno di uno stato basato sulle frontiere del 1967 con Gerusalemme Est capitale. Il resto delmondononriesce a spostarsi da una parte né dall’altra. Questa è quella che si definisce impasse. La domanda: chi vince e chi perde in unaimpasse? L’élite politica di Israele sembra convinta che saranno loro a vincere. Esisteunvasto gruppo il cui irredentismo è così risoluto da ritenere qualsiasi accordo di pace un disastro. Gli israeliani sono sempre stati convinti che se avessero puntato i piedi, alla fine il resto delmondo(compresi gli arabi palestinesi) avrebbe ceduto a quelle che definiscono «le realtà sul terreno». Una politica che funziona da anni. Dunque perché cambiarla? E però un coro sempre più forte si alza - proprio tra i loro amici e sostenitori - per metterli inguardia: il clima politico mondiale sta cambiando, e non a favore di Israele. L’alternativa alla soluzione dei due stati - sottolineano - è uno stato unico, stato però in cui gli ebrei diventerebbero ben presto una minoranza. Il che comporta, dando per scontato il suffragio universale, che tale stato non sarebbe più uno «stato ebraico ». D’altro canto se ai non ebrei si negasse il diritto di voto non si potrebbe più nemmeno lontanamente parlare di stato democratico. Solo il mese scorso, un noto amico e sostenitore, Thomas L. Friedman, ha scritto un editoriale sul New York Times che ha scatenato una vivace querelle. L’articolo, dal titolo «Guidare ubriachi a Gerusalemme », rimproverava il vicepresidente Usa, Joseph Biden, per non aver lasciato subito il paese quando il suo arrivo era stato salutato dall’annuncio offensivo del progetto di (1.600) nuove case in una colonia ebraica a Gerusalemme Est. Secondo Friedman, Biden avrebbe dovuto dire agli israeliani: «Gli amici non lasciano che i loro amici guidino in stato di ebbrezza e questo è quello che stanno facendo ora gli israeliani». Unaltro vecchio amico e sostenitore di Israele, Leslie H. Gelb, ha pubblicatoun blog dal titolo «Israele gioca col fuoco» in cui faceva la seguente previsione: «I leader israeliani non apprezzeranno la piega che prenderà il loro piccolo schiaffo politico (a Biden)». Allora perché Biden non ha fatto quello che suggeriva Friedman? Due sono le risposte possibili. La prima è quella di Uri Avnery, unodei pochi israeliani critici verso le posizioni del suo governo su questi temi. Avnery, constatato che il governo ha di nuovo sputato in faccia agli Usa, ha concluso il suo articolo col vecchio detto: «Se sputi in faccia a una persona debole e inerme, quella fingerà che stia piovendo.Può valere anche per il presidente della nazione più potente del mondo?». La seconda risposta consiste nello spostare il discorso sulla situazione politica Usa. Obama, come gli altri presidenti americani prima di lui, non ha ancora fatto niente di serio salvo reiterare eterno sostegno ad Israele, anche se molti israeliani sono convinti che le poche aperture agli arabi che ha fatto (come il suo discorso al Cairo) siano già troppo. Di recente il cognato del primo ministro israeliano alla radio dell’esercito israeliano ha accusato Obama di antisemitismo a causa di quel discorso. Il governo Usa non fa molto, né ha mai fatto molto perché negli Stati Uniti il sostegno della linea dura israeliana è molto popolare. E non solo grazie alla forza di quella lobby filoisraeliana importante e aggressiva che è l’Aipac. E nemmeno solo perché la destra cristiana ha adottato una posizione estremista pro-sionista. La causa primaria è che i principali leader democratici sono impegnati in tale sostegno, e Obamaha già abbastanza problemi con tanti esponenti del suo partito da non aver voglia di scontrarsi con loro anche su un altro fronte. Il governo statunitense continuerà a perseguire la stessa politica? Negli ultimidieci anni Israele ha perso molto del sostegno di cui godeva in Europa occidentale per via del comportamento ostinato, gretto e oppressivo verso gli arabi palestinesi,soprattutto anche se non unicamente a Gaza. Il sostegno alla linea dura di Israele è andato scemando anche tra segmenti significativi della popolazione ebraica statunitense. Ma ora sembra emergere una nuova fonte di critica. In un articolo uscito su Foreign Policy Marc Perry ha rivelato che il 16 gennaio una delegazione di ufficiali di alto grado del Central Command (Centcom, responsabile per il Medio Oriente) ha illustrato al capo di statomaggiore interforze, l’ammiraglio Michael Mullen, le preoccupazioni del generale David Petraeus, a capo del Centcom, in merito all’impasse israelopalestinese. Sembra che Petraeus e i suoi ufficiali abbiano ricevuto un messaggio critico da tutti i leader arabi incontrati. «Non solo si ritiene che l’America si sia indebolita», avrebbe concluso Petraeus, «ma la sua posizione militare nel territorio si sta erodendo». In breve, l’impasse danneggiava gli sforzi militari in Iraq e in Afghanistan. Conclude dunque Perry: ci sono diverse lobby potentissime a Washington, come la National Rifle Association, o l’AmericanMedical Association, gli avvocati, e ovviamente l’Aipac. «Ma non esiste lobby più importante o potente dell’esercito americano». Petraeus ha dunque messo in guardia Mullen: «Il rapporto tra America e Israele è importante, ma non quanto la vita dei soldati americani». Poiché Petraeus è stato nominato da George W. Bush e la destra americana lo classifica tra i falchi per quanto riguarda l’intervento militare Usa in MedioOriente, non può certo venire accusato di essere un venduto. L’intransigenza di Israele si è dimostrata vincente nel breve termine. Ma è suicida nel medio periodo - come implicitamente indicato da Friedman e Gelb e sottolineato da Petraeus. Gli israeliani della linea dura sono pronti a denunciare chiunque non li appoggi al 101%. Ma se credono di poter vincere chiamando adesso Friedman e Gelb «ebrei che odiano se stessi» e Petraeus «antisemita» tout court, allora si illudono ancora più di quanto immaginavo. Gelb concludeva il suo blog con un avvertimento a Israele e ai suoi leader: «Non è questo il momento dimettere alla prova la solidità e la profondità del sostegno americano al loro paese». Netanyahu è andato aWashington per vedere se gli riusciva di placare l’ira di Obama. Non sembra aver avuto successo. Che la soluzione dello stato unico (in stile Sudafrica) sia saggia o meno, che il governo Usa sia pronto o no ad adottare una linea davvero dura con gli israeliani, e che la leadership israeliana la ritenga o meno anche solo lontanamente accettabile, è in quella direzione che il mondo si sta inesorabilmente muovendo.
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