Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Sul mare davanti a Gaza con il surf Ecco una attività alternativa al lancio dei missili
Testata: Corriere della Sera Data: 24 aprile 2010 Pagina: 20 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Surfisti a Gaza, le onde della libertà»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 24/04/2010, a pag.20, una corrispondenza da Gaza di Francesco Battistini, dal titolo " Surfisti a Gaza, le onde della libertà ". Sul mare davanti alla Striscia si sarebbe potuto titolare in molti modi, oltre quello scelto. Ad esempio, le stesse onde che richiamano alla libertà, sono state spesso teatro anche di tentativi di sbarco di navi cariche di armi. Ecco l'articolo:
GAZA — Tira vento, oggi, e non tirano razzi. E l’acqua non sembra troppo sporca. Un po’ fredda, magari, ma non è questo che ferma Mohammed Abu Jayyab. La tavola rosa e scheggiata con lo squalo incollato a prua è già paraffinata. La muta ha un rattoppo sulla coscia: «Me ne deve arrivare una nuova dai tunnel...». È dal 1996 che Mohammed non esce da Gaza. Ragazzino, guardava le onde. Adulto, le studia. Prova a scivolarci sopra, gli dissero una volta. Lui ci provò e ormai non sa fare altro: un po’ d’increspature e via, al largo, a intubarsi, a droppare gli avversari, a cavalcare qualunque acqua. Bastano due metri d’onda: «Quando vedo in tv su che cosa surfano alle Hawaii o in Australia, mi metterei a urlare. Ma alla fine penso che vada bene anche questo mare. Bisogna avere pazienza». Pazienza, sì. L’onda buona, c’è tempo per aspettarla. Il mercoledì è sempre da leoni: leoni in gabbia. E a Gaza è uguale al giovedì, al venerdì, a qualunque giorno di qualunque mese di qualunque anno. «Il mare è l’unico che porta qualcosa di buono», dicono i ragazzi della Sheik Khadzien Beach, la spiaggia dei surfisti. «Le onde del Mediterraneo sono la nostra via di fuga. Le cavalchi e almeno in quell’attimo sei libero. Non ci sono paure, non c’è la vita da reclusi. È un momento di libertà». Hanno fondato il Gaza Surf Club. Quaranta soci: «Noi usciamo sempre. Anche quando là in fondo ci sono le motovedette israeliane e non escono i pescatori » . Un raggio di sole, la spiaggia si riempie di ragazzini col pallone, donne velate, fumatori di narghilé e poi loro, i surfisti. «All’inizio ci guardavano strano. Poi si sono tutti abituati». Il vento della costa è più forte del vento dell’Islam. A farlo soffiare per il verso giusto, fu un tosto californiano di 89 anni: Dorian «Doc» Paskowitz, ebreo, una vita sulle onde del Pacifico, pioniere del surf nell’Israele del 1956 («fui il primo, sulla Frishman Beach di Tel Aviv») e profeta a Gaza nel 2007. Qui cavalcavano le onde i coloni israeliani, finché non se ne dovettero andare. I palestinesi, niente: «Un giorno ho visto una foto sul Los Angeles Times— racconta Doc —, c’erano due ragazzi con un surf mezzo scassato. Ho deciso che si doveva fare qualcosa». Doc attraversò il mondo e una mattina si presentò al valico di Erez con quindici tavole nuove di zecca. I soldati israeliani erano basìti: «Dissi: non vorrete fare un torto a un vecchio ebreo che vuole insegnare il surf? Mi fecero passare».
A Gaza si pigia un milione e mezzo di palestinesi. C’è un tasso di disoccupazione del 40 per cento: chi non lavora per Hamas, chi non sta coi turboislamici, è a spasso. Il Mediterraneo è il più inquinato: ogni giorno si rovesciano 60 milioni di litri d’acqua fognaria, poco o nulla filtrata. Il vibrione non spaventa, però, e surfare è una fede. «God went surfing with the Devil» è il titolo d’un film — Dio andò a surfare col diavolo — che racconta d’un palestinese e d’un israeliano, al di qua e al di là del blocco, che aspettano la stessa onda e la stessa pace: è venuto a girarlo un regista californiano e a Santa Barbara, quando l’hanno proiettato, il pubblico di Hollywood s’è alzato ad applaudire. «Siamo gente come voi — dice Mohammed —. Ci piace lo sport, il mare, la vita». Si fanno i campionati, si danno le medaglie. Sempre fra quei quaranta. Sempre sulla stessa fibra di vetro e con le stesse mute sfibrate, che importa: «Il mio miglior amico è Taha Bakir. Ci sfidiamo tutte le settimane. Io sto con Hamas, lui è del Fatah...». Quando se lo dicono, se lo dicono laggiù. E il mare copre le loro voci.
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