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Ugo Volli
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Cambi di regime e sondaggi 17/04/2010

Cambi di regime e sondaggi



Cari amici, vi ricordate Gladio in Italia, il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, quello di Pinochet in Cile, ma anche la caduta del muro, le rivoluzioni arancioni in Ucraina e in altri paesi dell'Est eccetera eccetera?  C'è una lunga serie di traumatici cambiamenti politici di cui si è detto che gli Stati Uniti fossero responsabili attraverso i loro servizi segreti. Il nome in codice più neutro è "cambiamento di regime". Be', ormai con Obama queste cose si sono impegnate a non farle più e anzi l'amministrazione ha assicurato gli ayatollah in Iran, gli Assad in Siria, i Chavez in Venezuela, gli Erdogan in Turchia che queste brutte cose loro non le fanno più. Anzi quando l'anno scorso il presidente dell'Honduras, dittatorello di stile Chavez, ha cercato di modificare le leggi per superare i limiti costituzionali alla sua rielezione e l'esercito è intervenuto per spossarlo e procedere immediatamente a nuove elezioni, l'America di Obama si è affrettata a condannare questa violazione della libertà dell'aspirante dittatore. Forse anche per questo i governi più sanguinari e guerrafondai continuano imperterriti sulla loro strada; sanno che l'America abbaia ma si è tolta i denti per morderli.

C'è però un'eccezione, uno stato per cui gli analisti impiegano costantemente l'espressione "cambio di regime" come obiettivo politico americano. Sapete quale? Massì, Israele. Abbattere Netanyahu e sostituirlo con la Livni, o almeno costringerlo a cambiare alleanze sbarcando Shaas e Israel Beitenu per cooptare nel governo Kadima è il vero obiettivo delle manovre americane su Israele, il prerequisito per poter realizzare i successi che Obama si attende. (Per esempio guardate qui un'opinione del Los Angels Times, che è uno dei giornali americani più autorevoli: http://www.latimes.com/news/opinion/commentary/la-oe-miller12-2010apr12,0,3752943.story .) Naturalmente un colpo di stato non è possibile in una democrazia nata come tale ben prima della fondazione dello Stato, con i primi germi dell'autogoverno dell'Yishuv, un secolo e più fa. Dunque il tentativo è quello di mostrare agli israeliani che Netanyahu è inadeguato, non ce la fa a trattare con gli americani, che bisogna cacciarlo.

Se una politica del genere fosse applicata all'Italia, pochi si indignerebbero e non mancherebbero gli opinion leader, "Repubblica" in testa, a gioire per il benefico intervento dello straniero. Chiamare francesi, spagnoli e austriaci per cercare di prevalere sugli avversari locali è un vecchio sport nel nostro paese, che risale al Rinascimento. Ma Israele è diverso. Gli intellettuali che invocano un intervento straniero per "mettere a posto" il governo che non gli piace non mancano, sono praticamente tutti gli editorialisti di quel giornale arabo in lingua ebraica che si chiama Haaretz: ma l'organo israeliano dei nemici di Israele ha molto ascolto all'estero, compresa l'Italia dove è citato come la Bibbia, ma in Israele la sua tiratura pesa per il 4% delle copie vendute dai giornali, più o meno il peso elettorale dei partiti "post-sionisti". In sostanza non contano niente.

E infatti sapete cosa pensano gli israeliani del probabile piano di pace di Obama che tolga "Gerusalemme Est" e la valle del Giordano al controllo di Israele? Lo rivela un sondaggio pubblicato dal "Jerusalem Post" (http://www.jpost.com/Israel/Article.aspx?id=173093):  contrari il 91%, favorevoli il 9 %. Un'altra domanda chiedeva che conseguenze avrebbe avuto la realizzazione di un piano del genere: l'86% ha affermato che avrebbe portato a un nuovo conflitto e il 14% alla pace.

Il sentimento degli israeliani che questa non sia la strada per la pace non è affatto irrealistico, permettetemi di dire. Infatti in parallelo è stato chiesto ai palestinesi se erano disponibili a un piano di pace che stabilisse, secondo il piano americano, uno stato palestinese con i confini del '67, con qualche scambio di terre e se erano disposti a condividere Gerusalemme come capitale di due Stati: Le risposte sono state sui confini 66,7 no e 28,3 sì; su Gerusalemme 77,4 no, 20,8 sì e il resto incerti. Insomma, gli israeliani appoggiano massicciamente Netanyahu e rifiutano le linee dell'intervento americano, che non vanno bene neppure ai palestinesi.

In queste cifre è contenuto tutto il fallimento di Obama e anche purtroppo il seme di nuove guerre e distruzioni. I palestinesi sono stati corteggiati e coccolati dal mondo intero e in particolare da Eurabia e dall'America, sicché sono convinti di poter prendere prima o poi il paese "dal Giordano al mare". Gli israeliani hanno imparato a loro spese che cedere "la terra in cambio della pace", come hanno fatto troppe volte, non porta affatto la pace, ma dà solo forza ai loro peggiori nemici, come Hizbullah, affermatosi col ritiro dal Libano, Hamas, che ha preso Gaza dopo il ritiro dalla striscia, e Al Fatah, che in Cisgiordania ha fatto guai soprattutto dopo gli accordi di Oslo che li hanno riammessi lì.

Obama può cercare tutti i cambi di regime che crede e provare a imporre tutti i piani di pace che immagina. La realtà sul terreno e nella convinzione di chi vive da quelle parti resta quella.

Ugo Volli


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