La Siria ha ceduto parte del suo arsenale missilistico a Hezbollah Obama è sicuro che il dialogo sia ancora l'opzione migliore?
Testata: Il Foglio Data: 14 aprile 2010 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «Il dialogo spezzato»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/04/2010, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Il dialogo spezzato ".
Bashar al Assad, Hezbollah
Roma. L’arrivo a Damasco di Robert Ford, l’ambasciatore nominato il 17 febbraio da Barack Obama, potrebbe essere rimandato “a data da destinarsi”. C’è in bilico la sua conferma al Senato, ma soprattutto ci sono notizie poco incoraggianti dalla Siria. Ford è la prova vivente della volontà di dialogo dell’Amministrazione americana nei confronti di Damasco, ma dopo il fallimento della mano tesa all’Iran anche la politica di apertura verso l’alleato principale di Teheran è in crisi. E’ di ieri la notizia che la Siria ha donato parte del proprio arsenale missilistico a Hezbollah, portando i miliziani in territorio siriano per addestrarli all’utilizzo dei nuovi armamenti. Tra le forniture risultano dei missili Scud a raggio medio-lungo, che danno alla donazione un valore simbolico: Hezbollah è ora l’unica organizzazione non statale al mondo a possedere questi armamenti. Secondo il quotidiano kuwaitiano al Rai, che basa le rivelazioni su fonti di intelligence israeliane e americane, gli Scud non sarebbero tecnologicamente avanzati e già da tempo si sapeva che Hezbollah era in possesso di razzi che le avrebbero permesso di colpire fino a Beersheba – un centinaio di chilometri a sud di Gerusalemme. Ma i nuovi Scud, in grado di colpire fino a Eilat, siglano l’atto finale della non applicazione della risoluzione 1.701 delle Nazioni Unite, quella che nel 2006 aveva imposto il disarmo ai gruppi armati libanesi. Allora Hezbollah disponeva di 14 mila missili, ora ne avrebbe almeno 40 mila. Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha accusato la Siria di “dire pubblicamente di voler la pace mentre consegna missili Scud a Hezbollah”. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha provato a raffreddare i toni dicendo di non avere “intenzioni aggressive” verso il Libano, ma il dipartimento di stato americano ha convocato l’ambasciatore siriano a Washington, chiedendo di fermare i rifornimenti a Hezbollah per scongiurare il rischio di una guerra. Il passaggio di armi è l’ultimo atto di una politica ambigua da parte della Siria che ha illuso molti leader occidentali: oltre a Obama l’altro grande sponsor di un riavvicinamento alla Siria è il francese Nicolas Sarkozy. Gli effetti sono evidenti sia nei confronti di Israele sia del Libano. Il presidente Assad si prepara a incontrare in settimana il primo ministro libanese Saad Hariri, figlio dell’ex premier Rafiq Hariri, ucciso nel 2005: dal suo omicidio nacque la rivolta contro i siriani, accusati di aver ordito l’attentato, culminata nella cacciata dei carri armati di Damasco dal Libano. Dopo cinque anni, la cosiddetta rivoluzione dei cedri è quasi del tutto dimenticata. Hariri ha normalizzato i rapporti con i siriani e, sopraffatto dal potere di quell’Hezbollah che aveva battuto alle elezioni dell’anno scorso, è stato costretto a un’agenda marcatamente filosciita: ha ordinato ai media libanesi e al proprio movimento giovanile di mettere a tacere ogni commento antisiriano e ora si aspettano concessioni generose all’ex stato nemico. Il governo di Damasco vuole che Hariri tenga sotto controllo i campi palestinesi nel suo territorio, per prevenire il radicarsi di gruppi islamici quali Fatah al Islam, che avevano attaccato la Siria nel 2008. Pretende inoltre che il Libano, che al momento ha un seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu, sposi una comune iniziativa diplomatica per dimostrare di aver completato il disarmo delle milizie non governative (da cui escludere Hezbollah, considerandola un’organizzazione di resistenza armata). E a Hariri non sarebbe risparmiata nemmeno la beffa più grande: escludere Hezbollah dagli indagati per l’omicidio di suo padre.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante