Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 14/04/2010, a pag. 10, i due articoli di Ugo Tramballi titolati " Un miracolo targato Fayyad " e " A Ramallah sognando la nuova ghinea ", preceduti dai nostri commenti. Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Cisgiordania: i palestinesi a rischio espulsione ", preceduto dal nostro commento. Ecco i pezzi:
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Un miracolo targato Fayyad "
Nell'articolo Tramballi descrive la situazione economica in Cisgiordania e attrribuisce a Salam Fayyad tutti i meriti della rinascita dell'economia paleestinese.
"È questo pragmatismo che stimola i palestinesi e preoccupa in uguale misura il governo di Bibi Netanyahu e Hamas, che governa il caos di Gaza.".
Hamas e il governo di netanyahu messi sullo stesso piano. Un paragone che non regge. Il governo di Hamas è terrorista, quello di Netanyahu no.
Netanyahu ha dichiarato di essere favorevole alla nascita dello Stato palestinese e di volersi impegnare per il miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi. Non è ben chiaro per quale motivo il miglioramento economico della Cisgiordania dovrebbe turbarlo.
Tramballi, poi, specifica che potrebbe trattarsi solo di un fuoco di paglia. La crescita economica non è sufficiente, sono necessari anche gli investimenti dei privati che, per ora, stentato a decollare. Tramballi fornisce questa spiegazione, al riguardo : " Il problema non è tanto Hamas a Gaza: l'estremismo, una crescita che nella Striscia assediata da Israele è solo dell'1%, una disoccupazione del 39 per cento. Se dall'estero e dall'interno iprivati non investono nel commovente fenomeno della Cisgiordania è per l'assoluta mancanza di certezza sul futuro. Cioè l'occupazione israeliana".
E' colpa di Israele, naturalmente. Non potrebbe essere colpa della corruzione dell'amministrazione di Abu Mazen?
Tramballi non ricorda gli scandali sulla corruzione dell'Anp che, recentemente, hanno trovato spazio anche sui quotidiani italiani ?
Ecco l'articolo:
Salam Fayyad
«Qui stiamo facendo cose, siamo un interlocutore reale di pace per chi volesse farla», diceva Gassan Khatib, il nuovo portavoce del governo Fayyad. «È la ragione per cui Israele ci teme. Preferisce i palestinesi che sparano a quelli che costruiscono». L'ufficio di Ramallah dove Khatib esercita le sue nuove mansioni dopo aver lasciato l'università di Bir Zeit, della quale era rettore, è moderno e funziona come quasi tutto oggi sembra funzionare in Cisgiordania.
Ora lo dicono anche Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale. In due rapporti usciti nell'imminenza del vertice dei donatori a Madrid, i due organismi sottolineano «l'impressionante ripresa della crescita in Cisgiordania ».L'Autorità palestinese, il governo guidato da Salam Fayyad, «ha continuato a costruire un solido programma nella creazione delle istituzioni, nell'economia, nella sicurezza».
La crescita in Cisgiordania è dell'8,5%, probabilmente la più alta fra i paesi arabi non petroliferi (6,8% l'incremento medio dell'economia palestinese,considerando anche la Striscia di Gaza). Crescono il settore edilizio e i consumi, garantiti dal largo settore dei dipendenti pubblici. Nel 2009 infatti l'Autorità palestinese ha avuto aiuti per 1,4 miliardi di dollari;l'anno precedente per 1,8. In grandissima parte garantiti dai paesi donatori come sostegno al bilancio: stipendi e lavori pubblici. In minima percentuale dall'investimento privato.
Le ragioni della crescita sono più d'una. Salam Fayyad ha smesso di occuparsi d'inutile lotta armata contro l'occupazione israeliana, iniziando la sua battaglia istituzionale di liberazione: giorno dopo giorno costruisce gli strumenti di uno stato affinché, quando verrà proclamato, la Palestina esista davvero.
Il primo ministro è convinto di concludere il suo lavoro di nation building entro la fine dell'anno prossimo: per il 2012 i palestinesi saranno tecnicamente pronti ad amministrare uno stato. La sua indipendenza, ammette tuttavia Fayyad, sarà un affare della politica.
È questo pragmatismo che stimola i palestinesi e preoccupa in uguale misura il governo di Bibi Netanyahu e Hamas, che governa il caos di Gaza. Diversamente dai suoi predecessori, Salam Fayyad, che viene dal Fondo Monetario, usa l'aiuto per gli scopi dichiarati. Non permette che l'apparato rubi la sua quota né destina fondi alle milizie armate che un tempo garantivano l'anarchia nei Territori. I vecchi arnesi di Fatah, il partito di Arafat e ora del presidente Abu Mazen, non sono entusiasti di Fayyad, eletto deputato in una lista diversa: hanno già tentato di sostituirlo e se è ancora al suo posto è perché Usa e Unione europea lo pretendono.
L'altra ragione della crescita è proprio questa: riformando polizia e forze di sicurezza, Fayyad ha ripristinato l'ordine nelle città palestinesi. Come rappresentante del Quartetto (Stati Uniti, Ue, Russia e Nazioni Unite), esplicitamente per la ripresa economica palestinese, anche Tony Blair ha fatto un buon lavoro.
La crescita palestinese, tuttavia, è fondata sull'aiuto internazionale, sull'economia pubblica e sui consumi. La disoccupazione è ancora al 18 per cento. Come ammette la Banca Mondiale, «è imperativo che anche gli investimenti privati decollino ». Questo è il segnale dei limiti strutturali della crescita palestinese. Il problema non è tanto Hamas a Gaza: l'estremismo, una crescita che nella Striscia assediata da Israele è solo dell'1%, una disoccupazione del 39 per cento. Se dall'estero e dall'interno iprivati non investono nel commovente fenomeno della Cisgiordania è per l'assoluta mancanza di certezza sul futuro. Cioè l'occupazione israeliana. Qualche posto di blocco è stato levato ma ne restano ancora centinaia. All'interno delle loro enclaves i palestinesi possono muoversi, ma sono gabbie. l'Autorità palestinese non controlla alcuna frontiera, dunque non ha dogane. Il 60% della Cisgiordania è area "C", interamente sotto il controllo israeliano: lì i palestinesi non contano nulla, comandano i soldati e i coloni. «Le restrizioni di movimento e di accesso ancora limitano l'attività economica interna, i commerci esterni e distorcono la crescita », scrive il Fondo. La "pace economica", della quale Bibi Netanyahu pensa i palestinesi si debbano accontentare, non può sostituire quella politica: è solo un benessere a tempo determinato. Già dieci anni fa, durante il processo di pace, la Palestina aveva avuto una crescita economica che tuttavia non aveva impedito l'esplosione della seconda Intifada. Alcuni ministri nazional-religiosi del governo israeliano dicono che Fayyad è un pericoloso estremista. E lo ripetono a ogni ospite straniero in visita a Gerusalemme. Dal loro punto di vista non hanno torto: nessun palestinese prima di Fayyad ha mai saputo far valere così tanto le ragioni dei palestinesi.
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " A Ramallah sognando la nuova ghinea "
L'articolo è su Jihad al-Wazir, governatore dell'Autorità monetaria palestinese. Come ricorda Tramballi, "Al-Wazir non è un nome qualsiasi in Palestina. Khalil al-Wazir, nom de guerre Abu Jihad, è parte della mitologia della lotta nazionale. Era il braccio destro di Arafat,cofondatore dell'Olp e capo delle sue operazioni militari. È lui che ha creato Settembre Nero, organizzato l'attentato alle Olimpiadi di Monaco, 1972, e guidato dall'esilio la prima Intifada". Insomma, è il figlio di un terrorista antisemita. E infatti il suo nome (Jihad) non lascia spazio ad equivoci.
Tramballi, però, lo descrive molto positivamente per tutto l'articolo, riporta alcune sue dichiarazioni sull'economia, ricorda che ha studiato ingegneria negli Stati Uniti e riporta (senza commentarla) questa sua dichiarazione : " «Sto lottando per la stessa visione di mio padre: uno stato palestinese indipendente», ". Stessa visione di suo padre, cioè di un terrorista assassino. C'è da augurarsi che non intenda lottare con le stesse modalità...
Ecco l'articolo:
Jihad al-Wazir
«La chiameremo Gineih, ghinea », dice Jihad al-Wazir, guardando lo spazio vuoto nella bacheca. Da una moneta di Alessandro Magno a quelle romane, bizantine, mamelucche, turche, inglesi fino alle banconote egiziane, sono testimoniate le attività monetarie sul suolo di Palestina. Tutte venute da fuori. Manca solo la banconota del primo stato indipendente, la ghinea.
Parrebbe un esercizio di presunzione di questi tempi credere in una valuta palestinese. «Invece no: con o senza stato, entro il 2010 saremo una Banca centrale fatta e finita. E non c'è Banca centrale che non batta moneta. Ci vorrà ancora un po' di tempo, ma professionalmente siamo pronti». Jihad al-Wazir, 46 anni, per ora solo governatore dell'Autorità monetaria palestinese che a dispetto del nome non determina i tassi d'interesse né stabilizza i prezzi; e tratta dollari americani, shekel israeliani e dinari giordani, in questo ordine d'importanza.
Tutti i banchieri del mondo devono affrontare una crisi finanziaria globale. Anche al-Wazir. Lui però ha in più un'occupazione israeliana in Cisgiordania che dura da 43 anni, e Hamas a Gaza. «In effetti ho alcune difficoltà che altrove i miei colleghi non conoscono: siamo regolatori bancari in circostanze uniche. Muovere contante dovrebbe essere un'attività ovvia per un istituto centrale:qui è un'operazione logistica. Con le autorità israeliane dobbiamo ogni volta passare attraverso tre livelli di coordinamento. È pesante ma per noi la trasparenza è essenziale». Prima ancora che lo facessero gli americani la settimana scorsa, un anno e mezzo fa Jihad al-Wazir aveva già messo fuorilegge la Banca islamica aperta a Gaza da Hamas.
Al-Wazir non è un nome qualsiasi in Palestina. Khalil al-Wazir,
nom de guerre Abu Jihad, è parte della mitologia della lotta nazionale. Era il braccio destro di Arafat,cofondatore dell'Olp e capo delle sue operazioni militari. È lui che ha creato Settembre Nero, organizzato l'attentato alle Olimpiadi di Monaco, 1972, e guidato dall'esilio la prima Intifada. L'operazione che portò alla sua eliminazione a Tunisi, nel 1988, la pianificò Ehud Barak: fu l'ultima vendetta per la strage di Monaco. Una squadra delle sayeret mefkal, i reparti speciali, arrivò una sera dal mare. Abu Jihad, il padre di Jihad, primo dei suoi figli maschi, fu ucciso davanti alla famiglia. Mancava solo Jihad. Era in America a studiare ingegneria. «Sto lottando per la stessa visione di mio padre: uno stato palestinese indipendente», constata Jihad nel suo studio di governatore a Ramallah, la capitale economica di un'ipotesi nazionale. «Lui era un rivoluzionario, io faccio il banchiere. Le cose cambiano e devono anche cambiare gli strumenti della lotta». Al-Wazir ricorda con pacatezza il padre e la sua fine: andò così e basta, è parte della narrativa del conflitto e dell'epica palestinese. Ciò che lo fa scaldare sulla poltrona è ricordargli quello che gli israeliani dicono a volte del sistema bancario palestinese: 21 istituti, tutti privati, con 180 sportelli; beni per 7,4 miliardi di dollari, 5,8 miliardi di depositi: tutte insieme grandi quanto la sesta banca israeliana. L'Autorità di al-Wazir ha riserve per un miliardo.
Il sistema palestinese, dicono in Israele, è «un Far West bancario ». «Non è affatto vero» reagisce il governatore, appunto scaldandosi. E quasi senza prendere fiato elenca i suoi successi. «Stiamo realizzando un piano triennale di trasformazione, ma secondo il Fondo monetario internazionale siamo già l'istituzione finanziaria più trasparente del Medio Oriente. Siamo i soli con un ufficio del difensore civico indipendente dal Consiglio della Banca. C'è l'ufficio dell'etica che tratta anche di molestie sessuali sul posto di lavoro.Abbiamo l'ufficio risorse umane che assume secondo le qualità della gente, non le parentele o le affiliazioni politiche come si usava qui. Per garantire credibilità al nostro sistema abbiamo comprato il software per la gestione del rischio un anno prima che Société Général perdesse un milione di euro a causa di un suo trader intraprendente ».
Per iniziare le sue attività una banca palestinese doveva avere un capitale di 25 milioni di dollari. Ora il minimo è di 35: «Fra poco lo alzeremo a 50 milioni». Deve aderire a un rigido segreto bancario e a un controllo sul riciclaggio del denaro. «Non è stato facile imporli. Più che con gli israeliani, abbiamo dovuto litigare con i servizi di sicurezza dell'Autorità palestinese, abituati a mettere mano su ogni cosa».
In Palestina il problema principale era Hamas che usava i suoi conti per finanziare la lotta armata. «Lo abbiamo risolto e lo abbiamo dimostrato agli israeliani », dice Jihad al-Wazir. «Due anni fa abbiamo deciso di non accettare più assegni girati. Allora nemmeno gli israeliani erano pronti farlo nel loro sistema. Stanley Fisher è un amico e riconosce i nostri sforzi». Fisher, ex Banca mondiale e Fmi,è appena stato riconfermato governatore dell'Istituto centrale israeliano per un altro quinquennio.
Come era già accaduto col boicottaggio economico ad Hamas, in previsione di una eventuale ricostruzione di Gaza al-Wazir ha ordinato alle banche di non accettare denaro di cui non sia chiara la provenienza. Così è riuscito a togliere dalle mani degli islamici il sistema legale del credito. Perfino le filiali di Gaza, le uniche istituzioni nella Striscia che gli islamici non controllano. Il direttore di una di queste, a Khan Yunis, ha avuto il coraggio di mandare indietro un capo di Hamas che si era presentato con una valigia piena di dollari, chiedendo di aprire un conto a suo nome. «Se non lo avessimo fatto sarebbe stato devastante: l'intero sistema bancario palestinese sarebbe finito sotto sanzioni internazionali», spiega.Nel caos palestinese l'Autorità monetaria è un fortino di efficienza «che dobbiamo difendere e rafforzare. Perché non esiste indipendenza nazionale senza una banca indipendente». Per diversificarsi da Hamas a Gaza e per mostrare credibilità, il primo ministro Salam Fayyad sta creando le istituzioni di uno stato: tribunali, sicurezza, investimenti, economia. Al-Wazir è il braccio destro di Fayyad nel "nation building" della Palestina. Nella costruzione di una nazione una banca centrale è necessaria: una banca trasparente è fondamentale.
Nella società tradizionale palestinese i figli fanno lo stesso mestiere dei padri. Jihad non ha seguito l'esempio di Abu Jihad. «Dovevo scegliere fra la rivoluzione e la costruzione di uno stato. Hamas sta tentando entrambe le strade e il risultato è piuttosto caotico. Il modo migliore per realizzare le nostre aspirazioni è costruire. Ci sto provando». Jihad è amico di Stanley Fisher, ha incontrato sette volte Ehud Olmert e stretto la mano di molti israeliani, anche quelli del nuovo governo di destra. Ma non la mano di Ehud Barak, ministro della Difesa,il pianificatore dell'omicidio di suo padre. «Non è più un fatto personale, sono passati tanti anni. È che... no, proprio non me la sento».
La STAMPA - Aldo Baquis : " Cisgiordania: i palestinesi a rischio espulsione "
La notizia era già stata pubblicata sul Manifesto di ieri e criticata da IC, la riportiamo per dovere di cronaca. Il commento rimane lo stesso. L'immigrazione clandestina viene punita con l'espulsione ovunque. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbe essere diverso in Medio Oriente.
Ecco il pezzo:
Abu Mazen
Israele e Anp sono di nuovo ai ferri corti. Dopo essersi scambiati dure accuse da un lato per l’estensione dei progetti edili ebraici a Gerusalemme Est e dall'altro per la dedica di una strada e di una piazza di Ramallah a due responsabili di attacchi terroristici palestinesi, una nuova lite è divampata adesso fra i due contendenti in seguito alla pubblicazione del cosiddetto «Ordine 1650» da parte del comandante militare israeliano della Cisgiordania.
Definito «Ordine per la prevenzione della infiltrazione - Correzione n. 2», il testo è scritto in tre pagine in un ebraico scarno e burocratico. Prevede la espulsione dalla Cisgiordania di chi non abbia «una licenza regolare e una giustificazione ragionevole». Ma per il premier dell'Anp Salam Fayad le implicazioni dell'Ordine 1650 rischiano di essere esplosive. «Date le sue definizioni generiche e dati gli ampi poteri di discrezione elargiti ai comandanti militari esiste il rischio - avverte Fayad - che si arrivi alla espulsione di decine di migliaia di palestinesi».
Questi timori, ha replicato un portavoce militare israeliano, sono del tutto fuori di luogo. Alla prova dei fatti, la prevenzione della infiltrazione riguarderà solo casi relativamente circostretti. Parole che non hanno affatto tranquillizzato Fayad secondo cui si trovano adesso a rischio in particolare i palestinesi traferitisi in Cisgiordania da Gaza e i cittadini stranieri sposati con palestinesi. Dietro l'angolo esiste il pericolo che famiglie vengano separate.
Su un piano più politico, il governo di Fayad - che è sostenuto economicamente da Stati Uniti ed Europa - trova deprimente che il prestigio dell'Anp sia minato alla base da Israele quando caratterizza come «infiltrati» palestinesi che risiedono in Cisgiordania. «Sta all'Anp, non a Israele, stabilire se la loro residenza sia lecita o no», ha esclamato Fayad. Ieri il premier palestinese, a Madrid, ha sottoposto la scottante questione al ministro spagnolo degli esteri Miguel Moratinos il quale, anche a nome di Catherine Ashton, intende chiedere spiegazioni ad Israele.
Fayad ha informato i suoi interlocutori europei che la economia palestinese ha compiuto progressi, ragion per cui è adesso possibile ridurre l'entità degli aiuti dei Paesi donatori. L'anno scorso l'Anp aveva ricevuto 1,8 miliardi di dollari mentre quest'anno - queste sono le buone notizie - glie ne basteranno due terzi. Il suo obiettivo è di gettare le fondamenta economiche e politiche dello stato palestinese che potrebbe essere proclamato nel 2011.
Nel frattempo Gaza resta teatro di violenze. Un ulteriore incidente di confine si e' verificato fra el-Bureij (Gaza) e il kibbutz israeliano di frontiera di Kissufim quando una pattuglia di Tsahal ha sorpreso miliziani palestinesi intenti a deporre ordigni. Nello scontro a fuoco le forze israeliane sono entrate di alcune centinaia di metri nella Striscia con mezzi blindati, protetti da elicotteri e droni. Due miliziani della Jihad islamica sono rimasti uccisi.
In serata si era diffusa la voce del rapimento di un soldato israeliano nel Sinai ma poi è stata smentita. È rimasto invece l’allarme per un possibile attentato nella regione, per cui le autorità israeliane hanno chiesto ai turisti di rientrare al più presto.
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