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David Braha
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Iran, Europa e Cina 13/04/2010
" Iran, Europa e Cina "

Ci siamo. Il momento cruciale, in cui il mondo intero dovrà decidere il da farsi sul problema dell’Iran e della sua corsa al nucleare, è ormai arrivato. Sono anni ormai che siamo abituati a sentir dire che ‘presto sarà troppo tardi’ per evitare che gli ayatollah ottengano il nucleare, ma nessuno sembra aver mai preso la minaccia troppo sul serio, al punto che le inconcludenti trattative internazionali su possibili strade alternative proposte da governi ed istituzioni come l’ONU e l’IAEA [International Atomic Energy Agency] hanno raggiunto l’obiettivo diametralmente opposto a ciò che si proponevano in primo luogo: invece di arrestare Teheran, le chiacchiere hanno lasciato agli iraniani tutto il tempo necessario per continuare indisturbati il loro programma. Fino ad oggi: appena due mesi fa il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha annunciato che il proprio paese ha raggiunto una capacità di arricchimento dell’uranio del 20 per cento, livello nettamente superiore al 5 per cento necessario per l’uso civile di tale risorsa, ma ancora distante dal 90 per cento circa, necessario per la realizzazione di testate nucleari. Non sono bastate le minacce di “cancellare Israele dalle mappe”, le violente repressioni ai danni del popolo iraniano in rivolta contro il regime, la scoperta di diversi impianti segreti come quello di Qom, a svegliare il mondo sulle reali intenzioni degli ayatollah di puntare al nucleare bellico: ma a questo punto, saranno in grado i governi e le organizzazioni internazionali di fermare questo processo prima che sia veramente ‘troppo tardi’?
 
 Le ultime speranze per una soluzione pacifica del problema risiedono soprattutto nel pacchetto di sanzioni ai danni di Teheran in discussione all’ONU. Tuttavia non sono pochi gli esperti che sollevano forti dubbi sul reale impatto che tali sanzioni possono avere. Basti pensare al fatto paradossale che i tre governi europei maggiormente ostili al programma nucleare iraniano, sono e restano i tre maggiori partner commerciali del regime degli ayatollah nel Vecchio Continente: l’Italia di Berlusconi, con 6 miliardi di euro di interscambio al dato di fine 2008,  la Germania della Merkel con 4,4, e la Francia di Sarkozy con 4,1. È vero che firme europee grandi e piccole – tra cui i giganti Eni, Munich Re, Allianz e Simens – hanno scelto chiudere, ridurre, o non ampliare le proprie attività commerciali con Teheran; ma è anche vero che per arrestare una volta per tutte le ambizioni nucleari iraniane, non basterà soltanto diminuire, per quanto drasticamente, gli scambi commerciali con gli ayatollah, ma bisognerebbe piuttosto ‘chiudere completamente il rubinetto’, colpendo soprattutto il mercato del petrolio. Secondo questa posizione, avanzata principalmente da gruppi di iraniani opposti al regime, sanzioni dure ed effettive tali da paralizzare l’economia iraniana aumenterebbero il malcontento in una popolazione già oppressa, facilitando così una rivolta popolare ai danni della già debole e delegittimata classe politica.

 Quest’ultimo sarebbe di certo il migliore tra gli scenari possibili, in quanto eviterebbe lo scoppio di uno scontro armato di vaste dimensioni tra potenze sia regionali che non, e restituirebbe allo stesso tempo legittima sovranità, per tanto negata, al popolo iraniano. Ma oltre alla natura vera e propria di queste sanzioni discusse all’ONU, e al loro reale potenziale di indebolire gli ayatollah, c’è una seconda variabile che ancora ci separa dalla possibilità di veder realizzata l’ipotesi sopra descritta: la Cina. È noto che Pechino ha grande interesse a mantenersi in buone relazioni con l’Iran, in quanto è uno dei principali paesi in grado di garantirgli l’accesso a risorse come petrolio, gas e minerali nel lungo termine, al fine di continuare a cavalcare il proprio boom economico – basti pensare il 14% dei carburanti importati dalla Cina arrivano proprio da Teheran. È per questo che il possibile veto cinese al Consiglio di Sicurezza è al momento ciò che preoccupa di più i promotori delle sanzioni, con in testa gli Stati Uniti: se Pechino decidesse veramente di bloccare il pacchetto di sanzioni, il rischio è che queste vengano prese unilateralmente da USA ed Europa diminuendone drasticamente l’impatto, ed aprendo quindi la porta a scenari e sviluppi del tutto incerti. Tuttavia la diplomazia internazionale è al lavoro affinché ciò non avvenga: da quando addirittura la Russia si è schierata dalla parte dei paesi che si oppongono al nucleare iraniano, i cinesi hanno perso il loro maggior alleato in sede del Consiglio di Sicurezza e si trovano di conseguenza in una situazione molto più debole rispetto a prima.

 Il momento cruciale, in cui il mondo intero dovrà decidere il da farsi sul problema dell’Iran e della sua corsa al nucleare, è ormai arrivato. Nelle sedi diplomatiche e nel Palazzo di Vetro dell’ONU il linguaggio è quasi sempre pacato e cordiale, ma il messaggio che le democrazie occidentali stanno recapitando a Pechino è il seguente: l’unica cosa che potrebbe impedire che l’Iran ottenga il nucleare, l’unica cosa in grado di arrestare una pericolosa escalation armata in Medio Oriente, potrebbe essere proprio la Cina. Questo, probabilmente, è l’ultimo appello. La Cina, così come l’Europa, devono scegliere tra due tipi di vantaggi a lungo termine: uno economico, l’altro di sicurezza. A quale daranno la precedenza? Presto lo scopriremo.


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