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Il Manifesto Rassegna Stampa
13.04.2010 La Giordania rende impossibile la vita ai profughi palestinesi
Ma per il quotidiano comunista la colpa è di Israele, ovviamente

Testata: Il Manifesto
Data: 13 aprile 2010
Pagina: 16
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Profughi sempre - Migliaia a rischio espulsione per legge militare»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 13/04/2010, a pag. 16, due articoli di Michele Giorgio titolati " Profughi sempre " e " Migliaia a rischio espulsione per legge militare ". Ecco i due articoli, preceduti dai nostri commenti :

" Profughi sempre "

Un articolo sulla situazione dei profughi palestinesi in Giordania. Come quelli in Libano, anche questi non godono degli stessi diritti dei cittadini e, anzi, risulta evidente che la Giordania non desidera concedere loro la cittadinanza.
Viene da chiedersi come mai le diverse Ong pacifiste e l'UNRWA non facciano sentire la loro voce, al riguardo.
In ogni caso, Michele Giorgio fornisce una sua spiegazione al riguardo. La colpa, tanto per cambiare, sarebbe di Israele. Non è ben chiaro per quale motivo, dal momento che la Giordania è uno Stato sovrano con le proprie leggi, non vincolate a quelle israeliane. Ma non sarebbe stato il Manifesto, senza un po' di veleno contro Israele.
Ecco il pezzo:


Giordania

«Profughi per sempre, lontani dalla nostra terra e privi di diritti negli altri paesi ». Seduto in un caffè di Amman, Ali Abu Gharbie scuote la testa commentando le notizie che arrivano dai Territori occupati. «È terribile, ogni giorno se ne sente una nuova e anche qui in Giordania le cose si mettono davvero male», dice Ali abbassando solo per un momento lo sguardo. Poi torna a sorridere. Giovane, disinvolto, padre orgoglioso di una bella bimba, amministratore della sede giordana dell’Ong «Medecins du monde», Ali è nato a Sidone ma vive ad Amman da quando aveva pochi mesi. La mamma, palestinese, cresciuta nel campo profughi di Mieh Mieh, lo portò via dal Libano con le sorelle nel 1982 mentre i carri armati israeliani avanzavano verso Beirut. «Mio padre, originario di Khalil (Hebron), era un combattente dell’Olp, a mia madre disse di partire subito per la Giordania mentre lui sarebbe rimasto con i suoi compagni a proteggere i campi», racconta Ali la storia della sua famiglia simile a quelle fatte di distruzione, fughe, esilio e morte di altre decine di migliaia di famiglie palestinesi. «Mio padre poi finì in Yemen – aggiunge –mentre noi ci stabilimmo qui ad Amman grazie a mia madre che aveva la cittadinanza giordana. E in questo paese abbiamo costruito tutta la nostra vita». Due mesi fa Ali ha scoperto che aver vissuto per 28 anni in Giordania non conta nulla per le autorità del regno hashemita che intendono revocargli la cittadinanza concessa tanti anni fa senza problema. «Prima i funzionari di un dipartimento speciale del ministero dell’interno e poi l’intelligence hanno convocato mio padre e gli hanno detto che non ha più diritto ad essere cittadino di questo paese perché è in possesso di undocumento di identità dell’Autorità nazionale palestinese. E se a lui ritireranno il passaporto giordano automaticamente lo perderò anche io». Senza più il «codice nazionale» che identifica tutti i cittadini giordani, la vita di Ali entrerà in un tunnel. «Non avrò più diritto alla sanità pubblica, non potrò avere un conto bancario e una attività economica a mio nome e allo stesso tempo non potrò aspirare ad essere un dipendente statale. Quello che più mi preoccupa è il destino di mia figlia che perderà la possibilità di accedere a servizi essenziali », spiega il giovane palestinese. Il fatto che la moglie sia giordana non ha valore perché nel regno hashemita della bella Regina Rania – una palestinese nata in Kuwait - che tanto incanta l’Occidente ed è intervenuta anche al Festival di Sanremo, le donne hanno ben pochi diritti e non possono trasmettere la cittadinanza al marito e ai figli. I dati ufficiali di questa nuova catastrofe palestinese non sono disponibili. Tuttavia Human Rights Watch riferisce che sino ad oggi circa 3mila giordani di origine palestinese (e i loro familiari) si sono visti revocare la cittadinanza. Fonti ufficiose però aggiungono che le autorità hanno aperto i file di 250mila palestinesi, in linea con la decisione di «disimpegno» dalla Cisgiordania presa nel lontano 1988, all’inizio della prima Intifada palestinese, dallo scomparso re Hussein. «I funzionari del governo giordano negano a intere famiglie di poter vivere una vita normale e sicura, come quella goduta dalla maggioranza dei cittadini e considerata una cosa scontata. Oggi sei un giordano e domani sei espropriato da tutti i tuoi diritti », ha denunciato Sarah Leah Whitson, responsabile di Hrw inMedio Oriente. Le autorità hashemite negano tutto, smentiscono l’esistenza di un simile piano, ma alla base del loro atteggiamento ci sarebbero la questione demografica - i palestinesi sono più della metà dei 6,3 milioni di abitanti e questo dato da tempo turba i giordani doc – e le preoccupazioni generate da certe «soluzioni» proposte da esponenti dell’establishment politico israeliano. L’«opzione giordana», ossia la Giordania e non i Territori occupati come futuro Stato per i palestinesi, fu avanzata più volte durante gli anni ’80, specie dall’ex premier israeliano Ariel Sharon. Ma ora, dopo il fallimento totale degli accordi di Oslo e la seconda Intifada, viene riproposta non solo da deputati di estrema destra, come Aryeh Eldad, ma anche da un importante ex generale come Giora Eiland, molto vicino al governo in carica. Non sorprendono perciò le «spiegazioni» chieste da Amman domenica scorsa non appena è cominciata a girare la notizia che l’esercito israeliano procederà all’espulsione dalla Cisgiordania di migliaia di «infiltrati» palestinesi. Questo clima di incertezza inevitabilmente accellera la politica di revoca della cittadinanza ai palestinesi. Non solo, ma rischia di inasprire ulteriormente anche le procedure per il riconoscimento del semplice status di residente ai palestinesi coniugati a cittadini giordani, che pure è garantito dalla legge. E come spesso accade le più colpite sono le donne, specie quelle di Gaza. La vicenda del blogger giordano Khaled Doud ha fatto notizia. L’uomo finora ha dovuto rinunciare al matrimonio perché la sua fidanzata è originaria di Gaza. «Da quando abbiamo presentato i documenti per sposarci la nostra vita è diventata un inferno – dice Doud – sono stato convocato ripetutamente dai servizi di sicurezza e dopo aver risposto ad un elenco infinito di domande, mi hanno detto che dovrò ottenere l’autorizzazione dell’intelligence che, peraltro, non mi è stata garantita in alcun modo ». La 45enne Zahra, che preferisce non rivelare il cognome, invece si è vista comunicare in aeroporto, al ritorno da un viaggio con i figli negli Usa, che suo padre e quindi anche lei e i suoi fratelli, non sono più cittadini giordani. «È accaduto anche ad altri palestinesi che conosco», riferisce la donna. I palestinesi giordani vorrebbero protestare, reclamare ad alta voce la fratellanza e l’aiuto del mondo arabo di fronte all’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Quasi tutti invece preferiscono non fare rumore e sperano che la linea del governo cambi o almeno venga congelata. Nel frattempo cercano il funzionario corrotto di turno che, in cambio di forti somme di denaro, si dice disposto «ad aggiustare le cose». A casa dei genitori di Ali c’è un signore sulla cinquantina, che, vantando parentele con «pezzi grossi» del ministero dell’interno e dopo aver fumato una dozzina di sigarette, assicura che gli Abu Gharbieh conserveranno la cittadinanza. «Quest’uomo ci prende in giro, ingigantisce i suoi poteri reali solo per spillarci soldi – dice Ali – ma non fa nulla, sono stanco, non mi importa cosa decideranno i giordani, possono anche sbattermi fuori. Mi basta essere un palestinese, rimarrò per sempre un palestinese».

" Migliaia a rischio espulsione per legge militare "

" L’esercito israeliano - che amministra i Territori occupati nel 1967 - secondo la denuncia delle ong ha classificato come infiltrato «chiunque sia entrato nell’area (la Cisgiordania) illegalmente o una persona presente nell’area che non sia in possesso di permessi legali». L’«infiltrato » potrebbe essere espulso entro 72 ore o condannato a una pena detentiva fino a sette anni.".
Questo succede in tutto il mondo. Gli immigrati illegali vengono espulsi.
Per quale motivo dovrebbe essere diverso in Medio Oriente?
In ogni caso queste rigide norme sono dovute alla necessità di fare controlli molto attenti per evitare attacchi terroristici suicidi palestinesi. Dettaglio che Michele Giorgio 'dimentica' di far notare al lettore.
Ecco l'articolo:

La notizia è stata data da Ha’aretz e diffusa da una decina di organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che ieri hanno spedito una lettera al ministro della difesa Ehud Barak per cercare di bloccare i provvedimenti. Due decreti militari, che secondo il quotidiano israeliano dovrebbero entrare in vigore domani, possono causare l’espulsione dalla Cisgiordania dimigliaia di palestinesi definiti come «infiltrati». L’esercito israeliano - che amministra i Territori occupati nel 1967 - secondo la denuncia delle ong ha classificato come infiltrato «chiunque sia entrato nell’area (la Cisgiordania) illegalmente o una persona presente nell’area che non sia in possesso di permessi legali». L’«infiltrato » potrebbe essere espulso entro 72 ore o condannato a una pena detentiva fino a sette anni. «Gli ordini sono stati scritti in maniera così generica che teoricamente permettono ai militari di espellere dalla Cisgiordania tutti i suoi abitanti palestinesi» denuncia la lettera firmata da HaMoked, B’tselem e le altre organizzazioni promotrici della protesta. Migliaia di palestinesi della Cisgiordania sono in possesso di documenti di stati arabi confinanti o che indicano Gaza come la propria residenza. Solo i più fortunati hanno «regolari» documenti israeliani (carta d’identità di Gerusalemme o permessi di lavoro). «Questi ordini militari sono tipici di uno stato di apartheid, perché rendono facilissimo per gli israeliani arrestare o espellere i palestinesi dalla Cisgiordania» ha protestato il capo negoziato dell’Autorità palestinese Saeb Erekat. Preoccupazione per le nuove misure è stata espressa dal ministero degli esteri francese e dalla Giordania.

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