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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.04.2010 Un' ottima intervista, male il titolo, peggio la fotografia
Davide Frattini a colloquio con il sindaco di Gerusalemme

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 aprile 2010
Pagina: 26
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Gli americani non capiscono Gerusalemme»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 10/04/2010, con il titolo " Gli americani non capiscono Gerusalemme " Davide Frattini intervista il sindaco della capitale Nir Barkat. Un articolo che informa correttamente sulle opinioni del primo cittadino.
Non si può dire altrettanto del titolo: gli americani capiscono benissimo Israele, ancora meglio Gerusalemme. E' semmai la Casa Bianca a creare dei problemi. Del tutto fuori contesto è l'immagine scelta per illustrare l'articolo, che riportiamo di seguito. Che ci siano dei problemi al desk esteri del Corriere è cosa risaputa. Chi fa i titoli o sceglie le fotografie rivela una mentalità colma di ostilità verso Israele, e nello stesso tempo danneggia la serietò del giornale. Foto e titolo devono corrispondere al contenuto dell'articolo. Qui non avviene. Per questo invitiamo i lettori a scrivere a Ferruccio de Bortoli, il direttore, perchè indaghi di chi è la respondabilità di queste continue  contraffazioni.
Ecco il pezzo:


Nir Barkat, sindaco di Gerusalemme

GERUSALEMME — La prima maratona di Gerusalemme, quarantadue chilometri su e giù per le colline, primavera 2011, sarà impegnativa quanto la corsa a ostacoli nelle relazioni diplomatiche (più giù che su) tra Stati Uniti e Israele. L'allenamento di Nir Barkat, due volte alla settimana, va da casa, quartiere alto borghese di Beit Hakerem, al municipio, terrazza con vista sulla cupola della moschea Al Aqsa e sulle grane della città più contestata del pianeta.

Campo profughi Bambini palestinesi giocano a Shuafat, Gerusalemme est

È sindaco da sedici mesi, è entrato in politica nel 2003, non ha perso la turbo parlata, imbottita di gergo hi-tech, dell'imprenditore che ha fatto i milioni come pioniere dei software antivirus.

Può permettersi lo stipendio simbolico di uno shekel all'anno (venti centesimi di euro) e si permette di rispondere agli americani «che non capiscono le dinamiche di questa città». «Nel mondo dell'industria tecnologica abbiamo un detto: per ogni problema complesso c'è una risposta semplice sbagliata. Le raccomandazioni che arrivano da Washington sono mal calcolate e non funzioneranno mai qui».

A cinquant'anni (festeggiati qualche mese fa con la maratona di New York), sembra prepararsi — dopo il secondo mandato che è sicuro di riottenere — alla sfida nazionale. Il modello non è certo Ehud Olmert, diventato primo ministro da sindaco di Gerusalemme e adesso finito sotto processo, del quale critica l'opera simbolo. «A una città come questa non serve il ponte di Calatrava, non abbiamo bisogno di importare monumenti, dobbiamo valorizzare i nostri. Avrei spesso meglio quei 270 milioni di shekel (quasi 55 milioni di euro, ndr)».
Su dieci richieste avanzate dal presidente Barack Obama a Benjamin Netanyahu, premier israeliano, quattro riguardano Gerusalemme. Una di queste è l'apertura di una rappresentanza commerciale palestinese nella parte araba.
«Io sono per lo sviluppo economico della città e ogni impresa che voglia installarsi qui ha il diritto di farlo. Non c'è bisogno di un ufficio come quello voluto dagli americani».
L'ipotesi è restituire l'Orient House, il quartier generale dell' Organizzazione per la liberazione della Palestina.
«La mia risposta è no. No a tutte le istituzioni con ispirazioni politiche e che mettano in discussione la sovranità su Gerusalemme».
Un altro punto nell'elenco americano: stop alle demolizioni dei palazzi costruiti dagli arabi.
«C'è una sola legge e deve essere equa verso tutti i residenti: ebrei, musulmani, cristiani. Nessuna città al mondo accetterebbe di lasciare in piedi strutture illegali, per ragioni legate alla razza o alla religione. Sono stupefatto che una pretesa del genere possa anche solo venire rivendicata».
La Casa Bianca chiede anche di congelare le costruzioni ebraiche nelle zone a Est. La comunità internazionale non ha mai riconosciuto l'annessione di quelle terre.
«Ancora, un blocco basato sulla religione. È assurdo. Ebrei, musulmani, cristiani possono comprare e vendere case in tutta la città. La richiesta del congelamento non può essere accettata e non sarà accettata».
Un anno fa, alle celebrazioni per il giorno di Gerusalemme, Netanyahu ha proclamato: «Questa è la capitale eterna del popolo ebraico, riunificata per non essere più divisa». È pronto ad appoggiare la separazione della città in un futuro accordo con i palestinesi?
«Mai, mai, mai. Gerusalemme deve continuare a essere condivisa com'è adesso, per il beneficio di tutto il mondo. Quando venne catturata dai giordani, non esisteva questa libertà di religione. Negli ultimi duemila anni, la città non è mai stata aperta quanto sotto la sovranità israeliana».
E l'idea di assegnare i luoghi sacri al controllo delle Nazioni Unite?
«Non potrebbe funzionare. Non c'è altro modello che questo: una sola sovranità che sia aperta».
Lei ha partecipato alla cerimonia di consacrazione, il 15 marzo, della sinagoga Hurva. In risposta, i palestinesi hanno dichiarato «la giornata della rabbia».
« Ho vissuto nel quartiere ebraico della Città Vecchia per molti anni, abitavo nella stessa strada della sinagoga. Non è controverso che si trovi nel quartiere ebraico, non è controverso che i giordani la demolirono nel 1948. Vedere il tempio ricostruito rappresenta un legame diretto molto forte con il nostro passato e, direi, con il nostro futuro».
Abdallah, re di Giordania, ha dichiarato al Wall Street Journal: «Gerusalemme è una bomba in attesa di esplodere». Teme una terza intifada?
«Nessuno vuole o ama le guerre. Io ci sono stato, come molti israeliani e palestinesi. Credo anche che Israele non si lascerà intimidire dalle minacce di violenza».
Lei ha combattuto con i paracadutisti.
«Ho deciso che lo sarei diventato, quando nel 1967 mio padre mi portò al Muro del pianto appena riconquistato da quell'unità. Avevo sette anni».

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