Credere alla versione di Hamas? Solo il quotidiano comunista e l'Unrwa ci riescono
Testata: Il Manifesto Data: 06 aprile 2010 Pagina: 16 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Hamas a Gaza, le due linee di resistenza - Tregua dei razzi per fermare il blocco israeliano - Grandi: Palestinesi abbandonati. Anche dall’Italia»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 06/04/2010, a pa. 16, tre articoli di Michele Giorgio titolati " Hamas a Gaza, le due linee di resistenza ", " Tregua dei razzi per fermare il blocco israeliano " e " Grandi: Palestinesi abbandonati. Anche dall’Italia ".
" Hamas a Gaza, le due linee di resistenza "
Michele Giorgio nell'articolo elogia diverse volte Hamas, descrivendola per ciò che non è, e cioè un'associazione che gestisce in maniera equa i fondi che Gaza riceve dalla comunità internazionale e arriva a scrivere : "Non è stata ininfluente l’amministrazione della «cosa pubblica». Decisamente più trasparente dell’allegra gestione dei fondi pubblici tipica di alcuni esponenti di Fatah (il partito di Abu Mazen) che governavano Gaza ". Sul fatto che l'amministrazione di Abu Mazen sia corrotta, non c'è alcun dubbio. Ma arrivare a sostenere che quella di Hamas sia migliore solo perchè è meno corrotta, significa dimenticare che è un movimentio terrorista che ha preso il potere con un colpo di stato. Giorgio continua : "Ministri e dirigenti islamici vivono in case modeste e si concedono ben pochi lussi rispetto al resto della popolazione sotto embargo". Ma che bravi i "ministri i dirigenti islamici" di Hamas. Che carini a non concedersi troppi lussi con i fondi intascati dalla comunità internazionale, e che lungimiranti a spenderli in armi e razzi da usare contro Israele. E soprattutto, come sono delicati a non esagerare davanti alla popolazione più povera... Giorgio scrive : "In questi ultimi mesi le forze di sicurezza che fanno capo a Ismail Haniyeh sono state impegnate a fermare o almeno a contenere il più possibile i lanci di razzi da parte di gruppi armati di altre formazioni,(...)Ancora più esplicito è stato uno dei fondatori di Hamas, Mahmud Zahar, descrivendo il lancio di razzi una pratica che fa gli interessi di Israele ". Solo Giorgio può credere al fatto che da Gaza vengano lanciati razzi senza il consenso di Hamas. Giorgio non contraddice le dichiarazioni di Mahmud Zahar quando sostiene che è necessario smettere coi razzi contro Israele perchè fanno solo i suoi interessi, evidentemente le condivide. Nella sua mente piena di pregiudizi, Israele sarebbe felice di vedere i suoi cittadini bombardati solo per aver la scusa di attaccare Hamas a Gaza. Come al solito, nelle 'ricostruzioni' di Giorgio, la vittima è diventata carnefice. Non è più Hamas a essere un pericolo per Israele, ma il contrario. Ecco l'articolo:
Hamas
Giulio Andreotti non aveva torto, il potere logora chi non ce l’ha. Tuttavia il potere nella Striscia di Gaza è un percorso difficile, colmo di insidie per Hamas che comincia ad avere difficoltà nella sua immagine di movimento di «lotta e di governo». Non è in discussione il controllo del territorio. L’autorità di Hamas, vicina al suo terzo anniversario, è solo scalfita dall’offensiva israeliana di poco più di un anno fa contro Gaza, che ha ucciso 1.400 palestinesi e provocato distruzioni immense. L’embargo asfissiante (per i civili) della Striscia attuato dallo Stato ebraico con la collaborazione dell’Egitto non ha allentato inmodo significativo i legami tra i palestinesi di Gaza e Hamas. Piuttosto ha accresciuto la dipendenza dei più poveri – la maggioranza degli abitanti – dagli aiuti materiali garantiti dalle associazioni umanitarie che fanno capo al movimento islamico. Certo, le risorse finanziarie rimangono limitate ma l’avvenuta «regolarizzazione » dei tunnel sotterranei e dei traffici tra Gaza e l’Egitto garantisce alle casse di Hamas un flusso regolare di denaro generato dalle «tasse sull’importazione di merci» oltre alle donazioni di più sponsor stranieri. Stop ai lanci dei Qassam A facilitare in questi tre anni il rafforzamento dell’azione del governo di Ismail Haniyeh - illegale per i paesi occidentali e buona parte di quelli arabi – ha contribuito anche la decisione presa (dopo il colpo dimano di Hamas nel giugno 2007) dal premier palestinese «riconosciuto » Salam Fayyad di obbligare i 70mila dipendenti dell’Anp a Gaza a lasciare il lavoro e a restare a casa (ricevendo ugualmentelo stipendio).Un boicottaggio che Hamas ha aggirato inserendo nei ministeri e negliuffici pubblici 32mila suoi attivisti e simpatizzanti e creando una imponente forza di sicurezza (15mila agenti). Migliaia di giovani di Gaza hanno partecipato qualche mese fa alle selezioni per diventare poliziotti di Hamas, lavoro pagato pocoma «sicuro». Non è stata ininfluente l’amministrazione della «cosa pubblica». Decisamente più trasparente dell’allegra gestione dei fondi pubblici tipica di alcuni esponenti di Fatah (il partito di Abu Mazen) che governavanoGaza. Ministri e dirigenti islamici vivono in case modeste e si concedono ben pochi lussi rispetto al resto della popolazione sotto embargo. Questa solidità tuttavia deve affrontare non poche sfide, dalla pressione militare di Tel Aviv all’opposizione interna, e i leader di Hamas, per scelta e per necessità, sembrano aver intrapreso la strada del rafforzamento del potere e della stabilità a scapito della «resistenza» contro Israele. In questi ultimi mesi le forze di sicurezza che fanno capo a Ismail Haniyeh sono state impegnate a fermare o almeno a contenere il più possibile i lanci di razzi da parte di gruppi armati di altre formazioni, non solo quelle qaediste che accusano Hamas di aver tradito l’Islam, non avendo proclamato un emirato islamico a Gaza,ma anche quelle dell’Olp come le «Brigate Abu Ali Mustafa» del marxista Fronte popolare. Venerdì scorso Haniyeh, dopo i bombardamenti aerei israeliani (i più duri da un anno a questa parte), è sceso in campo per chiedere a tutti i gruppi armati di non sparare Qassam verso il territorio israeliano, per prevenire una escalationmilitare. Ancora più esplicito è stato uno dei fondatori di Hamas, Mahmud Zahar, descrivendo il lancio di razzi «una pratica che fa gli interessi di Israele».Ma non erano queste le stesse parole – si sono chiesti increduli non pochi palestinesi – che pronunciava qualche anno fa il «servo degli Stati Uniti» AbuMazen? Per Rabah Mohanna, uno dei leader del Fronte popolare a Gaza,«Hamas vuole stabilizzare il suo potere ed è perciò pronto a rinunciare ad una vera lotta armata contro Israele». Quando lo scorso dicembre, spiega Mohanna, «le forze di sicurezza governative cominciarono a pattugliare il territorio a ridosso di Israele per fermare i razzi, ci rendemmo conto che il fine di Hamas è quello di mantenere inalterato lo status quo aGaza, minacciato dalle pesanti reazioni israeliane alle operazioni armate». Secondo il dirigente del Fronte popolare, Hamas da movimento di resistenza starebbe tornando ad essere «una sezione dei Fratelli Musulmani», l’organizzazione islamista sorta in Egitto alla fine degli anni ’20. «L’impressione è che Hamas ora sia interessato più alla islamizzazione della società di Gaza che a continuare il progetto di lotta armata dei suoi fondatori», aggiunge Mohanna.Una valutazione smentita solo in parte dall’operazione realizzata sul confine nei giorni scorsi da un commando di Hamas, in cui sono morti due soldati israeliani e almeno quattro palestinesi. A Gaza si dice che l’ala militaredel movimento, tenuta a freno dalla direzione politica, avrebbe premuto ed ottenuto di poter compiere blitz occasionali «lungo le linee nemiche» per smentire l’abbandono della «resistenza». «Erdogan, non i Taleban» Sull’islamizzazione della società palestinese l’atteggiamento è ambiguo. Hamas non hamai proclamato di voler fondare un emirato nella minuscola Gaza – chiesto con forza dai suoi avversari qaedisti che accolgono a braccia aperte decine di giovani delusi dal movimento islamico – e ripete di voler arrivare alla riconciliazione con Fatah e Abu Mazen per ricostituire l’unità politica e territoriale palestinese. «Erdogan, non i Taleban», è stato per lungo tempo lo slogan dei dirigenti di Hamas che guardano con favore al modello dell’Apk del premier turco. Non è però sfuggito il fatto che, Ahmed Yusef e Ghazi Hamad, due aperti sostenitori della «linea turca» siano stati rimossi da consiglieri del premier, mentre il governo Haniyeh non ha mancato di votare decreti legge che vanno dal divieto per le donne di andare inmoto a quello per i parrucchieri di avere clientela femminile. Da alcuni mesi a Gaza è severamente proibito importare alcol (anche ai cittadini stranieri) mentre la Turchia di Erdogan notoriamente galleggia su raki, birra e vino. La lotta armata «da modulare» «Contro di noi si è scatenata una campagna diffamatoria», protesta Yahya Musa, uno dei leader di Hamas a Khan Yunis «il nostro movimento non ha rinunciato emai rinuncerà alla resistenza contro Israele. È assurdo paragonare la parole di Mahmud Zahar a quelle di Abu Mazen che è sempre stato contrario alla lotta armata». Per Musa la resistenza con le armi «è un principioma non una priorità» e il suo utilizzo «deve essere modulato sulla base delle circostanze sul terreno e della situazione politica generale». «In questa fase – aggiunge - non vogliamo offrire pretesti ai sionisti (Israele) per distogliere l’attenzione del mondo dalle politiche razziste e repressive che attuano a Gerusalemme e nel resto della Palestina». Sarebbe una «prova di maturità» secondo alcuni, che non convince quei palestinesi che sospettano cheHamas sia sempre più interessato a stabilizzare il suo potere e ad islamizzare Gaza. ComeMahmud al Zaeq, coordinatore dei «Comitati popolari per la lotta alla zona-cuscinetto», la fascia di territorio vietata a tutti i palestinesi costituita da Israele all’interno di Gaza. È un’iniziativa recente, in linea con lemanifestazioni popolari inCisgiordania contro il muro israeliano. «È una battaglia sacrosanta per la liberazione di un ampio territorio in gran parte agricolo vitale per i nostri contadini – spiega – eppure Hamas è l’unica forza politica politica che rifiuta di aderirvi». Di fatto il governo Haniyeh «non la sostiene e non la impedisce», dice al Zaeq, «ma le sue forze di sicurezza ci tengono sotto un crescente controllo da quando si sono accorte che alle nostre manifestazioni non vengono poche centinaiamamigliaia di palestinesi di ogni fede politica. Hamas teme che un nostro successo possa mettere in ombra la sua idea di resistenza che pure sta lentamentemettendo da parte».
" Tregua dei razzi per fermare il blocco israeliano "
Anche in questo articolo, Michele Giorgio dà credito alla storia di Hamas che vorrebbe bloccare il lancio di razzi dalla Striscia, ma non riesce ad avere il controllo dei " gruppuscoli dell’emergente galassia salafita di Gaza, che s’ispira ad Al Qaida e contesta le altre sigle da posizioni più integraliste ". Immaginare che Hamas non controlli il territorio della Striscia equivale a essere in malafede. Ecco l'articolo:
Una tregua nei lanci di razzi e proiettili di mortaio verso il territorio israeliano è stata concordata ieri dalle principali fazioni della Striscia di Gaza. La decisione è stata sollecitata da Hamas nel corso di una riunione a cui hanno partecipato rappresentanti del Jihad Islamico, dell’Fplp, del Dflp e dei Comitati di Resistenza Popolare. Un portavoce della Jihad Islamica, Daud Shihab, ha detto che la strategia di «autocontrollo» è stata adottata allo scopo di «favorire la fine dell’assedio della Striscia», i cui varchi sono sottoposti a un blocco totale da parte d’Israele fin dal momento dell’ascesa al potere di Hamas nell’estate del 2007. Tanto più di fronte agli spiragli aperti negli ultimi due giorni per il passaggio di un carico di scarpe e vestiti (il primo concesso da Israele dopo la devastante offensiva «Piombo Fuso»). La prima iniziativa del genere da parte di Hamas, che nei giorni scorsi è tornato a chiedere a tutte le fazioni di «non fomentare l’escalation» dopo la recente intensificazione dei lanci e sparatorie di confine (con conseguenti rappresaglie israeliane eminacce di reazione su più vasta scala, meri), non è riuscita a impedire ieri lo sparo di un razzo Qassam contro il deserto del Neghev (sud d’Israele). Non hanno aderito alla moratoria il resto dei gruppuscoli dell’emergente galassia salafita di Gaza, che s’ispira ad Al Qaida e contesta le altre sigle da posizioni più integraliste. La stessa Jihad, dopo aver partecipato all’incontro, ha fatto circolare un comunicato di distinguo in cui si riconosce la scelta di un maggiore «coordinamento militare» con il movimento islamico di Hamas, ma rivendica in linea di principio «il diritto» al lancio dei razzi. Intanto l’Anp del presidente Abu Mazen, se da un lato appoggia le manifestazioni di protesta in Cisgiordania, dall’altro continua ad arrestare i responsabili della rivolta palestinese contro la protesta all’occupazione israeliana. Esponenti dell’Intifada palestinese a Beit Omar, tra Betlemme e Hebron, sono stati arrestati nelle ultime ore dalle forze di sicurezza dell’Anp a Beit Uman, uno dei villaggi palestinesi più impegnati nella battaglia contro il muro israeliano in Cisgiordania.
" Grandi: Palestinesi abbandonati. Anche dall’Italia "
Filippo Grandi
Ecco come secondo Filippo Grandi, direttore dell'UNRWA, andrebbe risolta la questione dei profughi : "auspichiamo che il problema dei profughi palestinesi venga affrontato al più presto dalle parti coinvolte, tenendo conto delle aspirazioni dei rifugiati ". Tenere conto delle aspirazioni dei rifugiati significa permettere il loro ritorno e il conseguente annullamento di Israele come Stato ebraico. E l'Unrwa sarebbe un ente neutrale?!? Grandi continua : "La situazione di Gaza la trovo assurda. Israele ha responsabilità legali (essendo ancora la parte «occupante», ndr) nei confronti della popolazione civile palestinese di quel territorio ". La parentesi aggiunta da Michele Giorgio definisce Israele 'parte occupante' a Gaza. E' evidente che la mente sinistra di Giorgio fatica ad ammetterlo, ma Israele si è ritirato da Gaza nel 2005, decisione presa da Ariel Sharon, primo ministro del Likud e fondatore di Kadima, perciò è impossibile che stia occupando Gaza. A Gaza è Hamas ad avere il potere. Giorgio ricorda la " mozione presentata al Senato, che ha come primo firmatario Maurizio Gasparri, vi accusa di essere stati usati da Hamas per compiere attacchi armati. " Grandi risponde : "Sono accuse totalmente false, tutti i nostri dipendenti hanno l’obbligo della neutralità. I meccanismi di controllo impediscono l’utilizzo delle risorse e delle persone per scopi diversi dalle nostre competenze.". Sulla neutralità dell'Unrwa riportiamo alcuni stralci di un articolo pubblicato sul FOGLIO del 28/01/2010 e riportato da IC (per leggere il testo completo, cliccare sul link http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=100&id=33081 ). "La principale missione dell’Unrwa, agenzia unica nel suo genere fra quelle dell’Onu sui profughi di tutto il mondo, non è stata finora di aiutare i palestinesi ad affrontare la realtà dopo la guerra del 1948. Aiutare i profughi palestinesi a reinserirsi non è il suo scopo. L’Unrwa è stata usata per mantenere i profughi palestinesi esattamente nella condizione e nel luogo in cui si trovano, affinché possano servire per giustificare l’infinita guerra contro Israele. (...)"
" Esistono, ad esempio, centinaia di migliaia di profughi palestinesi e loro discendenti che sono cittadini della Giordania: eppure, per quanto riguarda l’Unrwa, essi continuano a essere dei profughi con pieno diritto all’assistenza (...) "
"Nell’ultima guerra a Gaza, i terroristi islamici di Hamas sparavano all’esercito israeliano dagli edifici della Unrwa. Molti impiegati dell’Unrwa sono membri non solo delle principali fazioni terroristiche palestinesi come l’ala militare di Fatah, ma anche del gruppo jihadista Hamas. Fra i candidati della lista Hamas eletti nelle elezioni palestinesi, un certo numero risulta sul libro paga dell’Unrwa. (...)"
"L’Unrwa impiega insegnanti affiliati a Hamas e permette la diffusione di messaggi di Hamas nelle sue scuole, che come è noto invoca lo sterminio degli ebrei.".
Filippo Grandi è a conoscenza di questi dettagli? Che cosa ne pensa al riguardo? Ecco l'intervista di Michele Giorgio:
«Il ruolo dell’Unrwa è assistere i profughi palestinesi. L’agenzia però si aspetta che la questione dei rifugiati non venga marginalizzata ma invece affrontata dalle parti coinvolte». Parla con tono pacato Filippo Grandi nominato qualche mese fa alla carica di Commissario generale dell’«Agenzia dell’Onu per il soccorso e l’assistenza ai rifugiati palestinesi» che vivono in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In passato Grandi ha avuto incarichi all’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati. Lo abbiamo incontrato per fare il punto della situazione dell’Unrwa, costretta ad operare con un budget sempre più limitato, e per parlare della condizione dei profughi palestinesi che continuano a vedere inapplicata la risoluzione 194 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che sancisce il loro diritto al ritorno. Qual è il quadro che l’Unrwa fa sui rifugiati palestinesi nel 2010? Ci sono due livelli: politico ed operativo. Certo non spetta all’Unrwa dare una soluzione politica al problema dei profughi palestinesi. Il nostro ruolo però è anche quello di ricordare l’esistenza della questione e chiedere che non venga messa ai margini. È scontato che in questo momento si parli tanto di Gerusalemme, di confini (tra Israele ed un eventuale Stato palestinese, ndr), delle colonie ebraiche (nei Territori occupati, ndr) ma auspichiamo che il problema dei profughi palestinesi venga affrontato al più presto dalle parti coinvolte, tenendo conto delle aspirazioni dei rifugiati. Aggiungo che il problema dei finanziamenti non adeguati che l’Unrwa sta affrontando ormai da lungo tempo accresce l’inquietudine dei profughi che percepiscono tutto ciò come un disinteresse (della comunità internazionale, ndr) nei loro confronti. Temono che si voglia insabbiare la loro questione. E sul piano operativo? Le chiusure ed i blocchi militari israeliani (nei Territori occupati, ndr) hanno un effetto diretto e negativo anche sulle attività dell’Unrwa. Abbiamo difficoltà ad assicurare ai profughi l’accesso ai nostri servizi, specialmente nel transito tra la Cisgiordania e Gerusalemme. Occorre ricordare che circa 130mila palestinesi registrati come profughi si trovano nell’area di Gerusalemme, molti dei quali all’interno della città. Personalmente sono molto preoccupato anche per la condizione dei profughi beduini, che sono soggetti a forti pressioni a causa dell’espansione delle colonie israeliane e costretti a frequenti spostamenti. Parliamo di Gaza, soggetta poco più di un anno fa ad un devastante attacco militare da parte di Israele. La situazione di Gaza la trovo assurda. Israele ha responsabilità legali (essendo ancora la parte «occupante», ndr) nei confronti della popolazione civile palestinese di quel territorio ma lascia transitare solo il minimo indispensabile di cibo emedicine. Solo durante la recente visita del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, le autorità israeliane hanno promesso che lasceranno entrare a Gaza i materiali necessari per costruire 151 alloggi di un progetto dell’Onu precedente all’offensiva militare. Il blocco in atto inoltre favorisce i traffici illeciti a Gaza. Trovare del cemento è possibile, perché una certa quantità entra attraverso i tunnel sotterranei (tra Gaza e l’Egitto, ndr) ma il suo prezzo al mercato nero è molto elevato e gli speculatori stanno accumulando ingenti fortune generate dalle attività clandestine. Israele deve riconsiderare il blocco che attua contro Gaza, anche perché è suo interesse avere dei vicini che vivono in condizioni di stabilità e prosperità, con una economia legale. L’Unrwa fatica a svolgere il suo ruolo anche per la riduzione dei finanziamenti... Sì e ciò sta avendo riflessi negativi, ad esempio, sull’istruzione. Per gestire la macchina scolastica abbiamo bisogno annualmente di 600 milioni di dollari, necessari anche per garantire la qualità della didattica. Non dimentichiamo che per tanti anni le scuole dell’Unrwa sono state famose per l’ottimo livello di istruzione che riuscivano ad assicurare ai profughi.Ora invece facciamo i conti con un deficit che si attesta intorno al 20% e questo ci ha costretto a tagliare tutto il possibile, ridimensionando aspetti importanti per l’istruzione come l’aggiornamento e la formazione professionale. Tra i donatori, l’Italia come si comporta? L’Italia che aveva sempre finanziato con generosità l’Unrwa, ma di recente ha diminuito molto il suo impegno. In passato figurava tra i primi dieci paesi donatori, adesso è al 18mo posto. Tra il 2000 e il 2010 l’Italia ha versato alla nostra agenzia 95milioni di euro, nel 2009 solo 7 milioni, il 39% in meno rispetto al 2008. Mi auguro che la presenza di un italiano ai vertici Unrwa spinga il nostro paese a mostrare di nuovo forte attenzione verso i profughi palestinesi. Da alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di governo tuttavia sono partiti duri attacchi all’Unrwa. Una mozione presentata al Senato, che ha come primo firmatario Maurizio Gasparri, vi accusa di essere stati usati da Hamas per compiere attacchi armati. Sono accuse totalmente false, tutti i nostri dipendenti hanno l’obbligo della neutralità. I meccanismi di controllo impediscono l’utilizzo delle risorse e delle persone per scopi diversi dalle nostre competenze. Riguardo i fondi, voglio ricordare che gli Stati Uniti, molto attenti quando in ballo ci sono finanziamenti destinati all’estero, in questi anni hanno donato all’Unrwa 267 milioni di dollari. Le accuse che ci vengono rivolte perciò sono inaccettabili.
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