Dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/04/2010, a pag.24, con il titolo " Quel Seder alla Casa Bianca. La rotta verso Teheran passa anche dalla Palestina", un pezzo di Davide Frattini, accurato e interessante. Dal Seder pasquale alla valutazione delle forze in campo per impedire che l'Iran acquisisca l'arma nucleare. Tutte le opzioni sono aperte.
La seconda parte del titolo è opera del desk esteri, luogo dalla manina infarinata, infatti il richiamo alla Palestina è del tutto fuorviante.
Ecco il pezzo:
GERUSALEMME— La foto ufficiale mostra Barack Obama mentre intinge il dito nel bicchiere di vino rosso. Come vuole la tradizione, è il momento della cena in cui vengono elencate le dieci piaghe. La destra israeliana considera il presidente l'undicesima, lo chiama il nuovo Faraone, «ci ricorda come siamo stati trattati in Egitto». L'esodo da quattrocento anni di schiavitù è invece per il primo afroamericano alla Casa Bianca un simbolo di lotta all'oppressione: «Questa storia intramontabile insegna che ovunque viviamo esisteranno la sopraffazione da combattere e la libertà da conquistare».
Il libro letto durante il Seder, la cerimonia che apre la Pasqua ebraica, è lo stesso a Washington e Gerusalemme. Le interpretazioni diverse. I commentatori israeliani si sono esercitati nell'esegesi dell'«Haggadah di Obama», a caccia dei segni per interpretare la crisi diplomatica tra gli Stati Uniti e il governo di Benjamin Netanyahu. «Il presidente prende il testo molto seriamente - scrive Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth -. Ne trae emozioni, un programma d'azione, un messaggio educativo, una visione del mondo. Le parole "eravamo schiavi" sono fondamentali. E per lui i palestinesi sono gli oppressi, noi siamo gli occupanti, gli oppressori».
La prima firma del quotidiano più venduto nel Paese annoda il conflitto (e la ricerca di una soluzione) al nucleare iraniano: «Obama non è il Faraone, non ci odia. Nelle questioni in cui è nostro alleato, investe il massimo sforzo. Le sanzioni sono da mesi in cima alle sue priorità. Se queste mosse fermeranno Teheran, Israele gli dovrà molto. Allo stesso tempo è il leader americano più avverso all'occupazione tra quelli che si sono susseguiti dal 1967. E ci sta chiedendo un favore, perché ne ha bisogno in Afghanistan e Iraq».
Per Barack e la sua squadra (lunedì sera ha invitato una ventina di ospiti) è il terzo Seder passato insieme. Il primo, durante le primarie democratiche, è stato organizzato nel sottoscala di un hotel in Pennsylvania da un gruppo di assistenti ebrei, il candidato si è aggiunto a sorpresa. Hillary Clinton era ancora da battere, il deserto da attraversare per arrivare alla Casa Bianca
sembrava interminabile. Da allora, la consuetudine è rimasta e Obama lo celebra ogni anno (primo tra i presidenti) nella sala adibita alle cene più intime. Dove le figlie Malia e Sasha, hanno cercato l'Afikomen, il pezzo di pane non lievitato che viene nascosto per i bambini.
L'«Haggadah di Netanyahu» (e di molti israeliani) enfatizza le parole «perché non è uno solo che si levò contro di noi per sterminarci, ma anzi in ogni generazione c'è qualcuno che vuole distruggerci». La minaccia individuata alla sua generazione dal primo ministro è l'atomica iraniana ed è per contrastarla che ha vinto le elezioni. La rotta di un eventuale bombardamento contro i siti nucleari - commenta Ben Caspit, editorialista del quotidiano Maariv - passa sopra gli insediamenti a Gerusalemme Est. «Alla fine, dopo tutto il tempo perso, Bibi si ritroverà davanti la bozza di un accordo finale con i palestinesi, quella scritta da Hillary Clinton, e tutto il mondo la sosterrà. Dovrà decidere se dire sì o no. Alla fine, dopo tutto il tempo perso, gli iraniani dovranno fare una scelta simile: un programma nucleare militare, sì o no. Anche loro dovranno affrontare il mondo intero. E' una vergogna che nel nostro caso il mondo è molto più unito e determinato. Avrebbe dovuto essere il contrario, avrebbe potuto essere il contrario. E' solo colpa nostra».
Obama durante il Seder
Lo storico Benny Morris non vede un legame tra la possibilità di un attacco e le richieste di Washington al governo israeliano. «La pace con i palestinesi in cambio del raid? E' del tutto teorico. Obama non ha mai parlato di un'operazione militare americana, non se la può permettere. Gli israeliani sanno che non otterrebbero quello che vogliono». E' convinto che le nuove sanzioni «non saranno comunque sufficienti. Mi sembra che gli Stati Uniti siano pronti a convivere con l'atomica iraniana, da arginare con la deterrenza». Netanyahu ripete che non permetterà agli ayatollah di avere la bomba. «Se non ci sarà altra scelta, lanciare un attacco per distruggere le centrali diventerà l'opzione dominante. Obama ieri per la prima volta ha dichiarato che Teheran sta cercando di arrivare alla produzione di armi atomiche. Non è la luce verde alla nostra aviazione, ma potrebbe diventare gialla. Washington accetterebbe di dare un sostegno diplomatico e forse anche militare dopo il fatto compiuto».
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