Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 31/03/2010, a pag. 16, l'articolo di Vittorio Da Rold dal titolo " Da Erdogan schiaffo ai militari ".
Recep Tayyip Erdogan
Bekir Bozdag, vice presidente del gruppo parlamentare del Partito filoislamico Akp, al governo, non ha mai letto l'opera di Montesquieu. Ma questo non gli ha impedito di presentare ieri alparlamento turco il pacchetto di 29 emendamenti costituzionali approntato a tempo di record dalla sua formazione politica al governo che vuole ridurre appunto la separazione dei poteri dello stato come un inutile fastido. Il pacchetto sarà discusso in aula a partire dalla settimana prossima.
Ufficialmente, la mini-riforma costituzionale è stata presentata dal governo di Ankara comeun passo per adeguarsi ai termini richiesti per l'adesione della Turchia all'Unione europea, ma secondo i due maggiori partiti d'opposizione (Chp, sinistra, e Mhp, destra) ha lo scopo di porre sotto il controllo dell'esecutivo la magistratura e le forze armate, da sempre garanti della laicità del paese.
Un emendamento, che non mancherà di suscitare aspre polemiche, è stato aggiunto in sordina all'ultimo momento e riguarda la possibilità di far giudicare i più alti gradi delle forze armate non da un tribunale mili-tare, come avviene da sempre, bensì dall'Alta Corte civile. Un'iniziativa, come ha detto ieri il costituzionalista Ulku Azrak, che rappresenta «una sfida e una minaccia» alle forze armate turche. Ilker Basbug, il roccioso capo di stato maggiore delle Forza armate, certamente non avrà gradito.
Il secondo scopo della riforma è, secondo l'Akp, quello di «ristrutturare» il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (Hsyk, l'equivalente del nostro Consiglio superiore della magistratura) e la Corte costituzionale, per garantire un processo più democratico di selezione e di carriera nell'ambito della magistratura che sarà sottoposto al controllo del governo. Ma molte voci contrarie alla riforma si sono alzate nei giorni scorsi da parte di molti alti giudici che accusano il provvedimento di incostituzionalità.
Il terzo punto qualificante della riforma riguarda la possibilità di rendere più difficile la chiusura dei partiti politici, cosa che fino a oggi compete esclusivamente alla Corte costituzionale: potrà essere bandito solo un partito accusato di atti di violenza e terrorismo e l'apertura di un procedimento per la chiusura di un partito dovrà avere l'approvazione preventiva del Parlamento (che equivale a non avere mai il via libera), mentre ora l'azione deve partire dalla Suprema corte d'appello.
La riforma della Costituzione turca è l'attacco finale alle due roccaforti della laicità del paese: esercito e magistratura. Per questo il premier Erdogan spera di non perdere la battaglia campale in programma in parlamento nei prossimi giorni. Se l'aula dovesse tradire le aspettative della vigilia il primo ministro turco è pronto a usare l'arma del referendum popolare.
Perché la Costituzione venga approvata servono 367 voti e questi Erdogan (337 parlamentari) non li ha. Il Chp, il Partito repubblicano del popolo, l'erede della cultura secolarista di Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, non appoggia il disegno del premier, né il Mhp, il Partito nazionalista, di Devlet Bacehli, che ritiene sia meglio rinviare le riforme e pensare alla grave situazione economica. Anche il Partito curdo per la pace e la democrazia, con i suoi 20 deputati, ha fatto sapere di non essere soddisfatto dai cambiamenti costituzionali, che avrebbero dovuto includere anche un nuovo concetto di cittadinanza e l'abbassamento della soglia minima per entrare in parlamento, oggi fissata al 10%.
Se la nuova Carta costituzionale non dovesse venire approvata dall'assemblea, allora la strada obbligata sarebbe quella del referendum, che il premier vorrebbe tenere entro luglio. L'Akp è pronto a guidare una campagna elettorale a favore della democratizzazione e del rispetto dei diritti umani secondo gli standard europei contro il partito dello status quo piuttosto che enfatizzare una scelta di campo tra società laica e filoislamica.
Le urne potrebbero dare ragione al premier. Ma se Erdogan andasse al voto popolare e riscuotesse meno del 38%, quota dell'ultima elezione amministrativa nel marzo 2009, il risultato equivarrebbe a un fallimento che potrebbe portare a elezioni anticipate e alla fine del governo monocolore dell'Akp.
Il clima è molto teso, e la posta alta. Se per il governo la nuova Costituzione è il via libera verso l'Europa e la piena democratizzazione del paese, per la magistratura e l'opposizione è solo un modo per limitare giudici e militari nelle loro funzioni, che rappresentano lo stato laico e i reali oppositori di Erdogan. Il premier usa l'Europa come un "cavallo di Troia" per la sua battaglia finale contro militari e magistrati. Non è detto però che i turchi, dopo avergli dato il 47% nelle ultime elezioni politiche, e solo il 38% in quelle amministrative del 2009, lo seguano ancora una volta.
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