Un augurio: sappiamo resistere ai nuovi faraoni
Cari amici,
questa sera tutti gli ebrei del mondo celebrano la festa di Pesach, che ricorda la storia di come il popolo di Israele, con l´aiuto divino, si costituì vincendo una lotta sanguinosa contro il più potente impero del mondo e si liberò dirigendosi verso la propria terra. Si può credere o meno alla verità storica di questa narrazione, non è questo il punto. Resta il fatto che la storia successiva del popolo di Israele e in larga misura quella dell´Occidente deriva da questa storia, continuamente narrata. I cristiani la rievocano ogni giorno, perché la messa non è altro che il ricordo di questo ricordo: come i Vangeli esplicitamente raccontano, l´ultima cena rievocata nella messa non era altro che un seder pasquale, la cerimonia della memoria dell´uscita di Israele dall´Egitto in direzione della sua terra, che simbolicamente è rappresentata da Gerusalemme. Michael Walzer ha scritto qualche anno fa un libro molto interessante ("Esodo e rivoluzione", tradotto in Italia da Feltrinelli) in cui dimostra che le vicende dell´Esodo sono state il prototipo di ogni movimento di emancipazione nel mondo occidentale. Quando si parla di "radici giudaico-cristiane dell´Europa, si allude innanzitutto a questa presenza dell´uscita dall´Egitto. Gli studiosi del Corano hanno trovato evidenti tracce di questa stessa storia anche nella narrazione islamica dell´Egira.
Ma Pesach è innanzitutto una festa nazionale ebraica, chi esce dall´Egitto è un popolo che vi si forma, non una classe, l´anima del feele, o l´umanità in generale. E l´uscita non è genericamente verso la libertà, ma in direzione di una terra, simbolicamente di Gerusalemme, che viene citata in conclusione al seder: il percorso dell´uscita è lungo, sanguinoso e complesso, con pause, battaglie, rivelazioni, miracoli, rivolte, errori; ma alla fine porta oltre il Giordano, in Eretz Israel. Non la generazione dei padri che abbandonarono la schiavitù, bensì i loro figli e successori, noi stessi. Nella celebrazione del seder si dice che ogni ebreo deve considerare se stesso personalmente coinvolto in quella vicenda, deve considerarsi come se fosse lui stesso oggetto di quel processo di liberazione, in cammino verso "Gerusalemme". Lo sono gli ebrei anche più laici, che tengono a questa cerimonia più di qualunque altra festa religiosa, lo era evidentemente anche Gesù, se la narrazione della sua predicazione ha in questo pasto rituale, ambientato proprio a Gerusalemme, un momento culminante.
Oggi le cose non sono troppo cambiate: le forze più potenti del mondo (l´Islam, ma anche l´Europa e l´America di Obama, con l´avvallo di Russia e Cina) vogliono espellere il popolo di Israele da quella stessa città di Gerusalemme, con l´idea del tutto "amichevole" che questa sia la "via per la pace" (vi ricordate la frase di Tacito nel "De Agricola": "Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant"?). Come Mosé e gli schiavi suoi fratelli seppero resistere alle forze del Faraone, così Israele sappia resistere oggi: questo è il mio augurio a tutti quelli che festeggiano Pesach.
Ugo Volli
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