La pagina 3 del FOGLIO di oggi, 27/03/2010, è dedicata alla voce"Terrorismo",
con tre articoli molto accurati. Quello su Amnesty è di Giulio Meotti. Segue
un ritratto di Claudio Abbado di Giuliano Ferrara.
Eccoli:
TERRORISMO 1 " Non c'è intelligence se non c'è mistero sui metodi di intelligence "
Washington. Marc A. Thiessen, speechwriter dell’ex segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld dal 2001 al 2004 e poi del presidente George W. Bush dal 2006 al 2009, ha vissuto la guerra contro il terrorismo in primo piano, scrivendo centinaia di discorsi durante la sua permanenza al Pentagono, sostenendo le ragioni dell’intervento militare in Afghanistan e Iraq, e successivamente alla Casa Bianca firmando i discorsi di Bush sullo stato dell’Unione nel 2007 e nel 2008 e il discorso pronunciato dal presidente nel 2006 a Roma, nel quale fu rivelata l’esistenza di un programma della Cia per detenere e interrogare i terroristi presi prigionieri. Nel suo nuovo libro – “Courting Disaster: How the Cia Kept America Safe and How Barack Obama is Inviting the Next Attack” (Regnery) – Thiessen svela i miti che avvolgono le questioni delle tecniche di interrogatorio, difende i suoi ex capi e i funzionari dei servizi segreti che si sono impegnati per garantire la sicurezza dell’America e dei suoi alleati, e dà consigli a Obama su come combattere la guerra al terrorismo. Inutile dire che il libro ha creato più di una polemica, andando a toccare uno dei temi più sensibili per gli americani: siamo al sicuro? Al Foglio Thiessen dice, senza molti preamboli, che le iniziative di Barack Obama, dopo l’arrivo alla Casa Bianca, hanno reso l’occidente molto più vulnerabile a nuovi attentati terroristici. “Ad appena due giorni dal suo insediamento – dice Thiessen –, Obama ha rinunciato al più importante strumento che abbiamo a nostra disposizione per combattere il terrorismo: la capacità di catturare, detenere e interrogare i più importanti leader terroristi. Come mi ha detto l’ex direttore della Cia Mike Hayden: ‘L’intelligence è come ricostruire un puzzle senza avere il permesso di vedere la figura sul coperchio della scatola. I terroristi che sono stati interrogati dalla Cia dopo l’11 settembre, però, avevano visto il coperchio’. Questo significa che un terrorista catturato può fare ben più che fornire alla Cia altre tessere del puzzle: può spiegare come le varie tessere si debbano disporre insieme. Insomma, può mostrarci il coperchio della scatola”. Thiessen ricorda la storia del primo terrorista di al Qaida catturato e interro“Abu Zubaidah, stretto collaboratore di Osama bin Laden, ha ringraziato le persone che lo hanno interrogato e ha detto: ‘Dovreste fare la stessa cosa a tutti i fratelli’. Ora, perché un terrorista dovrebbe ringraziare la Cia ed esortarla ad adottare con gli altri terroristi lo stesso metodo di interrogatorio usato per lui? Come ha spiegato lui stesso, “ai fratelli catturati e interrogati Allah ha concesso di fornire informazioni se ritengono di avere raggiunto il limite della propria capacità di sopportazione alle vessazioni fisiche e psicologiche’. In altre parole, una volta che hanno raggiunto il proprio limite i terroristi sono liberi di confessare tutto quello che sanno. Grazie a questa informazione, la Cia ha sviluppato un programma di interrogatorio che non giunge alla vera e propria tortura ma espone i terroristi alla possibilità di non resistere”. Ribadendo la realtà dei fatti contro chi ha descritto molti funzionari dell’Amministrazione Bush come dei “torturatori”, Thiessen prosegue: “Secondo i dati ufficiali, da quando è iniziata la guerra al terrorismo, gli Stati Uniti hanno detenuto 80 mila sospetti terroristi, ma soltanto 800 sono stati portati a Guantanamo. Di questi, 30 hanno subito interrogatori di un certo tipo, con l’impiego di tecniche come schiaffi sullo stomaco, l’immobilizzamento del viso o la dieta a base di Ensure (una bevanda nutritiva) – tutte cose che Obama ha abolito emanando un ordine esecutivo nel quale si richiede conformità ai metodi previsti dall’US Army Field Manual. Come segreti Mike McConnell, ‘giocare a football al college ti espone a pericoli ben maggiori di quelli provocati da qualsiasi di questi metodi di interrogatorio’. Soltanto tre detenuti hanno subito il waterboarding. Le nuove tecniche di interrogatorio erano necessarie soltanto per i leader più importanti, dotati di maggiori capacità di sopportazione e in possesso di precise informazioni su possibili nuovi attentati”. Obama dovrebbe introdurre una frase Per Thiessen è assolutamente necessario che Obama corregga il suo ordine esecutivo: “Nel 2007 un importante terrorista di al Qaida chiamato Abd al Hadi al Iraqi è stato catturato e preso in custodia dalla Cia. Quando gli hanno detto che era nelle mani della Cia, al Hadi ha risposto: ‘Ho sentito molte cose su di voi. Vi dirò tutto quello che volete sapere’. Semplicemente l’esistenza del programma Cia, e l’incertezza riguardo a ciò che avrebbe dovuto subire, è stata sufficiente per convincerlo a parlare. Oggi questo non accadrebbe”. Perché? “Un anno fa Obama ha svelato parecchi segreti sui nostri metodi di interrogatorio rendendo noti alcuni documenti top-secret; in secondo luogo, ha imposto una rigida aderenza ai dettami dell’US Army Field Manual, nel quale si stabilisce che un detenuto non può essere sottoposto ad alcun tipo di minaccia dopo la sua cattura. Ma il presidente può ancora rimediare alla situazione semplicemente aggiungendo le parole ‘previa autorizzazione del presidente’ al suo ordine esecutivo. Se i nostri metodi restano segreti aumentano le possibilità che altri terroristi seguano la stessa strada di Abd al Hadi al Iraqi”. Con il suo libro controverso e molto criticato Thiessen vuole dimostrare che l’intelligence funziona se resta segreto il suo lavoro, altrimenti si finisce con la beffa. “Nel libro ho cercato di spiegare perché i metodi usati dalla Cia erano non soltanto efficaci ma anche legali e moralmente giusti – spiega Thiessen – e ho fornito prove davvero incontrovertibili del fatto che le iniziative di Donald Rumsfeld e di George W. Bush hanno contribuito a fermare gli attentati terroristici. Per questo, dovrebbero essere considerati degli eroi.
TERRORISMO 2 " Liberi o no, così quelli di Guantanamo finiscono in Afghanistan "
Washington. Visto che l’antico proposito di chiudere il carcere speciale di Guantanamo è insabbiato nella realtà, l’Amministrazione Obama studia una soluzione alternativa per maneggiare in modo credibile la delicata questione della detenzione dei terroristi internazionali. Secondo alcuni ufficiali della Casa Bianca citati dal Los Angeles Times, il governo americano sta considerando la possibilità di estendere le competenze della prigione di Bagram, a nord di Kabul, per farla diventare una Guantanamo afghana dove detenere i sospettati non perseguibili per via ordinaria. Finora a Bagram i soldati americani hanno rinchiuso e interrogato i detenuti afghani più pericolosi, ma il tema che è sulle scrivanie di Washington è se farla diventare una nuova prigione per terroristi provenienti da una serie di paesi che foraggiano i fondamentalisti: Yemen e Somalia su tutti. Al destino di Bagram sono legati i malumori che stanno dividendo il Pentagono, la Casa Bianca, il dipartimento della Giustizia e la gerarchia militare. La proposta drastica che l’Amministrazione sta vagliando è il riflesso di un’amara presa di coscienza: è molto difficile – se non impossibile – trattenere i sospettati con massimo ordine di priorità senza ricorrere a una prigione extraterritoriale, idea di Bush per dare ordine alla pratica delle “rendition” ampiamente applicata in era Clinton. Un alto ufficiale della Difesa ha sintetizzato i sentimenti che serpeggiano nei corridoi governativi: “Nessuna delle possibilità che abbiamo davanti è piacevole, ma la riconversione di Bagram potrebbe essere il male minore”. Secondo la ricostruzione del Los Angeles Times, il generale McCrystal è ostile a una Bagram in versione Guantanamo, perché alienerebbe ulteriormente le simpatie della popolazione locale, violando il comandamento supremo della dottrina del generale Petraeus: proteggere la popolazione. Una prigione straordinaria sul suolo afghano darebbe continuità ideale al progetto di Guantanamo, con l’aggiunta destabilizzante di radunare i terroristi più pericolosi nel cuore di un paese in guerra invece che in un non-luogo sull’altra sponda dell’Atlantico. Dall’insediamento dell’Amministrazione il procuratore generale Eric Holder è stato l’operaio più appassionato nel cercare di trasformare in realtà i propositi di Obama, ma col passare dei mesi è stato costretto a scendere a compromessi: mentre con una mano lavorava per la chiusura di Guantanamo, con l’altra si opponeva con forza alla concessione dell’habeas corpus ai prigionieri di Bagram, per garantirsi una rete di salvataggio fuori dalla giurisdizione americana. Holder è finito anche sotto il fuoco dei conservatori per avere fatto assumere al dipartimento sette avvocati che hanno difeso detenuti a Guantanamo, gli “al Qaida Seven”, e una settimana fa ha ordinato un’indagine per scoprire se gli avvocati dei detenuti di Guantanamo passassero ai loro clienti prove che avrebbero svelato l’identità di agenti della Cia sotto copertura. A capo dell’indagine c’è Pat Fitzgerald, il temuto procuratore generale dell’Illinois che ha fatto condannare il capo di gabinetto dell’ex vicepresidente Cheney per aver svelato l’identità di un agente segreto. Diverse fonti dicono che la decisione di affidare l’inchiesta al mastino giustizialista per eccellenza è frutto di un compromesso con il Consiglio di sicurezza nazionale, mentre Holder sa che l’esito potrebbe causargli più mal di pancia di quanti già ne abbia per le ultime notizie sulla lotta al terrorismo: Mullah Abdul Qayum Zakir e Akhtar Mohammad Mansoor hanno preso il posto che era del Mullah Baradar prima della cattura, e ora sono il numero due e tre del Mullah Omar. Entrambi erano detenuti a Guantanamo
TERRORISMO 3- Giulio Meotti: " Da pol Pot a Jenin, la bancarotta morale quotidiana di Amnesty "
con e senza la T
Roma. Nei suoi gloriosi cinquant’anni di attività, Amnesty International ha raccolto tante lodi e riconoscimenti, oltre a un premio Nobel per la Pace. Eppure la paladina dell’umanitarismo, che dice di battersi per la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non è al di sopra di ogni sospetto. Giorni fa persino lo scrittore Salman Rushdie, esponente della stessa cultura liberal a cui Amnesty si richiama, ha accusato l’organizzazione di “bancarotta morale”. Perché Amnesty ha utilizzato come testimonial Moazzam Begg, ex prigioniero di Guantanamo e sostenitore dei talebani e di al Qaida. Un declino non da poco per l’organizzazione che all’inizio si è battuta per eroi della libertà come Vaclav Havel e Andrei Sakharov. Due vittime del Gulag sovietico accostate proprio a Guantanamo, “il Gulag dei nostri tempi” secondo l’infelice definizione di Irene Khan, segretario generale di Amnesty. Come se si potesse paragonare il carcere per terroristi all’inferno sovietico dove sono morti milioni fra sacerdoti, dissidenti, kulaki e gente comune. Una storica ambasciatrice americana all’Onu come Jeanne Kirkpatrick ha definito “ipocrita” Amnesty per i suoi colpevoli silenzi su tragedie politiche del Novecento che non hanno scaldato i cuori umanitaristi, come quelle in Angola e Nicaragua e come il genocidio cambogiano di Pol Pot. E quando in Etiopia e in Sudan migliaia di persone morivano per fame e tortura, Amnesty aveva come principale ossessione l’abolizione della pena di morte negli Stati Uniti. Non governativa e basata sul volontariato, Amnesty è stata un pilastro dell’opposizione all’Amministrazione Bush, di cui ha osteggiato in numerose sedi la “guerra al terrore”, perché “lungi dal trasformare il mondo in un posto più sicuro lo ha reso più pericoloso”. Senza contare che Amnesty contribuì alla campagna del democratico John Kerry. Non è esattamente questa l’imparzialità che per statuto Amnesty si impone. L’organizzazione ha chiesto all’Amministrazione Obama di “sospendere immediatamente gli aiuti militari a Israele”. Ma non ha trovato il tempo di chiedere, en passant, anche un embargo delle armi verso Hamas: è incapace di distinguere fra Israele e i suoi aggressori, fra una democrazia quantunque imperfetta e un movimento terrorista che inculca nei propri figli l’amore per la morte. Anche il settimanale britannico Economist ha accusato Amnesty di “riservare più pagine agli abusi dei diritti umani in Gran Bretagna e Stati Uniti di quanti non ne dedichi a Bielorussia e Arabia Saudita”. Nel 2002, quando le forze di difesa israeliane, dopo due anni di attentati suicidi, andarono a stanare i terroristi dentro i Territori palestinesi, l’accusa – poi rivelatasi completamente falsa – che avessero compiuto un “massacro” a Jenin fu alimentata proprio da Amnesty, col risultato di scatenare giornali e tv in tutto il mondo. In Inghilterra l’ufficio di Amnesty ha sposato le tesi più estremiste dell’antisionismo. Amnesty non è soltanto pregiudizio politico. E’ anche ideologia antinatalista. Ha infatti elevato l’aborto a “diritto umano”. Nessuna lobby abortista era mai arrivata a tanto. Amnesty sostiene la diffusione dell’aborto procurato nel mondo, soprattutto nel Terzo mondo. Non a caso è stata ribattezzata “Abortion International”. Sono lontani i tempi in cui il fondatore Peter Benenson faceva conoscere al mondo la storia del tunisino Maurice Audin, ucciso in Algeria dai paracadutisti francesi, o della moglie di Pasternak, Olga Ivinskaya, a cui Mosca rese la vita impossibile. Oggi la candela nel filo spinato di Amnesty, più che l’icona dei diritti umani, è il marchio di una visione selettiva della storia per cui ci sono molti torti, ma alcuni sono più torti di altri.
Segue un ritrattino del (cattivo) Maestro Claudio Abbado, di Giuliano Ferrara, dal titolo " Abbado, la musica, lapolitica. Guantanamera "
Claudio Abbado
La grande musica trascina e incanta e seduce anche per la sua caratura simbolica, per una speciale coesione interna che imprime all’intelligenza del mondo. E’ un linguaggio inappellabile, che accade nel tempo, in ogni senso. Anche nel tuo tempo. Claudio Abbado dirige in questi giorni a Santa Cecilia con la sponsorizzazione di Amnesty International, una associazione umanitaria che probabilmente ha dei meriti, ma immersi nei grandi demeriti descritti in questa pagina da Giulio Meotti e da altri nostri collaboratori. Celebrare Amnesty equivale a esercitare la più facile delle retoriche, voltandosi dall’altra parte quando si tratti di pensare alla strage asiatica abortista delle bambine (Amnesty è radicalmente abortista), quando il problema sia l’eroismo dei soldati che hanno combattuto per la nostra libertà e sicurezza, per la libertà delle donne afghane e del “valoroso popolo iracheno”, valoroso quando vota e non, come pensavano le gentili eroine delle organizzazioni non governative rapite e riscattate, quando metteva le bombe nei mercati e nelle scuole e ammazzava centinaia di civili inermi coltivando il sogno di una restaurazione saddamita o baathista. Amnesty danna il carcere speciale di Guantanamo, ma non è riuscito e non riuscirà a Barack Obama, beniamino del mondo benpensante, di risolvere il problema di combattere il terrorismo senza mezzi straordinari di detenzione e giurisdizione. Tanti anni fa Maurizio Pollini fu sponsor dei vietcong, ma poi vennero i boat people, senza sponsor. Il facilismo salottiero con cui si abbracciano, soprattutto nel campo della musica e dell’arte, le grandi e belle cause, senza guardarvi dentro con un minimo di attenzione, fa impressione. Aspettiamo concerti contro i talebani tagliagole e in omaggio a chi li combatte con coraggio.
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