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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.03.2010 Come stravolgere il significato delle parole
Al Corriere Battistini fa scuola

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 marzo 2010
Pagina: 49
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Noi narratori non cambiamo la politica»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/03/2010, a pag. 49, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Noi narratori non cambiamo la politica ".

Nell'articolo Battistini riporta le presunte dichiarazioni di Lizzie Doron : " Oggi, di Shoah si parla sempre. Ovunque. Noi israeliani adoriamo la Shoah! Crea l’unità, giustifica i sentimenti. E quando si parla di processo di pace, attenti a voi, ricordate sempre da dove veniamo...". Presunte perchè è davvero impossibile credere che abbia detto sul serio che gli ebrei "adorano" la Shoah.
Sul fatto che ne parlino e che sia necessario farlo, è vero. Ma sostenere che la adorano...si può adorare una cosa come lo sterminio nazista degli ebrei?
L'occhiello recita, riferendosi a Lizzie Doron : " Oggi a Roma presenta il suo ultimo romanzo: 'Casa mia è Manhattan, non Gerusalemme' ". Lizzie Doron nell'articolo dichiara una cosa ben diversa : "
L’unico posto in cui mi sento una vera ebrea, dove andare in sinagoga non diventa una dichiarazione politica, non è Gerusalemme: è Manhattan ". Strumentalizzare le sue parole, reinterpretarle come se fossero una specie di critica a Netanyahu e alla costruzione di case a Gerusalemme (Perchè costruire a Gerusalemme se nemmeno gli ebrei israeliani la sentono come casa propria?) è disonesto.
Ecco l'articolo:


Lizzie Doron

TEL AVIV — «Le va una pasta ai funghi?». Lizzie Doron arriva trafelata da Gerusalemme. Da una giornata che domani sarà sui giornali: «C’erano elicotteri dappertutto. Polizia, manifestazioni. David Grossman che dimostrava nella zona di Sheikh Jarrah, contro lo sgombero dei palestinesi. Per andare a trovare i miei amici arabi, ho dovuto prendere strade alternative...». E lei? Una scrittrice liberal, non dovrebbe manifestare pure lei? «No. Io non partecipo a queste cose. Non credo più in alcun tipo d’attività politica. Non penso che noi scrittori possiamo in qualche modo influenzare le scelte. Dopo l’assassinio di Rabin, è cambiato tutto. Ho capito che avevamo preso la direzione sbagliata. E ho cominciato a rianalizzare la situazione del Medio Oriente con categorie non politiche. Grossman è uno che va a dire qualcosa di morale, gli fa onore. Ma al nostro Netanyahu non importa nulla di questo. Lui non vuole realizzare nessuno dei miei sogni. Le radici di questa guerra vanno molto più in profondità del semplice livello politico, religioso. Se voglio che israeliani e palestinesi si parlino, la questione cruciale non è protestare: è stare con chi vuole migliorare la sua vita, avere relazioni con lui, cambiando le radici profonde della nostra cultura. In questo, sì, noi scrittori abbiamo un senso...».

Sotto i Tre Moschettieri della letteratura israeliana, Grossman-Oz-Yehoshua, c’è il mondo di Lizzie, di Etgar Keret e degli altri: scrittori 100% telavivi. Che spesso vivono da stranieri in patria: «Quando mi chiedono se sono israeliana, dico sì, ma nel mio intimo rispondo che sono di Tel Aviv. Il mio connazionale è europeo. Un religioso di Gerusalemme o un colono della Cisgiordania, lo sento come un estraneo». Che convivono con un’identità problematica: «L’unico posto in cui mi sento una vera ebrea, dove andare in sinagoga non diventa una dichiarazione politica, non è Gerusalemme: è Manhattan». E che l’impegno — ah, l’impegno!— lo riscrivono in romanzi come Giornate tranquille, edizioni Giuntina: l’umanità di Bizaron, edere e case basse, scalcinato quartiere di Tel Aviv abitato solo da sopravvissuti alla Shoah, minacciato dalla speculazione edilizia e raccontato dallo sgabello di una manicure. Lizzie Doron, classe 1953, è cresciuta lì: «Il mio laboratorio. Mia mamma diceva che nel mondo ci sono persone buone, persone cattive e persone che sono state ad Auschwitz. Tutti provenivano da là, ma nessuno parlava mai di là: Bizaron era il luogo che una nuova generazione, eppure vecchia, aveva scelto per ricordare e per dimenticare insieme. Oggi, di Shoah si parla sempre. Ovunque. Noi israeliani adoriamo la Shoah! Crea l’unità, giustifica i sentimenti. E quando si parla di processo di pace, attenti a voi, ricordate sempre da dove veniamo...».
Un altro impegno, una memoria diversa. Ma non è comodo, chiamarsi fuori? «Purtroppo, non si può. Io posso scrivere una fiction totale, ma la situazione qui la vedete. Però voglio guardare a queste cose da un altro angolo. Israele è il più grande ospedale psichiatrico del mondo per crisi post-traumatiche: c’è il reparto psicotici, che aspettano il Messia; c’è chi sopravvive a qualcosa, l’Olocausto o il Muro di Berlino, l’Etiopia o una guerra; c’è chi vorrebbe essere altrove e, per questo, fa anche letteratura...». Di successo, almeno in Italia: «C’entra anche il luogo. Grossman dice che Israele è il paradiso degli scrittori. Un po’ com’era l’Urss per gli scrittori sovietici: forse, questo è un buon motivo per restarci!». Nell’appartamento di Lizzie, inondato di sole, i rifugi antiatomici sono due. In uno ha messo solo cibo, in un altro solo libri: «Al momento giusto, dovrò decidere dove stare...».

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