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Il Giornale - Libero - Informazione Corretta - Danielpipes.org; Il Sole 24 Ore - Il Manifesto Rassegna Stampa
24.03.2010 Netanyahu arriva a Washington
Commenti di Fiamma Nirenstein, Angelo Pezzana, Daniel Pipes, Emanuela Prister. Cronache di Ugo Tramballi, Zvi Schuldiner

Testata:Il Giornale - Libero - Informazione Corretta - Danielpipes.org; Il Sole 24 Ore - Il Manifesto
Autore: Fiamma Nirenstein - Angelo Pezzana - Daniel Pipes - Emanuela Prister - Ugo Tramballi - Zvi Schuldiner
Titolo: «Netanyahu da Obama. Gelo tra alleati - Netanyahu da Barack per ricordargli che Gerusalemme non è una colonia -Netanyahu minaccia il rinvio di un anno dei negoziati - Netanyahu contro la pace»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 24/03/2010, a pag. 15, l'analisi di Fiamma Nirenstein dal titolo " Netanyahu da Obama. Gelo tra alleati ". Da LIBERO, a pag. 21, l'analisi di Angelo Pezzana dal titolo "Netanyahu da Barack per ricordargli che Gerusalemme non è una colonia  ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 11, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Netanyahu minaccia il rinvio di un anno dei negoziati ", preceduto dal nostro commento. Da DANIELPIPES.ORG l'articolo di Daniel Pipes dal titolo " Quando Obama incontrerà Netanyahu  ". Dal MANIFESTO, a pag. 1-8, l'articolo di Zvi Schuldiner dal titolo " Netanyahu contro la pace ", preceduto dal nostro commento. Pubblichiamo il commento di Emanuela Prister dal titolo " Alan Dershowitz e le lacrime di coccodrillo  ".
Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Netanyahu da Obama. Gelo tra alleati "


Fiamma Nirenstein

Resteranno delusi sia quelli che avrebbero voluto vedere un incontro di pugilato fra il presidente Obama e Benjamin Netanyahu, sia quelli che avrebbero desiderato assistere a un abbraccio durante l’incontro di ieri notte. Alla fine delle giornate del congresso dell’Aipac, la maggiore fra le associazioni americane filoisraeliane, l’incontro fra i due leader rimarca amore e odio: un disaccordo che pure non può permettersi di distruggere un rapporto strategico fuori discussione. Israele e gli Stati Uniti, come ha esordito Netanyahu nel suo discorso, hanno davvero molto in comune e questo nemmeno l’infastidito Obama può ignorarlo. Sono davvero due Paesi di frontiera in senso morale e fisico, anche se le loro dimensioni sono tanto diverse, in cui la realtà storica e l’immaginario collettivo disegnano sempre un John Wayne o un Moshè Dayan campioni di libertà e di democrazia in un mondo turbato da ideologie violente, autocratiche, terroristiche. Essi sono davvero due Paesi fratelli perché credono in Dio senza essere clericali. E ancor più forse, Obama ha certo visto le statistiche per cui dieci americani contro uno ritengono che gli Usa debbano sostenere Israele.
D’altra parte resta vero che Obama, avendo scelto una strada che tende decisamente a ricostruire i rapporti col mondo arabo anche a caro prezzo, sa che la cosa più dannosa ideologicamente per «la mano tesa» è l’«indistruttibile» rapporto degli Usa con Israele. E ha dovuto usare proprio questa espressione a Fox News per recuperare rispetto al profondo scontro dei giorni precedenti e così l’ha ripetuta Hillary Clinton all’Aipac, aggiungendovi rock solid, duro come una roccia.
Così, nelle ore precedenti all’incontro della Casa Bianca avvenuto nelle nostre ore notturne, dopo il dialogo pubblico di Clinton e Netanyahu, ha cercato di farsi sentire sui media il mondo arabo, e in particolare i palestinesi, molto scontenti. Si prepara al summit della Lega Araba di Tripoli questo sabato, destinato come tutti gli altri a trasformarsi nelle solite minacce e condanne a Israele, ma anche a garantire ad Abu Mazen il nullaosta per le trattative per interposta persona che Obama richiede. Si sa che Abu Mazen, come del resto Netanyahu, non potrà negare al presidente americano, specie ora che è così forte dopo il voto congressuale, il passo che richiede da tempo, la riapertura dei negoziati. Ma Abu Mazen vuol far capire che dopo questa sessione di incontri israelo-americani, ci andrà deluso della remissività americana. Abu Mazen sa però due cose: la prima che gli Usa non hanno spento né spegneranno il fuoco sotto gli insediamenti del West bank e che cercheranno di ottenere il blocco anche di Gerusalemme. La seconda, che Bibi, mentre tiene ferma e precisa la posizione sulle costruzioni di Gerusalemme, si impegnerà a Washington per una quantità di altre concessioni, sia di libertà di movimento, che economiche, che relative alle costruzioni negli insediamenti, che di rilascio di prigionieri. E al tavolo delle trattative, anche se non prima, non potrà evitare la pressione degli americani a parlare anche di Gerusalemme.
C’è un altro aspetto che spingerà Abu Mazen a riprendere le trattative: la Clinton ha fatto una quantità di affermazioni amichevoli applaudite dalla platea dell’Aipac, ma non ha rinunciato a far sentire a Israele in maniera inconsueta come usa fare questa amministrazione, una tonnellata di pressione verso concessioni territoriali preventive tramite il freezing degli insediamenti. Più volte Clinton ha ribadito che lo status quo va superato e a incitato impaziente a compiere passi coraggiosi: vibrava nelle sue parole una palese mancanza di fiducia verso il governo israeliano.
Netanyahu a sua volta ha ripetuto, sì, la sua sincera fedeltà al rapporto con gli Usa e ha centrato il discorso sull’Iran piuttosto che sui palestinesi, ma ha tenuto botta. Non solo ha ripetuto che Gerusalemme non è un insediamento, ma la capitale d’Israele. Ma più tardi, dopo l’incontro con Biden e con il suo entourage congressuale ha avvisato che se i palestinesi insisteranno su atteggiamenti irrazionali, ovvero su un totale freezing delle costruzioni nei quartieri arabi di Gerusalemme, la prefigurazione di una divisione territoriale mai trattata e mai garantita, questo potrebbe ritardare le trattative perfino di un anno. E questo Obama non lo vuole: le due parti si devono sedere, gli serve a dimostrare che la sua politica estera dà qualche segno di vita. Insomma, a Washington tutti si preparano a giocare una partita a scacchi sulla bocca di un vulcano.
www.fiammanirenstein.com

LIBERO - Angelo Pezzana : "  Netanyahu da Barack per ricordargli che Gerusalemme non è una colonia"


Angelo Pezzana

Spente le luci sul palcoscenico dell’Aipac, la lobby pro Israele di Washington, dove gli applausi non si negano a nessuno. Nemmeno a Hillary Clinton, autrice giorni fa di una telefonata rovente a Bibi Netanyhau, ma che da gran furbona ha saputo davanti a una platea di ebrei americani toccare le corde giuste raccontando sessant’anni di un forte, reciproco rapporto di leale amicizia, il che è stato vero finchè alla Casa Bianca non è arrivato Obama. Applausi ancora maggiori li ha avuti lo stesso Bibi, ma lui giocava in casa, le parole non faceva fatica a trovarle. Molto più complicato invece l’incontro con Obama, anche se l’obiet - tivo di entrambi sarà quello di ricucire uno strappo disponendo di poco filo. Bibi sa che Obama ha bisogno di qualche rassicurazione su quelle che ritiene debbano essere le condizioni essenziali per far ripartire il dialogo con Abu Mazen, per cui, in un modo o nell’altro, un coniglio dal cappello dovrà tirarlo fuori. Ma Obama sa anche di trovarsi di fronte a un premier israeliano molto determinato, che conosce la storia del proprio popolo, per cui, in mezzo ad attestati di buona volontà, si sentirà dire alcune verità delle quali non potrà non tenere conto, prima fra tutte che «gli ebrei hanno costruito Gerusalemme tremila anni fa e continuerannoafarlo oggi e nel futuro»come ha dichiarato Bibi prima di partire per Washington, «Gerusalemme è come Tel Aviv, non è una colonia», ha poi aggiunto. Obama se lo dovrà mettere bene in testa, la pace si raggiungerà quando il mondoarabo avrà accettato la presenza dello Stato ebraico, quando i palestinesi, come su queste colonne ricordiamo da anni, capiranno che il problema più urgente da affrontare è quello dei confini condivisi, che devono smetterla di dettare condizioni dopo aver voluto la guerra per decenni. E come, purtroppo, da Gaza continuano a volere. Obama dovrà anche dire a Bibi che cosa intende fare con la minaccia iraniana, se vuole continuare a presentarsi con il cappello in mano oppure cambiare linea. Chissà se è informato che l’Arabia Saudita, come abbiamo letto sull’ultimo numero dello Spiegel, si auguraunattacco alla teocrazia dei mullah, disponibile ad aprire il suo spazio aereo per garantirne il risulatato. Una notizia che gli interessati prontamente smentiranno, ma la cui veridicità Obama può verificare con facilità. Non è un mistero per nessuno che Arabia Saudita, ma anche gli Emirati del Golfo, vedrebbero con grande soddisfazione ilridimensionamento delpericolo rappresentato dall’Iran. E’questo stato a compromettere la stabilità del Medio Oriente, non Israele, che oltre a tutto sta continuando con ottimi risultati una politica di collaborazione economica con l’Autorità palestinese. Stia però attento Obama, lui può permettersi degli errori di valutazione, Israele no. I suoi nemici , e non ci riferiamo ai soli palestinesi, non hanno ancora perso la speranza di eliminarlo dalle carte geografiche, anche se affermano di condividere la soluzione due stati per due popoli. Se ci credessero davvero, non avrebbero bisogno di nessun intermediario americano, o europeo, per fare la pace.

DANIEL PIPES.ORG - Daniel Pipes : " Quando Obama incontrerà Netanyahu "

Nell'apprendere che Barack Obama ha invitato Binyamin Netanyahu a fargli visita il 23 marzo, presumibilmente per discutere di argomenti importanti come l'annuncio di voler costruire nuove unità abitative a Gerusalemme e indurlo ad essere cortese con Mahmoud Abbas dell'Olp, non posso fare a meno di immaginare ciò che direi al presidente:

  1. Si metta da parte la questione palestinese, che come dimostrato lo scorso anno ha poche opportunità di avere una svolta.
  2. Piuttosto, è meglio focalizzare l'attenzione sulla questione estremamente pericolosa della proliferazione nucleare iraniana.
  3. È troppo tardi per risoluzioni, accordi sanzioni con cui far fronte a questa proliferazione.
  4. La sola decisione rimasta è quella se distruggere o meno l'infrastruttura nucleare.
  5. Le forze armate americane dispongono delle migliori risorse e devono assumersi l'impegno di condurre questa operazione.
  6. Se così non fosse, le forze armate israeliane dovrebbero fare il lavoro.
  7. Che sarà difficile; l'intelligence delle IDF, aerei e carichi utili potrebbero non essere adeguati.
  8. Pertanto, solamente delle armi nucleari in dotazione a sottomarini israeliani possono assicurare il successo dell'operazione.
  9. Nessuno vuole questo, quindi sarebbe meglio che il governo Usa si metta all'opera.

Di fronte a una simile logica spero che Obama metta da parte la questione palestinese, almeno per il momento.

INFORMAZIONE CORRETTA - Emanuela Prister : " Alan Dershowitz e le lacrime di coccodrillo "


Alan Dershowitz

 A nessuno piace sentirsi dire "Te l'avevo detto", e credetemi se
 potete, non provo alcun piacere nel scrivere queste righe. Era solo
 ieri Marzo 22, 2010 che Hillary Clinton a Washington DC ha ricevuto il
 plauso (stento a crederci) dell' AIPAC mentre castigava Israele e
 diceva che Israele non puo' costruire non solo nella West Bank, ma a
 Gerusalemme stessa (per chi non lo sapesse nel 2005 George W. Bush
 aveva firmato un trattato ripudiato da Obama, secondo il quale lo
 status di Gerusalemme non sarebbe stato messo in questione al momento
 di trattative per un eventuale ritorno di territori occupati nella
 guerra del '67. In compenso Arik Sharon aveva sgomberato Gaza che
 rimane ad oggi in mano Palestinese). Io che ero ad un altra Policy
 Conference dell' AIPAC nel 2008 ricordo benissimo avendo sentito con
 le mie stesse orecchie che il Junior Senatore dell' Illinois e
 candidato presidenziale Barack Obama, adesso il capo della Clinton,
 aveva ricevuto un' ovazione per aver detto testuali parole che: "And
 Jerusalem will remain the capital of Israel and it must remain
 undivided." "E Gerusalemme rimarra' la Capitale di Israele, e deve
 rimanere indivisa". Ma ahime che Obama mentisse lo scoprimmo il giorno
 dopo stesso quando Obama parlando davanti ad un convegno filo
 Palestinese si rimangio' quelle precise testuali parole. Come si dice
 in Italia, il buon giorno si vede dal mattino.

 Per fortuna, ieri ha parlato anche Bibi Netanyahu per ribadire all'
 amministrazione Obama che Gerusalemme non e' divisibile. Ignoro se
 Nataniahu ha suscitato negli spettatori dell' AIPAC gli stessi
 applausi riservati alla Clinton, ma alas in questo mondo alla rovescia
 dove ogni tanto bisogna che mi do un pizzicotto per constatare che si,
 purtroppo Obama e' presidente, e Israele e' sul menu, ci si puo'
 aspettare anche di peggio. Gia' Netanyahu fu fatto entrare dalla porta
 di servizio l' ultima volta alla Casa Bianca, gli sgarbi agli amici in
 questa amministrazione sono cose di ordinaria amministrazione, o forse
 dovrei dire "somministrazione". Posso dire che quando George W. Bush
 era presidente, AIPAC riservo' un coro di boohs alla Signora Nancy
 Pelosi per aver preso la via di Damasco con tanto di fazzolettone in
 testa? E' vero. Tempi migliori quelli, quando questo mio meraviglioso
 paese conosceva gli amici e i nemici tremavano. E' evidente che
 perfino l' AIPAC aveva ritrovato la sua spina dorsale in quei tempi.
 Dev'essere una spina dorsale molto molle perche' ieri l' AIPAC non ha
 certo dato prova di fortitudine davanti all' amministrazione. Si dice
 che nel mondo Islamico George W. Bush aveva la fama di essere un pazzo
 scatenato, uno pazzo abbastanza da rompere tutti i protocolli e non
 ospitare piu' Arafat alla Casa Bianca - quello che ha isolato Arafat,
 mentre tutto il mondo prima faceva a gara per vezzeggiarlo - uno pazzo
 abbastanza da ridare la liberta' a 31 e rotti milioni di Iracheni,
 pazzo abbastanza che Gheddafi spontaneamente rinuncio' alle armi non
 convenzionali, pazzo abbastanza che l' Iran fece di tutto e sta
 facendo di tutto per deragliare il sogno di 31 milioni di Iracheni, un
 sogno pericoloso se sei una teocrazia di stile Nazista. Chiedetelo
 agli Israeliani che qualcosa dei nostri nemici lo sanno, pare che a
 essere conciliatori con i regimi filoterroristi e con i terroristi
 stessi, non si provochi la pace. Anzi. A meno che "pace" non voglia
 dire la pace delle tombe.

 Arrivo al sodo: oggi dalle pagine del Wall Street Journal Alan
 Dershowitz ha paragonato Obama a Neville Chamberlain, quello che e'
 passato alla storia per aver reso possibile la Seconda Guerra
 Mondiale. La cosa sarebbe scarsamente notabile per noi che Obama lo
 abbiamo paragonato a Chamberlain gia' dal 2007-2008, se non fosse che
 lo stesso Alan Dershowitz ha usato le stesse pagine del Wall Street
 Journal nel 2008 per annunciare il suo sostegno per il candidato
 Obama. Quello stesso candidato Obama che nel 2008 parlava come si dice
 negli Stati Uniti "da entrambi i lati della bocca", come per dire non
 aveva un messaggio unico ma variava il messaggio a seconda dell'
 audience. Se l' ho notato io lontana anni luce dai vertici del potere
 dalla lontana periferia del Texas, come ha potuto il celebrato
 professorone di legge di Harvard, non notarlo? Quello stesso candidato
 Obama che diceva di poter convincere gli Iraniani a deporre i loro
 sogni di distruzione mortale di Israele con la diplomazia. Era chiaro
 a me e ad una nutrita minoranza di Americani che Obama era un falso
 messiah. Era lampante per noi, che Obama fosse pericoloso, che la sua
 idea che Israele fosse un tenero capretto da far giacere nello stesso
 letto del leone Iran, era pura follia omicida. Adesso cio' e'
 finalmente diventato chiaro al "caro" professorone nostro, l'
 indefesso Alan Dershowitz. Ebbene Signor Dershowitz, e' troppo tardi.
 L' unica cosa che ancora ci sostiene non sono le sue lacrime di
 coccodrillo, ne' la sua epifania tardiva, ma la consapevolezza che
 Israele non e' un tenero capretto al macello preparato da Obama e i
 Mullah Iraniani.

 Forza Israele.

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Netanyahu minaccia il rinvio di un anno dei negoziati "

Tramballi è molto critico con Netanyahu per il suo rifiuto di bloccare le costruzioni a Gerusalemme, riporta le sue dichiarazioni al riguardo e cerca di farle passare per assurde, scrivendo : " Per Netanyahu non esiste una Gerusalemme ovest ebraica e una orientale araba. Ce n'è una sola ed è la capitale indivisibile dello stato d'Israele. Di più: del popolo ebraico ovunque si trovi nel mondo. Dunque, se le cose stanno così, non ci possono essere "insediamenti", se non considerando l'intera città un solo insediamento ebraico". A Tramballi ricordiamo che Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile di Israele dal 1967, anno della vittoria della Guerra dei Sei Giorni. Israele ha vinto una guerra e Gerusalemme fa parte dei territori conquistati.
Le stesse critiche mosse a Israele non vengono mosse ad altri stati riguardo a territori conquistati in maniera analoga. Perchè?
Tramballi scrive : "
Bibi non chiarisce che fare del terzo arabo degli abitanti della capitale d'Israele ". Non lo chiarisce perchè è ovvio. I cittadini arabi residenti a Gerusalemme sono israeliani, e sembra pure che la cosa gli stia molto bene.  Israele è una democrazia, la minoranza araba locale gode degli stessi diriti degli altri cittadini.
I lanci ANSA e ADNkrons, assomigliano oggi, curiosamente, al pezzo di Tramballi.
Ecco l'articolo:


Ugo Tramballi

Non è solo un problema politico. È anche una questione di soldi. Le colonie, che sono al momento al centro dello scontro fra Stati Uniti e Israele, costano 17 miliardi di dollari e le costruzioni hanno un'estensione di 12 milioni di metri quadrati in quel territorio sul quale dovrebbe, un giorno, nascere uno stato palestinese. È questo il bagaglio ingombrante che Bibi Netanyahu ha portato con sé, entrando la notte scorsa alla Casa Bianca.
Qualche anticipazione su ciò che Bibi ha detto a Barack Obama circolava già ieri a Washington: insistere sugli insediamenti di Gerusalemme significa rinviare di un anno la ripresa del dialogo di pace. Il giorno precedente il primo ministro israeliano era stato piuttosto chiaro davanti alla platea amica dell'Aipac, la lobby americana filo israeliana: «Gerusalemme non è un insediamento, è la nostra capitale ». Per Netanyahu non esiste una Gerusalemme ovest ebraica e una orientale araba. Ce n'è una sola ed è la capitale indivisibile dello stato d'Israele. Di più: del popolo ebraico ovunque si trovi nel mondo. Dunque, se le cose stanno così, non ci possono essere "insediamenti", se non considerando l'intera città un solo insediamento ebraico. Bibi non chiarisce che fare del terzo arabo degli abitanti della capitale d'Israele.
Le case ebraiche incastrate nei quartieri arabi dentro la città e i nuovi centri residenziali costruiti sulle colline attorno, anche quelle arabe, sono la causa dell'attuale scontro fra i due alleati. Ma il problema delle colonie è ben più vasto, deborda come una cascata dall'area metropolitana della capitale contesa in tutta la Cisgiordania palestinese. L'ultimo conteggio materiale l'ha fatto l'israeliano Macro Center per le Politiche Economiche. I 17 miliardi di dollari, chiarisce Robi Nathan, direttore del centro, «non sono il valore di mercato degli insediamenti ma solo il costo di costruzione ». Cosa valgano attualmente e se esista un reale mercato degli insediamenti, è una questione più difficile da definire: dipende da quanto gli insediamenti sono vicini e quanto molto lontani dal confine israeliano internazionale e riconosciuto. Nelle colonie esistono 32.711 appartamenti (3.27 milioni di metri quadri), 22.711 case unifamiliari (5,7 milioni), 868 edifici pubblici, 717 strutture industriali, 187 shopping center, 344 asili, 221 scuole, 21 librerie, 127 sinagoghe, 96 bagni rituali, 69 scuole talmudiche.
Intanto il problema è Gerusalemme. Netanyahu insiste che costruire nella parte Est della città per lui è come costruire a Tel Aviv: anche Ariel Sharon aveva detto che l'insediamento di Netzarim a Gaza valeva quanto Tel Aviv. Poi ha evacuato tutte le colonie della Striscia, compresa Netzarim. Ma al momento Bibi sembra molto determinato. Prima di entrare alla Casa Bianca e arrivare al confronto con Barack Obama, il premier aveva ripetuto la sua posizione anche al vicepresidente Joe Biden e a Nancy Pelosi, la speaker della camera dei rappresentanti. Se i palestinesi insistono su Gerusalemme niente ripresa del dialogo per almeno un anno. Tutto questo porta in una sola direzione: la collisione con un presidente degli Stati Uniti i difensori, i cassieri, i migliori amici possibili - rafforzato nel morale e nei muscoli dalla vittoria sulla riforma sanitaria.

Il MANIFESTO - Zvi Schuldiner : "  Netanyahu contro la pace"

Schldiner scrive, riguardo ai governi israeliani : "hanno fatto il possibile per rendere la vita così difficile ai palestinesi da spingerli ad abbandonare la città, cosa che in generale non hanno fatto. Secondo: Gerusalemme è parte del processo di colonizzazione dei territori occupati nel 1967; come in tutti i territori occupati, ogni colonizzazione che non sia strettamente retta da motivi di sicurezza è contraria a quanto stipula il diritto internazionale e dunque è illegale. Washington è sempre stata a conoscenza delle case costruite da Israele nei territori occupati. ". In Israele la minoranza araba gode degli stessi diritti degli altri cittadini. Quella che Schuldiner descrive è la condizione degli ebrei nei Paesi arabi e islamici. Discriminati, costretti alla fuga, perseguitati.
Gerusalemme fa parte del territorio israeliano dalla Guerra dei Sei Giorni. Costruire sul suo suolo non è colonizzare dal momento che è una città israeliana.
Schuldiner scrive : "
I tribunali hanno riconosciuto il diritto di alcuni israeliani a tornare nelle case evacuate dai loro avi nel 1948, ma a nessun palestinese è riconosciuto un simile diritto sulle migliaia di case evacuate durante la stessa guerra". Il presunto diritto al ritorno dei profughi palestinesi è una questione complessa. Permettere ai profughi e ai loro discendenti di tornare in Israele significherebbe annullarne l'ebraicità. Israele è nato come Stato ebraico. Al momento della sua fondazione sono stati gli arabi a fuggire, istigati dai governanti degli Stati limitrofi che, poi, hanno sempre rifiutato di accoglierli e dare loro la cittadinanza. Quelli che sono rimasti, seguendo l'invito di ben Gurion, sono diventati cittadini israeliani.
Schuldiner continua con una menzogna colossale : "
Bisogna saperlo: la discriminazione nazional- razzista imperante a Gerusalemme si sta aggravando, sotto un governo che combina nazionalismo estremo, fondamentalismo religioso e correnti razziste.". Non c'è nessuna discriminazione ai danni della popolazione araba israeliana e il governo attuale non sta facendo altro che perseguire gli interessi dello Stato. Il fondamentalismo religioso non è il tratto caratterizzante del governo israeliano. Schuldiner, così attento alla sua religione, non nota il fondamentalismo islamico di Hamas a Gaza, però. Come mai?
Ecco l'articolo:

Durante la recente visita in Israele del vicepresidente degli Stati uniti, «per un puro errore burocratico» è stata annunciata la decisione di costruire altre 1.600 unità abitative a Gerusalemme est, vale a dire fuori dalla linea verde del 1967. L’« errore» è stato una vera provocazione, un insulto al vicepresidente americano. Joe Biden era arrivato in Israele per celebrare la ripresa dei negoziati (indiretti) con i palestinesi; l’annuncio da parte del ministero dell’interno israeliano, guidato dal religioso fondamentalista Eli Ishai, ha invece innescato la furiosa reazione americana, andata in crescendo fino a che la conversazione telefonica tra la segretaria di statoHillary Clinton e il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiuso l’incidente. Washington ha usato la sopravvenuta crisi per fare pressione sul premier israeliano, il quale si è ripetutamente scusato dell’incidente.Ma non ha ceduto sulla sostanza: «Il diritto degli israeliani a continuare con le costruzioni di insediamenti a Gerusalemme, comehanno fatto tutti i governi dal 1967», questo il premier israeliano Netanyahu ha ripetuto all’affollata riunione annuale del Aipac, la lobby filo- israeliana negli Stati uniti. Per la prima volta però si ascolta una forte voce contraria: una nuova lobby di ebrei per la pace. In primo luogo, è ben vero: dal 1967, senza grandi annunci, tutti i governo israeliani hanno continuato un’intensa campagna di colonizzazione che doveva assicurare una maggioranza ebraica a Gerusalemme. Allo stesso tempo ha fatto il possibile per rendere la vita così difficile ai palestinesi da spingerli ad abbandonare la città, cosa che in generale non hanno fatto. Secondo: Gerusalemme è parte del processo di colonizzazione dei territori occupati nel 1967; come in tutti i territori occupati, ogni colonizzazione che non sia strettamente retta da motivi di sicurezza è contraria a quanto stipula il diritto internazionale e dunque è illegale. Washington è sempre stata a conoscenza delle case costruite da Israele nei territori occupati. Fino ad oggi però né gli americani, né gli europei hanno fatto nulla di serio per impedire la colonizzazione. Non si tratta solo della lotta per la terra. Da parte di Israele si tratta in sostanza di costruire ostacoli che impediscano la costruzione di uno stato palestinese indipendente - nel migliore dei casi la frammentazione territoriale della Cisgiordania, con alcuni cantoni simili a bantustan. La retorica ufficiale israeliana parla di una Gerusalemme unificata,ma questo è ben lontano dalla realtà. La realtà è una città retta dal governo israeliano per mezzo della forza,madivisa in due città distinte: una israeliana, con tutti i benefici e servizi di uno stato economicamente sviluppato, e l’altra una serie di quartieri lasciati al degrado, senza adeguati servizi né scuole sufficenti, e soprattutto con cittadini di seconda categoria. I governanti di Israele ancora una volta mentono. Gli israeliani possono abitare dove vogliono in città e ottenere permessi di costruzione, mentre i palestinesi non li ottengono. I tribunali hanno riconosciuto il diritto di alcuni israeliani a tornare nelle case evacuate dai loro avi nel 1948, ma a nessun palestinese è riconosciuto un simile diritto sulle migliaia di case evacuate durante la stessa guerra. Bisogna saperlo: la discriminazione nazional- razzista imperante a Gerusalemme si sta aggravando, sotto un governo che combina nazionalismo estremo, fondamentalismo religioso e correnti razziste. il premier Netanyahu preferisce mantenere intatta la sua coalizione, anche al prezzo di una conflagrazione. Nelle ultime settimane infatti la tensione è cresciuta a Gerusalemme - anche quando tentano di tenere un po’ a freno un sindaco con tendenze piromani - e sono aumentati anche gli incidenti nei territori occupati. Netanyahu arriva aWashington mentre Londra annuncia l’espulsione di un diplomatico israeliano per la presunta falsificazione di passaporti britannici serviti al Mossad nella recente avventura negli Emiradi, dove è stato assassinato un dirigente di Hamas. Alla testa di un governo irresponsabile, che gioca con gli interessi israeliani mettendo a repentaglio la pace in tutto il medio oriente, il premier di israele reitera il «diritto» a continuare il processo di colonizzazione: la domanda è se il presidente degli Stati uniti metterà un freno agli impulsi bellici di Netanyahu verso l’Iran. pochi giorni fa il generale David Petraeus, capo delle truppe usa nella regione e delle forze Nato in Afghanistan, ha detto che la mancanza di pace nella regioneminaccia gli interessi americani. Martedì sera (probabilmente ormai nella notte, per noi), un presidente Obama rafforzato dalla vittoria della sua riforma sanitaria al Congresso dovrà chiarire se permetterà al premier israeliano di proseguire nel suo avventurismo. La chiave sta al governo degli Stati uniti: vedremo se riuscirà a moderare un governo di Israele estremista, fondamentalista, pericoloso per la stessa Israele e per la regione intera.

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