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La Stampa Rassegna Stampa
22.03.2010 Una denuncia della Germania nazista e del suo antisemitismo
In un articolo dell'epoca firmato da Giulio De Benedetti, storico direttore della Stampa

Testata: La Stampa
Data: 22 marzo 2010
Pagina: 31
Autore: Giulio De Benedetti
Titolo: «I tedeschi cercano un capro espiatorio»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/03/2010, a pag. 31, l'articolo di Giulio De Benedetti dal titolo " I tedeschi cercano un capro espiatorio ".

Giulio De Benedetti (nella foto a destra), nato a Asti nel 1890,ha 21 anni quando viene assunto come stenografo alla Stampa,ma già nel1914 diventa corrispondente da Basilea,da dove segue la Grande guerra. Nel1920 lascia LaStampa per la Gazzetta del Popolo (per la quale nel marzo‘23 realizza una celebre intervista con il giovane Adolf Hitler). Entrato in urto con i fascisti, nel ‘30 torna alla Stampa, dove scrive in forma anonima sotto la protezione del Senatore Agnelli. Dopo la guerra dirige L’Opinione e, dal ‘48 al ‘68, La Stampa. Muore aTorino il15gennaio 1978. Ecco l'articolo:

Clicca sull immagine per ingrandirlaLa Germania, dopo la rivoluzione, è diventata il centro del movimento antisemita. Da Berlino e da Monaco non si organizzano naturalmente i progroms [così nel testo, ndr] in Galizia e in Ucraina, ma si dirige questo movimento spirituale che ha millenni di storia e nell’interno del paese si è scatenata contemporaneamente una bassa e volgare agitazione come non ha esempio in nessun paese civile. [...] La Germania ha perduto la guerra sui campi di battaglia. [...] Ciò non impedisce che vi siano diecine di quotidiani ed alcuni milioni di tedeschi sicuri che la sconfitta, il crollo dell’Impero, la rivoluzione e la pace di Versailles siano stati un’opera degli ebrei. Considerati questi principii, si comprende quali sono le basi del movimento politico antisemita che si svolge attualmente in Germania. [...]
Il conte Reventlow, uno dei capi riconosciuti di questo movimento, mi diceva giorni or sono in un lungo colloquio che ha avuto la cortesia di accordarmi: «Il nostro problema giudaico non rappresenta che una parte di quello mondiale. Esso non può trovare una soluzione radicale che in forma internazionale». Come risolverlo però il conte Reventlow non sa: la morte, il massacro, l’espulsione e la confisca dei beni sono misure di cui comprende le difficoltà. Spera in un miracolo: «[...] Innanzi tutto propagandare l’idea, poi, quanto ai mezzi, si vedrà». [...] Nell’attesa di misure più energiche egli si accontenterebbe che si ponesse un limite alla loro attività riapplicando quella serie di misure restrittive che il soffio di libertà della seconda metà del secolo scorso aveva abbattuto in tutti i Paesi civili.
Il conte Reventlow, sicuro di fare parte di una crociata per la liberazione del mondo, non vuole riconoscere insomma la legge morale che impone di giudicare ogni individuo per quello che è, per quello che fa e non dalla sua origine o dal luogo di nascita dei suoi antenati. A fianco della lotta politica [...], si è scatenata in Germania una campagna brutale ed incosciente contro una minoranza. Vi sono diecine di quotidiani che eccitano i più bassi istinti della popolazione contro la razza semita, vi è una serie di giornali che non hanno altro programma di questa propaganda; si sono formate delle società, si pubblicano libri, opuscoli, riviste, settimanali che dimostrano come tutte le turpitudini, tutte le vergogne di questa disgraziata generazione ricadono sugli ebrei. [...] Si crea così nel Paese uno stato d’animo da progroms, malgrado il carattere civile del popolo tedesco faccia escludere questa possibilità, ma non è raro il caso di trovare tutta una strada segnata colla croce uncinata (incontrate quotidianamente centinaia di persone per le vie di Berlino che portano questo simbolo della lotta antisemita), o che gli ebrei siano assaliti nelle vie da studenti nazionalisti o da membri delle organizzazioni militari ora disciolte e quotidianamente si legge che in Università od in Scuole superiori si impedisce agli insegnanti israeliti di parlare. [...] Ieri ancora la Deutsche Zeitung definiva il prof. Einstein, il creatore della teoria della relatività, come il più grande ciarlatano del secolo; un settimanale invitava anzi apertamente ad assassinarlo ed il direttore fu condannato a mille marchi di multa per eccitazione a delinquere. (Un esempio ancora tra i molti: in una scuola una maestra domanda ad una ragazza di tredici anni perché non è battezzata: «Mio padre è ebreo, mia madre è cristiana». Risposta della maestra: «Così la patria ha perduto una madre ed una figlia e fisicamente questo matrimonio può essere paragonato all’unione tra un Bulldog ed un S. Bernardo»). Il tedesco è antisemita oggi come lo è sempre stato, ma nei periodi della miseria, come dimostra la sua storia, cerca più che mai un capro espiatorio alla sua collera impotente: perché è un popolo questo che manca di tolleranza, di fantasia e soprattutto ignora - non bisogna mai dimenticarlo - cosa sia la bontà.

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