Un’intera vita Aharon Appelfeld Traduzione di Elena Loewenthal Guanda Euro 16,00
“Tra noi scrittori sopravvissuti, la voce di Appelfeld ha un timbro unico e inconfondibile….” scrisse Primo Levi dell’autore israeliano scampato allo sterminio nazista e giunto in Palestina alla fine della Seconda guerra mondiale. “L’arduo viaggio che nel 1946 portò Appelfeld ad approdare sulle spiagge di Tel Aviv sembra avere sviluppato in lui un’inesorabile attrazione per tutte le anime sradicate…Uno scrittore che ha fatto del distacco e del disorientamento un tema unicamente suo”. Conosciuto in Italia per lo straordinario romanzo “Storia di una vita” nel quale emerge inequivocabile la cifra autobiografica, dopo “Badenheim 1939” e “Paesaggio con bambina”, editi anch’essi da Guanda, Appelfeld torna al pubblico italiano con il romanzo “Un’intera vita” che ripropone ancora un volta il tema della memoria e del senso di sradicamento. E’ la storia di Helga, una ragazzina di dodici anni, che un giorno tornando da scuola vede la madre Ghisele in procinto di partire per un viaggio che fin dall’inizio le appare misterioso; in realtà la mamma - una donna sensibile e colta che a Vienna ha frequentato l’Università e contro il parere della sua famiglia ha sposato Siegfried un ariano taciturno e dedito esclusivamente al lavoro nei campi e nella fattoria - è un’ebrea che per amore ha scelto di abbandonare la città, gli studi e di farsi battezzare. Ora l’avvento del nazismo la costringe a lasciare la fattoria di Shenbach, l’adorata figlia e partire verso un campo di concentramento. Helga non sa ancora cosa voglia dire essere ebrea ma lo scopre poco a poco dagli insulti dei compagni a scuola, “…ho sentito dire che tua madre è in prigione. Dicono che sia ebrea..”, dalla freddezza della maestra e dai silenzi imbarazzati del padre che alla fine per precauzione decide di mandarla a vivere con la zia Brunilda una donna gretta e taciturna che non prova alcuna simpatia né per la piccola nipote né per la cognata sulla quale riversa i suoi sentimenti antisemiti (“…Zia Brunilda non è un essere umano, bensì muta roccia”). Durante la permanenza presso la sorella del padre, Helga vessata da continue richieste e irragionevoli critiche da parte della zia conosce Suor Teresa, la maestra della sua nuova scuola, l’unico essere umano che le mostri affetto e calore e che le insegna a pregare con i salmi facendole leggere anche un libro sulla Storia del popolo ebraico di Graetz, “l’accesso a un mondo antico, maestoso e pieno di fasto degli avi di mia madre”, per non dimenticare mai le novelle che hanno portato al mondo. Suor Teresa rimarrà una figura indelebile nella vita di Helga soprattutto quando decide di fuggire dalla casa di zia Brunilda per mettersi alla ricerca della madre. Dopo aver raggiunto il campo di Herlich, Helga segue le tracce della mamma arrivando al campo di Zonenstein ed infine a Gruenwald nel quale decide di farsi internare con la speranza di ritrovare mamma Ghisele. In queste peregrinazioni la ragazzina fa conoscenza con una umanità dalle molteplici sfumature ora pervasa da odio antisemita ora capace di gesti generosi che lo scrittore ritrae con grande delicatezza e sapienza narrativa. Nel campo di Gruenwald Helga affronta condizioni di vita disumane ma incontra anche delle prigioniere che hanno conosciuto la mamma e la ricordano con grande affetto , come “un angelo del Signore”, una persona generosa che offriva loro conforto e una luce di speranza in quell’inferno. “Guai a dimenticare la parola anima” – ripeteva sempre – perché in questa parola è racchiusa l’essenza ebraica. Ma ormai la guerra è persa: Helga una notte abbandona il campo e nella sua fuga trova persona buone, come Dora, disposte ad aiutarla fino a quando non approda in un campo gestito dagli americani. Ammalatasi di tifo viene curata nell’infermeria improvvisata e dopo essere guarita si ferma lì a lavorare con altri ebrei mezzosangue come lei, imparando i canti della tradizione religiosa del suo popolo e la lingua ebraica a lei totalmente sconosciuta. Thomas, rimasto nascosto per lunghi mesi in una cantina, Erich che non ha voglia di raccontare di sé ma “non pretende nulla” e si presta per qualsiasi incombenza, Marie che ha subito gli abusi dello zio che la teneva nascosta e infine Charlotte che nei silenzi prolungati rivela la sua esperienza in un monastero: sono tutti parte di un microcosmo che Helga comincia piano piano a conoscere ed amare segnato dalla sofferenza ma pervaso da una straordinaria ricchezza umana. Alla fine Helga non ritroverà la madre ma il vecchio contadino Manfred che le aveva dimostrato affetto e simpatia quando viveva alla fattoria Shenbach le riporterà il suo cadavere su un carretto. Lo strazio per la morte di Ghisele è attenuato dalla consapevolezza che ora la mamma vive dentro di sé e insieme partiranno per Israele, un viaggio di chiara impronta autobiografica che chiude con delicato afflato umano il romanzo. Con una scrittura asciutta e penetrante Appelfeld ci regala uno straordinario romanzo di formazione oltre che un’acuta riflessione sull’immane tragedia della Shoah: un’esperienza che è parte della sua vita e si delinea in modo magistrale in ogni sua opera attraverso figure indimenticabili che racchiudono in sé il senso profondo della memoria ….”quella goccia d’olio che buttata nell’acqua può scomparire per un istante ma poi se ne torna su, sta lì, galleggia come uno sguardo su ciò che è stato”. Ci sono libri stupefacenti che sanno raccontare la forza delle emozioni attraverso la dura concretezza delle parole: così è l’ultimo romanzo di Aharon Appelfeld, una delle voci più suggestive del panorama letterario israeliano.