La presenza ebraica a Roma.
Dalle origini al ghetto
A cura di Rita Padovano
Esedra Euro 32
Il pubblico segue con attenzione l’arringa dell’avvocato, qualcuno rumoreggia, altri scuotono la testa insoddisfatti. Il difensore, che la sa lunga, se ne lamenta: sarebbe meglio allontanare quegli spettatori arrabbiati, perché rischiano d’influenzare il verdetto. Secondo l’accusa, un burocrate romano s’è intascato un bel po’ di soldi non suoi.
Eventuali somiglianze con avvenimenti contemporanei sono puramente casuali. Siamo nel 59 avanti Cristo, l’accusato è il propretore romano d’Asia, Lucio Valerio Flacco, l’avvocato è il luminare del foro Marco Tullio Cicerone, e coloro che assistono al dibattimento sono gli ebrei romani, i cui fondi, destinati al Tempio di Gerusalemme, sono stati “distratti” dal funzionario imbroglione.
Duemila anni d’ininterrotta presenza ebraica nella città eterna possono sembrare un’entità difficile da catturare col pensiero. Eppure, se si mettono in fila episodi concreti, come questo processo di cui ci ha lasciato memoria lo stesso Cicerone, ci si rende conto di come la storia ebraica s’intrecci indissolubilmente con quella di Roma. Non c’è episodio saliente della vicenda romana in cui gli ebrei non siano stati in qualche modo coinvolti, come spiega il volume La presenza ebraica a Roma nel Lazio edito da Esedra. Li troviamo per esempio tra i sostenitori di Giulio Cesare, durante le guerre civili; un appoggio prezioso, tanto che una volta assunto il potere, Cesare riconobbe alla comunità ebraica ampi diritti. Proprio l’insediamento ebraico rappresentò l’humus naturale della diffusione del cristianesimo, la cui predicazione trovò all’inizio consensi soprattutto tra i giudeo-cristiani. Non si riflette di solito sul fatto che Roma divenne centro mondiale della Chiesa anche perché ospitava, in età tardo antica, la più rilevante comunità ebraica del mondo latino.
Nei cosiddetti secoli bui, al tempo in cui Cola di Rienzo intraprese il suo tentativo rivoluzionario , gli ebrei lo seguirono dapprima entusiasti. Si narra che quando, per radunare i partigiani di Cola contro i Colonna, si dovette suonare “a stormo la campana de santo agnilo pescivennolo, uno iudio la sonava”. Sempre più delusi, gli ebrei abbandonarono però il tribuno, assieme al resto dei romani. La dinamica demografica della minoranza rifletté nei secoli quella più generale dell’Urbe. Durante il Quattrocento, Roma raddoppiò quasi la propria popolazione, e pure la comunità ebraica crebbe considerevolmente di numero, così da divenire motore economico e intellettuale.
Certo, gli ebrei condivisero anche le miserie della città, come durante il terribile Sacco del 1527, che li decimò e li ridusse in gran parte in povertà. Di lì a poco, l’istituzione del ghetto, voluta nel 1555 da Paolo IV, mutò profondamente la dinamica di scambio, pur senza interrompere i rapporti tra ebrei e cristiani.
“Io so’ jodio romano: e so’ romano/da tempo de li tempi de l’antichi/quanno che se magnaveno li fichi”, poteva scrivere con orgoglio, all’inizio del Novecento, il poeta giudeo-romano Crescenzo Del Monte. A dire il vero, secondo i più, gli antichi “se magnaveno le cocce e buttavano li fichi”. Ma questa è un’altra storia.
Giulio Busi
Il Sole 24 Ore