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Ugo Volli
Cartoline
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Ma che cosa vuole Obama ? 19/03/2010

" Ma che cosa vuole Obama ? "

Ma, scusate, voi avete capito qualcosa di questa sceneggiata delle "offese" di Netanyahu al vicepresidente americano Biden? L'annuncio di un passaggio burocratico di un progetto di costruzioni (non della vera e propria apertura dei cantieri) dentro un quartiere di Gerusalemme dove Israele aveva esplicitamente detto di riservarsi il diritto di costruire, escludendo la città dal congelamento di dieci mesi in Giudea e Samaria, diventa un "insulto" per via della presenza di Biden in città, il che naturalmente giustifica l'ennesima fuga palestinese dai negoziati. Dopo che Netanyahu gentilmente si scusa per la concomitanza con la visita (che è già un riguardo fin eccessivo per la sensibilità di Biden) e che il vicepresidente accetta le scuse, lodando in un discorsoi pubblico il premier israeliano, a Washinghton vien giù una tempesta diplomatica: intervengono il Segretario di Stato Clinton, il consigliere del presidente Axelrod, gli ascari della stampa e delle associazioni ebraiche progressiste, tipo J Street. Eurabia, naturalmente marcia anche lei a tempo con condanne e ammoniszioni solenne e persino il buon presidente Napoliutano si adegua, lanciando "moniti" ad Israele proprio mentre stringe la mano di uno dei più truci dittatori contemporanei, il capo di un regime arabo-nazista come Assad.

A un certo punto vien fuori che ad essere arrabbiati con Israele non è tanto Obama ma l'esercito americano, nella persona del mitico generale Petreus, autore della rimonta in Iraq. Solo che questa è una bufala, lanciata con successo da un tal Perry, uomo dei servizi segreti e dalle ambigue frequentazioni, a suo tempo consigliere di Arafat e di Hizbullah, che è stato preso in giro per il mondo per una fonte autorevole, dato che parla male di Israele (per un'analisi, rimando al pezzo del "Foglio" pubblicato da IC ieri qui: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=33844 ). Poi sui giornali di oggi scoprite che tutti, gli americani, il governo israeliano, anche i palestinesi e i loro amici, si affrettano a precisare che non c'è stata affatto crisi. L'ambasciatore israeliano a Washington Oren smentisce di aver detto che i rapporti fra Usa e Israele non siano mai stati peggiori da 35 anni, come era stato citato, e anzi sostiene che questo non è uno dei punti più bassi nell'altalena delle relazioni. Ammetterete che è un caso interessante, uno dei momenti in cui la trama dei media si scompagina, mostrando che non si tratta di informazione ma di manipolazione bell'e buona dell'opinione pubblica.

E allora? Che succede? C'è stato un colpo di isteria da parte di tutti? Difficile pensarlo, l'attacco mediatico americano è stato condotto a freddo e su molti fronti. Voglio fare oggi una cartolina seria per riferirvi due ipotesi su cui riflettere. Una l'ho letta l'altro ieri su un pezzo in un giornale piuttosto clandestino come "Liberal": gli americani avrebbero deciso di consentire l'armamento nucleare dell'Iran, affidando alla Turchia il compito di fare da contraltare, e dunque starebbero cercando dei pretesti per giustificare questa scelta di abbandonare Israele presentandolo come alleato riottoso e maleducato, violento e ostinato nel rifiuto della pace. E' in effetti quello che continuano a ripetere da anni i giornali e i politici di Eurabia: calunniate, calunniate, qualcosa resterà.

L'altra ipotesi è stata raccontata sul Jerusalem Post (http://www.jpost.com/Israel/Article.aspx?id=171259) ma avanzata in un mensile americano, "The Atlantic", da Jeffrey Goldberg, un giornalista che il quotidiano israeliano presenta come "vicino a Obama": quel che Obama avrebbe tentato, secondo Goldberg è una "rottura del governo israeliano che avrebbe reso possibile l'ingresso di Tzipi Livni". Non che il governo americano stia proprio intervenendo nella politica israeliana, scrive Goldberg, ma è chiaro a tutti che nessun progresso nella pace può essere fatto finché al governo restano quelli che egli definisce "gangster" (Israel Beitenu), medievalisti (Shaas e UTJ) e messianisti (Habayt Hayehudi).

Non vi racconto le reazioni israeliane a questi insulti, le trovate sull'articolo del Jerusalem Post: potete immaginare che non sono state proprio simpatiche. Ma il punto è che se davvero Obama ha cercato ancora una volta di rovesciare il governo israeliano (e non diciamo, quello iraniano o siriano, che forse sarebbe più degni della sua attenzione), l'ha fatto con il solito incosciente e narcisista dilettantismo. Perché il tema di Gerusalemme unisce quasi tutto l'elettorato israeliano (e infatti la Livni, cosciente di ciò, se n'è stata infatti quasi zitta per tutta la crisi, limitandosi a dire che il governo attuale era stato stupido e dannoso nel dare l'annuncio delle costruzioni durante la visita di Biden, ma guardandosi bene dal sostenere che le costruzioni non si dovevano fare).

In secondo luogo, solo alcuni personaggi della sinistra del tutto privi di seguito, fra cui oltre alla solita Haaretz vi è anche A.B.Yehoshua, tanto bravo come scrittore quanto ottuso come politico, pensano che il papà americano possa o addirittura debba dare gli scapaccioni al figlioletto Israele, attuando un "tough love" (amore severo). Gli israeliani sono fieramente indipendenti e l'idea che Obama o Goldberg voglia decidere se al governo debbano sedere medievalisti o progressisti non gli va proprio giù. Il risultato è che l'assalto di Obama è fallito, come già quelli precedenti, col bel risultato che il presidente degli Stati Uniti ha perso ascendente sugli israeliani, che hanno visto e respinto il freddo tentativo di interferenza nella loro democrazia, e anche dagli arabi, che ne hanno realizzato l'impotenza. A questo punto, fra qualche giorno, ci sarà un gesto di compensazione israeliano, perché l'America è sempre il grande alleato; ma per il momento la partita è chiusa.

Chi ci ha perso, purtroppo, è il fronte democratico. L'America, perché è sempre più chiaro che è guidata da incapaci. Ma anche Israele, che è stata ancora una volta diffamata e criminalizzata. Per la maggior gloria di Al Queida e di Ahamadinedjad.

Ugo Volli


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