Intellettuali affascinati dai dittatori, sempre pronti a dare lezioni di 'democrazia' La denuncia di Mark Lilla
Testata: Libero Data: 17 marzo 2010 Pagina: 39 Autore: Francesco Borgonovo Titolo: «Quei geni folli innamorati dei dittatori»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 17/03/2010, a pag. 39, l'articolo di Francesco Borgonovo dal titolo " Quei geni folli innamorati dei dittatori ".
Mark Lilla e la copertina del suo libro " The Reckless Mind: Intellectuals and Politics ".
Nel suo splendido libro su Stalin intitolato Koba il terribile, lo scrittore britannico Martin Amis inserisce una lettera indirizzata all’amico giornalista Christopher Hitchens. «Sai già che il bolscevismo vanta un repertorio di meschinità e insensatezze inesprimibili a parole, davanti al quale persino il cielo trattiene il fiato. Fatico dunque ancora a comprendere perché tu non voglia mettere più distanza tra te e quegli eventi, la tua ammirazione per Lenin e la tua mai pentita militanza come seguace di Trockij». In quel volume, Amis cercava di capire come mai tanti intellettuali si fossero fatti stregare dal comunismo. Il suo amico Hitch, per esempio, ma anche suo padre, il famoso romanziere Kingsley Amis, che per quindici anni fu iscritto al partito salvo poi cambiare idea e trasformarsi in un conservatore ritenuto dai progressisti (assieme allo storico Robert Conquest, considerato nemico numero uno dell’Ursss per averne svelato il lato oscuro) un vero fascista. STRANI PASSAGGI La fascinazione di scrittori, filosofi, storici e pensatori di ogni genere per le grandi dittature è ancora un problema sul piatto. Trovare una risposta sembra da un lato troppo semplice, dall’al - tro impossibile. Il vicedirettore del Corriere della Sera Pierluigi Battista ha documentato in alcuni libri (Cancellare le tracce e il recente I conformisti) il passaggio di tanti uomini di pensiero italiani dalla seduzione del fascismo regime a quella esercitata dal Pci filosovietico. E basta leggere le citazioni presenti nell’articolo qui a fianco per rendersi conto di che cosa riportavano grandi nomi della nostra letteratura in visita nell’inferno russo. Tuttavia, assistiamo ancora a casi di infatuazione per sistemi politici sconfitti dalla storia. Il filosofo Gianni Vattimo, ostinatamente, pubblicò qualche tempo fa un pamphlet intitolato Ecce comu, sull’importanza di essere comunisti oggi. Lo scorso anno il suo collega Slavoj Zizek (pensatore amatissimo nei salotti radical) neppure un anno fa ha dato alle stampe il corposo libro In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale. In quel volume, spiegava che nelle «politiche totalitarie della modernità»è comunquepossibile rintracciare fondamenti di verità e i regimi di terrore che le “cause perse” hanno creato negli anni non devono obbligarci a sostenere una «misera terza via» democratica e liberale. INTERESSE CONTINUO Insomma, il tempo passa, ma l’interesse per certe idee non viene meno. Ecco perché è interessante leggere The Reckless Mind: Intellectuals and Politics, il saggio di Mark Lilla in uscita prossimamente per Baldini e Castoldi (col titolo Il genio sconsiderato. Heidegger, Schmitt, Benjamin, Kojève, Foucault, Derrida e i totalitarismi, pp. 256, euro 17,50). L’autore è uno degli intellettuali americani più noti: storico delle idee alla Columbia University, editorialista di New Republic e New York Times, è considerato uno fra i più lucidi e influenti pensatori liberali di questi anni. Questo saggio (scritto nel 2001), fa riferimento a un celebre volume di Czeslaw Milosz, poeta premio Nobel per la Letteratura, intitolato La mente prigioniera. Il quale cercava di mostrare «come operi il pensiero umano nelle democrazie popolari », cioè nei regimi comunisti. In particolare, Milosz si soffermava sull’ambiente da lui meglio conosciuto: quello degli artisti e degli scrittori. E analizzava le dinamiche del loro asservimento al potere dittatoriale stalinista. Lilla fa un passo avanti. Nelle “democrazie popolari” e nei Paesi della Cortina di ferro, essere anticomunisti significava mettere a rischio la propria vita e quella dei propri famigliari. Ma come possiamo, si chiede lo studioso americano, «spiegare il fatto che un coro per la tirannia è esistito anche in Paesi dove gli intellettuali non affrontavano alcun pericolo ed erano liberi di scrivere quello che più gli aggradava?». Lilla prende in esame alcuni casi molto noti, ad esempio quelli di Martin Heidegger, Carl Schmitt e i loro rapporti col nazismo. Non c’è dubbio che si trattasse di grandi menti del secolo passato, ma alcuni episodi fanno rabbrividire. Per esempio lo scambio tra Jaspers e Heidegger. Il primo, costernato: «Come può un uomo incolto come Adolf Hitler governare la Germania?». Risposta di Martin: «La cultura non importa. Guarda soltanto le sue mani meravigliose». Ormai le storie sul nazismo di Heidegger e Schmitt sono note ai più e di polemiche se ne sono consumate fin troppe (per esempio all’uscita dei saggi sull’autore di Essere e tempo firmati dal filosofo cileno Victor Farías). Più interessanti - anche perché più attuali - sono le parti del saggio dedicate a autori come Michel Foucault e Jacques Derrida. I quali, sul piano dell’elaborazione di pensiero, di certo sono infinitamente inferiori a mostri sacri come Schmitt e Heidegger. Per inquadrare Foucault basterebbe questa vicenda: nel 1971, il filosofo francese partecipò a un dibattito pubblico con NoamChomsky. E disse, molto chiaramente: «Quandoil proletariato prende il potere, può esercitare nei confronti delle classi sulle quali ha trionfatoun potere violento, dittatoriale e anche sanguinario. Non vedo che obiezione si possa fare a tutto ciò». Lilla rintraccia in Foucault un singolare parallelismo fra la vita e gli scritti. Sul piano privato, il filosofo indulgeva in frequentazioni “tra - sgressive”: era omosessuale con una smaccata tendenza al sadomasochismo. Contrasse l’Aids e continuò ad avere rapporti non protetti fino alla morte. Sul piano delle idee, Foucault celebrò la trasgressione alle strutture del potere, sostenne la rivoluzione degli Ayatollah in Iran (con articoli pubblicati anche sul Corriere della Sera). Per quanto riguarda Derrida, beh, Lilla lo massacra: il fatto che sia considerato un filosofo importante da molti intellettuali americani, spiega, dice molto sullo stato della cultura occidentale. FORZA EROTICA Alla fine, da The Reckless Mind sembra emergere la seguente conclusione: la stessa forza, quasi erotica, che ha spinto questi intellettuali a misurarsi con la filosofia, li ha poi gettati nelle braccia del totalitarismo. In entrambi i casi, spiega, essi cercavano di «produrre il bello». «Gratificati dal vedere le loro idee realizzarsi, questi intellettuali diventavano servili adulatori dei tiranni». Alcuni critici hanno accusato Lilla di facile psicologismo. La sua risposta, tuttavia, resta importante. Anche perché, in parte, coincide con quella fornita da testi di cui abbiamo parlato recentemente: Straborghese di Sergio Ricossa e Anatomia dell’anticapitalismo di Luciano Pellicani. Entrambi mettono in luce un aspetto fondamentale: l’odio per la “normalità” e le convenzioni borghesi, il disprezzo per il grigio della democrazia liberale, certo meno coinvolgente rispetto al rosso o al nero dei regimi. Ecco perché l’asservimento dei pensatori ai tiranni sembra destinato a proseguire. E la lista delle “menti sconsiderate” continua ad allungarsi. Con una battuta, Lilla ha spiegato a Libero che potrebbero comparire nel suo libro anche autori come Noam Chomsky, Gabriel García Márquez e José Saramago, «tutti compagnidi viaggioeapolegeti dei tiranni».
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