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Libero Rassegna Stampa
16.03.2010 Tareq Heggy e Islam Samhan, due intellettuali musulmani odiati dai fondamentalisti islamici
Commento di Andrea Morigi

Testata: Libero
Data: 16 marzo 2010
Pagina: 37
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Le poesie d’amore irritano Maometto»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 16/03/2010, a pag. 37, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Le poesie d’amore irritano Maometto ".
Ricordiamo che Islam Samhan è stato un anno in prigione in Giordania per aver scritto una poesia ! Bisognava chiederne il perchè alla "bellissima regina" così ammirata durante la sua presenza al Festival di Sanremo !


Tareq Heggy, Islam Samhan

In Giordania fanno paura perfino i versi d’amore del 29enne Islam Samhan. In realtà è lui il primo a temere per la propria vita, minacciata dai «terroristi» islamici. Ora, le sue “poesie condannate” è costretto a recitarle a Novara, per non essere nuovamente incarcerato, processato, condannato e multato da un tribunale. Sconta una colpa presunta, nulla a che fare con reminiscenze di “versetti satanici” vergati a mo’ di provocazione, come si può constatare dalla traduzione di Valentina Colombo per la casa editrice Interlinea (A chi porti la rosa?, pp. 96, euro 10). Quanto scrive ricorda e ricalca alcune sure del Corano. Anzi, ne tradisce l’ori - gine, o meglio le tradisce tout court, secondo i fondamentalisti di Amman. «La mia raccolta di poesie - aveva detto a suo tempo Samhan a propria difesa - non voleva insultare l’islam. Ho incluso versetti coranici solo in senso metaforico. La letteratura e la poesia sono passibili di diverse interpretazioni e le persone che sono contro la libertà di espressione li hanno interpretati in senso letterale. Sono convinto che la campagna contro di me serva solo a bloccare la creatività dei poeti e degli scrittori giordani. La libertà di espressione è sancita dalla nostra costituzione». L’appello al Papa Non stupisce che tutto quello che hanno saputo schierare contro le sue strofe sia un prosaico articolo del codice penale che proibisce la pubblicazione di quanto oltraggia le religioni. L’accusa, che Samhan giudica immeritata e lesiva della sua libertà di espressione artistica, gli è costata la condanna a morte dalle autorità islamiche, e la condanna a un anno di reclusione e a un’ammenda di 10mila dinari giordani (paria a circa 10mila euro), comminate il 21 giugno scorso dalle autorità civili giordane. Ne hanno fatto un nemico pubblico, un apostata. Lui non si adegua e contesta: «Io sono un musulmano e rispetto la mia religione. Il problema non è nell’islam o nelle religioni in generale, ma risiede negli uomini che interpretano erroneamente la religione per scopi politici. Tutte le religioni sarebbero tolleranti, sono gli estremisti che vedono nella religione un motivo per uccidere ». Non cede alla facile tentazione della polemica anti-religiosa. Se qui in Occidente c’è ancora uno spazio per rivendicare la libertà di espressione, Samhan lo vede tanto nella civiltà dei Lumi quanto nella tradizione cattolica e chiede al Papa, che «quando è venuto in Medio Oriente ha portato un messaggio d’amore», di continuare a «portare amore e bellezza ovunque». E all’Europa di «continuare a diffondere la cultura incentrata sull’uomo attraverso l’arte e la cultura affinché sia sconfitta ogni forma di violenza e di terrorismo». Come sia possibile rischiare la vita per l’attività letteraria, lo spiega un altro intellettuale arabo, l’egiziano Tarek Heggy, anch’egli in Italia, dove oggi e domani presenta a Roma la traduzione italiana del suo Le prigioni della mente araba (a cura di Valentina Colombo, Marietti 1820, pp. 114, euro 18), raccolta di articoli che, se scritti da un occidentale, gli meriterebbero automaticamente la qualifica di nemico del dialogo. A Heggy, «la più coraggiosa e lucida voce d’Egitto» secondo Bernard Lewis, si addicono semmai le etichette di riformista e di moderato, se in Occidente non avessero ormai acquisito caratteri di ambiguità tali da depotenziarne il significato originario. Le tre prigioni Nel saggio che dà il titolo al volume, Heggy non teme di descrivere un triplice ingabbiamento: «La prima prigione è rappresentata da un’interpre - tazione regressiva e dogmatica della religione che è decisamente in contrasto con le esigenze della nostra epoca, con la scienza e la civiltà». Al rifiuto di confrontarsi con la realtà, si aggiunge «una cultura che non solo è del tutto scissa dalla scienza e dal progresso come risultato della storia araba e della geopolitica della penisola araba, ma - fatto ancora più significativo - ha prodotto istituzioni educative e programmi scolastici che promuovono attivamente un rifiuto xenofobico dei valori legati al progresso e all’umanità». Infine, «la terza prigione che incatena la mente araba e la separa dallo spirito che anima la nostra epoca è un dilemma filosofico che la rende incapace di sviluppare una adeguata comprensione del progresso e della modernità e la spinge a rifiutare tali nozioni come un’invasione della sua specificità culturale e del suo retaggio storico». All’apparenza, suonano come considerazioni innocue. Nel contesto egiziano equivalgono a porsi pericolosamente in contrasto con l’influenza dei Fratelli musulmani. E, a livello della Ummah islamica, significa opporsi al modello beduino- wahhabita, che si pone come l’unica vera versione del messaggio del Corano. È un’il - lusione, spiega ai suoi connazionali. E allo stesso tempo avverte anche noi: non cadete nella trappola perché, se l’Oc - cidente si facesse convincere dai petrodollari, ai musulmani non rimarrebbe più alcuna speranza.

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