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La Stampa Rassegna Stampa
14.03.2010 Le lucide analisi di Bernard-Henri Lévy
Intervistato da Alain Elkann

Testata: La Stampa
Data: 14 marzo 2010
Pagina: 22
Autore: Alain Elkann
Titolo: «La filosofia è l'arma della libertà»

Sulla STAMPA di oggi, 14/03/2010, a pag.22, con il titolo " La filosofia è l'arma della libertà", Alain Elkann intervista Bernard-Henri Lévy.


BHL

In questi giorni a Parigi sono usciti presso l’editore Grasset due suoi libri, «De la guerre en philosophie» e «Pièces d’identité». Perché due libri contemporaneamente?
«Perché un libro è un disturbo mentre con due libri disturbo due volte di più... Sto naturalmente scherzando. È successo per caso senza un calcolo particolare».
Pensa che sia stato uno scherzo divertente quello del falso filosofo Jean-Baptiste Botul, che lei ha citato come se esistesse davvero in «De la guerre en philosophie»?
«Ho appreso che Botul non è mai esistito, che era l’invenzione di un giornalista, Fréderic Pagès. Beh, quel giornalista è un ottimo filosofo, ha scritto un libro fantastico: il suo Kant più reale dello stesso Kant è in perfetto accordo con la mia idea di un Kant tormentato da demoni ben poco teoretici...».
La filosofia rimane la sua attività principale?
«Più che mai. Lei conosce la lezione di Sartre. Anche il cameriere di un bar è un oggetto di riflessione filosofica. Ebbene per me è la stessa cosa. Quando attacco l’estrema sinistra terzomondista, i cospirazionisti del mondo diplomatico o gli islamo-fascisti di ogni genere oppure gli amici di Tariq Ramadan o quegli sporcaccioni che chiudono gli occhi sui massacri del Darfur faccio il filosofo».
Lei abita tra Parigi e New York. Le sembra che l’Europa sia assente dalle grandi decisioni del mondo?
«Molto peggio, penso che sia in decomposizione. La nostra generazione ha vissuto nell’illusione di un’Europa inevitabile, iscritta nel senso profondo della storia, e che in qualche modo si creava da sé, sopra le nostre teste, che noi lo volessimo o meno, che noi la desiderassimo o meno. Ebbene è questa illusione che si sta sbriciolando. Non è più affatto evidente che la macchina europea stia girando a regime pieno, che ci porti immancabilmente verso uno scopo. Al contrario, oggi è immaginabile che l’edificio si distrugga e che la trama si sfilacci e si disfi tutto ciò che i padri fondatori dell’Europa hanno costruito pazientemente».
Gli intellettuali europei sono diventati marginali?
«No, non credo davvero. Guardo ciò che succede in Italia, per esempio intorno alla rivista “Microme- ga” o in Francia, intorno alla mia “Règle du jeu”, una rivista letteraria e politica. Osservo il lavoro di un Sloterdijk in Germania. Tutto ciò secondo me non è male».
Si sente solo? Si è trovato nuovi amici, altri cammini?
«No, non mi sento solo. E se talvolta mi accade di provare una certa solitudine in Francia, c’è comunque lo scenario americano o europeo dove non mi sento affatto solo. Mi scuso di citare nuovamente la rivista “La Règle du jeu”, di cui sono direttore, ma è vero che sta prendendo un’importanza crescente nella mia vita. Ora quella rivista è totalmente internazionale. Sull’ultimo, eccellente, numero della rivista abbiamo pubblicato testi di Sollers e Houellebecq».
Qual è il posto di una rivista letteraria in un mondo dove si legge sempre di meno?
«La mia rivista funziona sempre meglio. Tutto dipende da ciò che si dà da leggere ai lettori».
Che cosa sta facendo su internet e qual è il ruolo di internet nel suo lavoro di scrittore?
«Io amo internet e trovo che sia sbagliato vedere la Rete come la pattumiera del mondo. C’è naturalmente un internet nauseabondo, così come esiste una stampa nauseabonda, ma oltre a questo che meraviglia! Che ricchezza! Per chi sa servirsene, è come il punto d’arrivo, il sapere assoluto hegeliano. È piuttosto esaltante. E per citare ancora la “Règle du jeu”, non è un caso che il baricentro della rivista si sposti sempre più nettamente verso la Rete».
Lei è un uomo che ha combattuto grandi battaglie, che cosa la tocca oggi?
«La difesa dei musulmani moderati nella loro guerra contro l’oscurantismo, che si sta combattendo all’interno del mondo islamico. Abbiamo il dovere di aiutare con tutte le nostre forze gli islamici democratici. Ma chi lo sa questo? Chi lo dice? Chi ne è cosciente in Europa?».
Il romanzo le sembra un genere letterario desueto?
«Assolutamente no! C’è anche un capitolo nel mio libro “Pièces d’identité”, in cui spiego, al contrario, che il romanzo mi sembra essere la via reale della conoscenza. Dico bene: la conoscenza. Non il divertimento, bensì la conoscenza o, se si preferisce, la filosofia. Ragione per cui non è affatto escluso che mi vediate riapparire uno di questi giorni in quel mondo, nel mondo del romanzo. A presto».


direttore@lastampa.it

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